31.3.07

LA FAMIGLIA PER LA CRESCITA DELLE PERSONE E DELLA SOCIETA'


“Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.
Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile.
A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume.
Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile.
….Il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza.”
(Dalla nota del Consiglio Episcopale Permanente della CEI a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto, diffusa mercoledì 28.3.2007)

25.3.07

CONTRO IL TOTALITARISMO DELLA DISSOLUZIONE


In un saggio del 1905, intitolato Eretici, Chesterton scriveva: «La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. Sarà una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l'incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto».
Oggi, nel 2007, possiamo ben affermare di vivere non solamente in un contesto anti-cristiano, ma anche anti-ontologico: in effetti, tutto ciò che è naturale, giusto, ordinario, ragionevole, facilmente percepibile, viene misconosciuto, deriso, squalificato, messo alla berlina. Volgendo le spalle a Dio, hanno inteso emancipare l'uomo dalla trascendenza, sottraendogli in realtà il fondamento della sua umanità: il senso del limite, del suo posto nell'ordine naturale.
Contro questo «totalitarismo della dissoluzione» si è recentemente espresso Benedetto XVI richiamando l'urgenza e la necessità di «riflettere sul tema della legge naturale e di ritrovare la sua verità comune a tutti gli uomini... Tale legge a cui accenna anche l'apostolo Paolo, è scritta nel cuore dell'uomo ed è, di conseguenza, anche oggi non semplicemente inaccessibile... Si esprimono, in questi valori, norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge umana: come tali, non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno». La legge, in ultima analisi, per essere giusta, deve mostrare di avere colto l'ordine (taxis) delle cose. Un ordine non artificiosamente creato, ma che esiste già nella realtà fisica e soprattutto morale (e che vige a prescindere dal nostro riconoscimento ed assenso).
«La legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare. Nell'attuale etica e filosofia del diritto sono largamente diffusi i postulati del positivismo giuridico. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi: si cerca di trasformare in diritti interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla responsabilità sociale. In questa situazione è opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico, a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano. La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l'arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica... La legge iscritta nella nostra natura è la vera garanzia offerta ad ognuno per poter vivere libero e rispettato nella propria dignità... Nessuna legge fatta dagli uomini può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento basilare. Dimenticarlo significherebbe indebolire la famiglia, penalizzare i figli e rendere precario il futuro della società».
Il pensiero moderno, con la sua dittatura del soggettivismo, ha dimostrato drammaticamente i propri limiti, rivelandosi incompatibile con la vera giustizia. (ragionpolitica)

24.3.07

LA CHIESA PROMUOVE PRINCIPI COMUNI A TUTTA L'UMANITA'


Le Chiese europee, “nel condividere l’impegno comune per valori essenziali quali la giustizia, la pace, la libertà, la solidarietà, la tutela dell’ambiente, riaffermano che questi valori non possono realizzarsi in modo autentico prescindendo dalla dimensione trascendente della persona e dal rispetto di norme che sono iscritte nella natura umana. Interesse principale e fine esclusivo di ogni intervento della Chiesa cattolica, nonché suo spazio naturale di dialogo e di contributo, è la promozione e la tutela della dignità della persona e della sua centralità etica, la quale si esplicita in principi che non sono negoziabili perché espressione e contenuto stesso di tale dignità (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dal PPE, 30 marzo 2006).
Da questa concezione e da tali principi derivano in special modo:
- la tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, resistendo a forme di aggressione e di minaccia talvolta mascherate sotto l’apparenza di un malinteso progresso scientifico e sociale: si pensi alla clonazione umana, alla manipolazione genetica, all’aborto, all’eutanasia;
- il riconoscimento e la promozione della famiglia, come relazione fondamentale e naturale tra un uomo e una donna che si apre ai figli, e la sua difesa dai frequenti tentativi di relativizzarla, rendendola giuridicamente uguale o equivalente ad altre forme di unione;
- la tutela del diritto dei genitori ad educare i propri figli.
- il fondamentale diritto alla libertà religiosa, nella sua dimensione non solo individuale ma anche propriamente istituzionale.
Si tratta di principi comuni a tutta l’umanità. Come sottolineato da Benedetto XVI, ‘l’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Al contrario, tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia stessa’.
[Dall’intervento di mons. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, al congresso che la Commissione degli episcopati della Comunità europea (COMECE) ha organizzato a Roma nell’ambito dei festeggiamenti per il cinquantenario dei Trattati ]

18.3.07

ASCOLTARE E DIALOGARE NON SIGNIFICA ACCETTARE


Secondo il cardinal Martini, in tema di valori bisogna procedere in modo che “le nostre parole non cadano come dall’alto, da una teoria”, ma piuttosto “ascoltando la gente, le loro necessità, problemi, sofferenze” . Ora, prestare attenzione, comprendere, dialogare è sano principio democratico oltre che buon costume intellettuale. Ma supponiamo che, ascoltata la gente, questa dica: “Barabba”, oppure: “Mammona”, oppure ancora, per aggiornare il lessico: aborto, eugenetica, eutanasia, sperimentazione sugli embrioni, matrimonio omosessuale, e tutte le altre cose che oggi tanta gente va dicendo e chiedendo. Che cosa si fa? Se si ascolta e si comprende e basta, allora si finisce con l’accettare tutto ciò che la gente vuole, esattamente come sostengono il relativismo e il laicismo anticristiani. Se invece, dopo aver ascoltato e compreso e dialogato, alla fine ci si oppone alla gente, ecco che bisognerà argomentare questa opposizione in nome dell’alto e della teoria. La qual cosa, per un cristiano come il cardinal Martini, non dovrebbe suscitare particolare stupore o resistenza, dacchè, tradotto ad uso e consumo della gente, l’“alto” è il Papa successore di Pietro, e la “teoria” è il cristianesimo di Colui che, dicendo “Ego sum via, veritas, vita”, ascoltò sì la gente, ma, a pena della Crocifissione, non rinunciò a dire e testimoniare ciò che la gente doveva fare per salvarsi. (marcello pera)

17.3.07

L’UOMO NON E’ UNA COSTRUZIONE CULTURALE VARIABILE


«Uno Stato deve difendere la libertà individuale insieme al bene comune, che non è la somma di tanti singoli vantaggi ma un organismo armonico retto sui valori capaci di creare il bene di tutti: la famiglia e il rispetto della vita, la libertà di educare i figli e la libertà religiosa. E’ interesse della società tutelare la famiglia, perché così facendo tutela anche se stessa. Nessuna condanna per le convivenze, è inaccettabile invece creare un nuovo soggetto di diritto pubblico che si veda assegnati diritti e tutele in analogia alla famiglia. La legge ha anche una funzione pedagogica, crea costume e mentalità. I giovani già oggi disorientati si vedono proporre dallo Stato diversi modelli di famiglia e certo non vengono aiutati a divenire cittadini adulti. Molto di ciò che viene chiesto è già oggi garantito dal diritto privato, una via però rifiutata per creare un nuovo soggetto alternativo in nome di una pretesa ideologica. Una società che codifica l'assoluta libertà di ciascuno su se stesso, ad esempio con l'autodeterminazione senza alcun limite rispetto alla morte, si pone sulla via dell'implosione: l'assoluta libertà sciolta da ogni vincolo è la premessa per qualsiasi forma di violenza, di sopraffazione, di conflitto. Va recuperata la dimensione della natura umana oggettiva, contro la quale si vede all'opera un accanimento culturale da parte di un'ideologia che descrive l'uomo come costruzione culturale variabile. Il diritto positivo, privato del suo fondamento nel diritto naturale, diventa terreno di affermazione della prepotenza. La politica ha come scopo il bene comune, non l'inseguimento dei desideri». (monsignor Angelo Bagnasco 11.3.2007)

16.3.07

L'IPOTESI MIGLIORE: VIVERE COME SE DIO ESISTESSE


L’atteggiamento più diffuso tra i non credenti oggi non è propriamente l’ateismo – avvertito come qualcosa che supera i limiti della nostra ragione non meno della fede in Dio – ma l’agnosticismo, che sospende il giudizio riguardo a Dio in quanto razionalmente non conoscibile. La risposta che J. Ratzinger dà a questo problema ci riporta verso la realtà della vita: a suo giudizio infatti l’agnosticismo non è concretamente vivibile, è un programma non realizzabile per la vita umana. Il motivo è che la questione di Dio non è soltanto teorica ma eminentemente pratica, ha conseguenze cioè in tutti gli ambiti della vita.
Nella pratica sono infatti costretto a scegliere tra due alternative, già individuate da Pascal: o vivere come se Dio non esistesse, oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della mia esistenza. Ciò perché Dio, se esiste, non può essere un’appendice da togliere o aggiungere senza che nulla cambi, ma è invece l’origine, il senso e il fine dell’universo, e dell’uomo in esso. Se agisco secondo la prima alternativa adotto di fatto una posizione atea e non soltanto agnostica; se mi decido per la seconda alternativa adotto una posizione credente: la questione di Dio è dunque ineludibile.
È interessante notare la profonda analogia che esiste, sotto questo profilo, tra questione dell’uomo e questione di Dio: entrambe, per la loro somma importanza, vanno affrontate con tutto il rigore e l’impegno della nostra intelligenza, ma entrambe sono sempre anche questioni eminentemente pratiche, inevitabilmente connesse con le nostre concrete scelte di vita.
Proprio nel considerare la prospettiva credente come un’ipotesi, sia pure quella migliore, che come tale implica una libera opzione e non esclude la possibilità razionale di ipotesi diverse, J. Ratzinger-Benedetto XVI si mostra sostanzialmente più aperto di J. Habermas e della “ragione secolare” di cui Habermas si pone come interprete: essa accetta infatti come “ragionevole” soltanto ciò che si mostra traducibile nei suoi discorsi.
In questa “assolutizzazione” della ragione secolare abbiamo in qualche modo il corrispettivo, a livello teoretico, di quella “dittatura” o assolutizzazione del relativismo che si verifica quando la libertà individuale, per la quale tutto è finalmente relativo al soggetto, viene eretta a criterio ultimo al quale ogni altra posizione deve subordinarsi. (http://chiesa.espresso.repubblica.it/dettaglio.jsp?id=125081)