27.10.07

IL SENSO RELIGIOSO


La ragione non significa tout court “dimostrazione”. A partire da Descartes ci siamo abituati a pensare che l'unica valida forma di conoscenza sia data dal modello matematico dimostrativo. Ma la ragione si ritrova nuda di argomentazioni di fronte ai problemi che ci assillano come quello della finitezza della vita. Ci sono cose che non si possono dimostrare perché si trovano a monte di ogni dimostrazione, come appunto il dato irriducibile del dono della vita, dell'essere, del mio “ego cogito”. Il cristianesimo non contraddice la dimensione naturale ragionevole dell'uomo, aggiunge semmai un messaggio importante che rende la natura stessa più “razionalmente comprensibile”.
La dimensione del senso comune, dell'esperienza condivisa attorno al “senso religioso”, fa maturare una fiducia che richiede certamente l’accoglimento della testimonianza di chi ha visto Gesù Cristo; ma pur richiedendo questo libero assenso, è già essa medesima luogo di relazione con il divino. “Dio, se è Dio, ha rispetto della Sua creatura. Egli non è un Padrone che dà all'uomo dei compiti e poi rovescia tutto quello che quest'ultimo ha ottenuto con fatica.” Quindi non esiste contraddizione tra la ragione e la fede, ma anzi la ragione è fondamentale per non scivolare in pericolosi fideismi che scivolano nel fanatismo.
La Chiesa occupandosi della salvezza, come “la questione degli aspetti sapienziali della vita dell'uomo”, si occupa di temi che, in quanto rispondono al sensus communis di tutti gli uomini, non possono essere trattati solo a livello intimistico, ma richiedono di venir discussi in uno spazio pubblico. Le questioni fondamentali dell'uomo influiscono sulla vita. “A Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” sancisce una distinzione che non implica che tra le due sfere non vi debba essere rapporto, ma anzi visto che il Vangelo è la “buona novella”, non impoverirà la natura umana, ma la porterà a compimento. Per questo sia la società laica che quella clericale si incontrano nelle più profonde questioni umane, quelle testimoniate dal Senso Religioso dell'esperienza vissuta.

21.10.07

NESSUNO PUO' SOTTRARSI A QUESTO RICHIAMO


Il contenuto centrale della dottrina cattolica sulla legge naturale “indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale. Ha come perno l'aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell'altro come uguale a se stesso. Nei suoi precetti principali essa è esposta nel Decalogo. Questa legge è chiamata naturale non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura umana” (n. 1955). Con questa dottrina si raggiungono due finalità essenziali: da una parte, si comprende che il contenuto etico della fede cristiana non costituisce un'imposizione dettata dall’esterno alla coscienza dell'uomo, ma una norma che ha il suo fondamento nella stessa natura umana; dall'altra, partendo dalla legge naturale di per sé accessibile ad ogni creatura razionale, si pone con essa la base per entrare in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà e, più in generale, con la società civile e secolare.
Ma proprio a motivo dell'influsso di fattori di ordine culturale e ideologico, la società civile e secolare oggi si trova in una situazione di smarrimento e di confusione: si è perduta l'evidenza originaria dei fondamenti dell'essere umano e del suo agire etico e la dottrina della legge morale naturale si scontra con altre concezioni che ne sono la diretta negazione. Tutto ciò ha enormi e gravi conseguenze nell'ordine civile e sociale. Presso non pochi pensatori sembra oggi dominare una concezione positivista del diritto. Secondo costoro, l'umanità, o la società, o di fatto la maggioranza dei cittadini, diventa la fonte ultima della legge civile. Il problema che si pone non è quindi la ricerca del bene, ma quella del potere, o piuttosto dell'equilibrio dei poteri. Alla radice di questa tendenza vi è il relativismo etico, in cui alcuni vedono addirittura una delle condizioni principali della democrazia, perché il relativismo garantirebbe la tolleranza e il rispetto reciproco delle persone. Ma se fosse così, la maggioranza di un momento diventerebbe l’ultima fonte del diritto. La storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare. La vera razionalità non è garantita dal consenso di un gran numero, ma solo dalla trasparenza della ragione umana alla Ragione creatrice e dall’ascolto comune di questa Fonte della nostra razionalità.
Quando sono in gioco le esigenze fondamentali della dignità della persona umana, della sua vita, dell'istituzione familiare, dell'equità dell'ordinamento sociale, cioè i diritti fondamentali dell'uomo, nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore nel cuore dell'uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che costituisce la sua base irrinunciabile. La legge naturale diventa così la vera garanzia offerta ad ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità, e difeso da ogni manipolazione ideologica e da ogni arbitrio e sopruso del più forte. Nessuno può sottrarsi a questo richiamo. Se per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo e il relativismo etico giungessero a cancellare i principi fondamentali della legge morale naturale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe ferito radicalmente nelle sue fondamenta. Contro questo oscuramento, che è crisi della civiltà umana, prima ancora che cristiana, occorre mobilitare tutte le coscienze degli uomini di buona volontà, laici o anche appartenenti a religioni diverse dal Cristianesimo, perché insieme e in modo fattivo si impegnino a creare, nella cultura e nella società civile e politica, le condizioni necessarie per una piena consapevolezza del valore inalienabile della legge morale naturale. Dal rispetto di essa infatti dipende l’avanzamento dei singoli e della società sulla strada dell’autentico progresso in conformità con la retta ragione, che è partecipazione alla Ragione eterna di Dio. (BXVI)

19.10.07

DAL LIBRO DELLA SAPIENZA


Diceva già il grande poeta inglese T.S. Eliot:

“Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi? Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare. È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri. Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli. Essi cercano sempre d’evadere dal buio esterno e interiore, sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono”.

Nel Libro della Sapienza vi è una drammatica anticipazione della situazione odierna:
“La nostra esistenza è il passare di un’ombra e non c’è ritorno alla nostra morte, poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro. Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano; nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza. Lasciamo dovunque i segni della nostra gioia perché questo ci spetta, questa è la nostra parte. Spadroneggiamo sul giusto povero, non risparmiamo le vedove, nessun riguardo per la canizie ricca d’anni del vecchio. La nostra forza sia regola della giustizia, perché la debolezza risulta inutile. Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l’educazione da noi ricevuta. Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore. È diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti; ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita è diversa da quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade.” (Sap 2, 5-15).