Il
celebre articolo del 1944, con le considerazioni classiche sull'intrinseca giustizia
del sistema maggioritario
Luigi
Einaudi - CONTRO LA PROPORZIONALE
Ogni opinione, secondo i fautori del sistema della rappresentanza
proporzionale, ha diritto di essere rappresentata nei parlamenti, in ragione
del consenso che essa ha tra gli elettori. Se per ogni 100 elettori, 47 sono
conservatori (ripeto l'esempio britannico, per non porre insidiosi incerti
rapporti di forza tra i vari partiti italiani), 38 laburisti e 15 liberali, i
deputati siano, in un grande collegio con molti (100) seggi ed a rappresentanza
proporzionale, all'incirca 47, 38 e 15 rispettivamente; e non si corra il
rischio, come potrebbe verificarsi nei piccoli collegi separati, in cui la
maggioranza elegge essa il deputato, che vadano alla camera 70 conservatori, 30
laburisti e nessun liberale. Fin dal 1842 Victor Considérant in uno dei primi
scritti proporzionalisti affermava: "tutte le opinioni, anche le più
assurde e mostruose, hanno diritto di essere rappresentate".
Ebbene
no. È necessario dichiarare invece apertamente che questa della rappresentanza
delle opinioni è, come tante altre, come ad esempio quella della autodecisione
dei popoli o della separazione assoluta del potere legislativo da quello
esecutivo o della sovranità dei parlamenti sui governi, e, peggiore di tutte,
della sovranità piena degli stati indipendenti, una concezione distruttiva,
anarchica, inetta a dar vita a governi saldi. La rappresentanza proporzionale
fu inventata da aritmetici raziocinatori, inetti a capire che i paesi non si
governano con le regole del due e due fanno quattro, e del 38 più 15 maggiore
di 47. Nossignori: 47 vale più di 38 e 15.
I
parlamenti non sono società di cultura od accademie scientifiche. Sono organi,
il cui scopo unico è quello di formare governi stabili e di controllarne
l'azione. Come disse il primo ministro del primo governo laburista, Ramsay Mac
Donald, le elezioni non si fanno per contare le opinioni, per fare il
censimento (census, in inglese) delle sette, dei ceti, dei partiti, dei
movimenti, dei gruppi sociali, religiosi, politici, ideologici in cui si
fraziona una società, la quale sia composta di uomini vivi e pensanti; ma si
fanno per mettersi d'accordo in primissimo luogo sul nome della persona che in
qualità di primo ministro sarà chiamato a governare il paese, e in secondo
luogo sul nome di coloro che collaboreranno con lui o che ne criticheranno
l'operato. Le elezioni hanno cioè per scopo di creare il consenso (consensus e
non census) intorno ad un uomo ed al suo gruppo di governo ed intorno a chi
oggi sarà il suo critico e domani ne prenderà il posto se gli elettori gli
daranno ragione. Se non si vuole l'anarchia, questo e non una sterile
accademica rassegna di opinioni è lo scopo unico preciso di un buon sistema
elettorale.
Risponde
alla esigenza il sistema della proporzionale? No. I suoi fautori, ossessionati
dall'idea curiosa che un parlamento debba essere la fotografia della infinita
varietà delle opinioni che necessariamente lottano in un paese libero, hanno
dimenticato che non a caso esiste un rapporto fra il sistema elettorale vigente
in un paese ed il numero delle frazioni e dei gruppi in cui si divide il suo
parlamento. Vogliamo che il numero dei partiti, dei gruppi, dei sottogruppi
parlamentari si moltiplichi all'infinito? Dobbiamo in tal caso scegliere la
proporzionale; ma dobbiamo nel tempo stesso sapere che, così facendo, avremo
fatto quel che meglio si poteva per impedire il funzionamento di un governo
solido, duraturo ed operoso. Colla proporzionale, ossia con un collegio
elettorale grande (ad esempio, Lombardia, Piemonte, Emilia, ecc.), chiamato ad
eleggere, supponiamo, 50 deputati, scelti in modo che ogni gruppo, il quale
giunga almeno a 25 mila elettori abbia un proprio rappresentante, noi diamo un
premio al moltiplicarsi dei gruppi. Ognuno, il quale abbia o creda di avere
un'idea capace di attirare a sé 25 mila elettori, promuoverà la formazione di
un proprio gruppo. C'è chi vuole sia posto un dazio sul grano? o chi dice
essere un inaudito sopruso l'obbligo della vaccinazione? o chi voglia la
denuncia del concordato col Vaticano? o la introduzione obbligatoria della partecipazione
ai profitti degli operai? o chiede sia introdotto l'istituto del divorzio? C'è
chi è comunista staliniano? ovvero trotzkista? od anarchico di una delle varie
confessioni? o liberale all'antica, o neo-liberale? conservatore-liberale?
conservatore- riformista? cristiano-centrista o cristiano comunisteggiante?
Perché, chi ha un'opinione distinta e ben netta, chi ha un programma
particolare da attuare, il quale a lui pare sovra ogni altro importante, non
dovrebbe tentare di costituire un gruppo? Ed ecco i 50 deputati della Lombardia
divisi in quattro o cinque o dieci gruppi, provveduti ognuno di tanti deputati
quanti sono i quozienti di almeno 25 mila elettori che ogni gruppo è riuscito a
raccogliere sotto la sua bandiera. Ed ecco i 50 deputati del Piemonte divisi in
altri tre o quattro o sei gruppi, non identici necessariamente ai gruppi
lombardi. In ogni grande collegio, in Liguria, nel Veneto, in Toscana, in
Sicilia, gli interessi, le opinioni, i gruppi sociali sono diversi ed i gruppi
hanno una particolare fisionomia; ed ecco i parlamenti frazionarsi
all'infinito.
Pur
non esagerando, la probabilità della formazione di tre o quattro grossi partiti
e di una diecina di minori gruppi è evidente ed irrimediabile. Con siffatta
composizione non è improbabile che la formazione di una maggioranza di governo
dipenda dall'appoggio di qualche gruppo minore, il quale non rappresenta alcun
interesse veramente generale o nazionale, ma una qualunque idealità
particolare, cara ad una piccola minoranza della nazione. Se ci sono venti
deputati divorzisti ed altrettanti deputati anticoncordatari decisi a vendere
il proprio voto al più alto prezzo, pur di far trionfare il proprio particolare
punto di vista, ci troveremo dinnanzi ad un governo di coalizione, il quale
sarà costretto a far votare dalla propria maggioranza la legge divorzista o
quella anticoncordataria od un'altra qualunque legge, senza che vi sia alcuna
benché minima probabilità che quella legge sia sul serio voluta dalla
maggioranza degli elettori. I deputati sono eletti su programmi
particolaristici, classistici, professionali, religiosi i quali interessano
questa o quella minoranza, questa o quella fazione. Ogni gruppo spinge avanti
il proprio programma particolare; e la legislazione che ne esce è un composto
bizzarro di norme particolaristiche, volute ognuna da una piccola minoranza e
tali che sarebbero, se il referendum fosse una maniera ragionevole di formulare
leggi in faccende talora complicatissime, respinte tutte dalla grandissima
maggioranza dei cittadini.
In
fondo, la proporzionale è il trionfo delle minoranze; ognuna delle quali
ricatta le altre ed il governo, il quale dovrebbe essere l'espressione della
maggioranza, per costringere parlamenti e governi a votare e proporre leggi
volute dai singoli gruppi. Cinquanta divorzisti eletti come tali e formanti
gruppo a sé sono una forza ben diversa da cinquanta deputati, i quali hanno
iscritto il divorzio in un programma più generale di un partito il quale ha
ideali complessi, di cui il divorzismo è solo uno dei tanti aspetti. Il gruppo
dei divorzisti che non si preoccupa d'altro che del divorzio è disposto a dare
il voto a chiunque gli prometta di far trionfare il suo piccolo ideale e può,
all'uopo, addivenire alle alleanze più illogiche. I divorzisti generici invece,
che fan parte di una maggioranza che non vuol rinunciare al governo o che non
vuole perdere la speranza di conquistarlo, daranno al divorzio un posto
adeguato nell'ordine gerarchico dei fini da conseguire; e solo se esso sia
veramente richiesto dalla coscienza giuridica nazionale lo anteporranno agli
altri e giocheranno su esso le fortune del partito.
Insieme ai ricatti, la proporzionale favorisce il dominio dei comitati
elettorali e toglie all'elettore ogni effettiva libertà di scelta dei propri
rappresentanti. In un grande collegio, come la Lombardia od il Piemonte, nel
quale l'elettore deve scrivere o far propri i nomi di 50 candidati, quale
conoscenza mai l'elettore ha di ogni singolo candidato? Ne conoscerà uno o due
o tre; gli altri per lui sono meri nomi. Egli deve votare la lista quale gli è
presentata dal comitato. Ogni cancellazione o sostituzione di nomi sarebbe
inoperante. Tanto vale egli si astenga dall'andare alle urne. Più il metodo
viene perfezionato, con i sistemi delle preferenze o dell'abbinamento delle
liste o dei voti cumulati, più imbrogliamo la testa dell'elettore medio e più
cresciamo il potere dei comitato che combinano le preferenze, i cumuli, gli
abbinamenti. L'elettore buon uomo ha creduto di dare il voto ad una lista perché
in essa aveva veduto i nomi di persone stimate e note, ed alla fine, con sua
stupefazione, vede quei nomi cacciati in fondo alle liste, epperciò non eletti.
In testa, sono arrivati i traffichini, coloro che combinano e pasticciano
liste, preferenze, cumuli e simiglianti imbrogli.
I
comitati, divenuti padroni delle elezioni, fanno degenerare l'istituto del
mandato rappresentativo; che, se vale qualcosa, è un mandato di fiducia dato ad
una persona, affinché questa voti od operi nel modo che la coscienza gli detta
nelle circostanze ognora mutabili della vita pubblica. Ma i comitati non
vogliono nei parlamenti uomini dalla coscienza indipendente; si invece uomini
che attuino quel programma che sta scritto nelle tavole della legge del partito
o del gruppo o gruppetto; epperciò si inventano. i mandati imperativi, con le
dimissioni in bianco, sottoscritte dai candidati prima delle elezioni e spedite
d'ufficio al presidente della camera quando il deputato recalcitri agli ordini
del comitato del partito, del gruppo o gruppetto. Il flagello dei comitati non
è proprio della proporzionale; ma è aggravato da questa. Che cosa è il
candidato invero, se non un numero di una lista? È forse egli una
"persona" atta a pensare e deliberare in modo autonomo? No. Egli è
stato votato perché iscritto in una lista. Talvolta gli elettori non scrivono
neppure il suo nome; e sono invitati a votare per la lista bianca o verde o
rossa o gialla. Se egli, bianco, alla camera vota coi verdi, è un traditore e
sarà espulso.
Moltiplicando i partiti, ed asservendoli ai comitati, la proporzionale
favorisce le dittature ed i colpi di mano. Col sistema della maggioranza, ogni
partito ha la speranza di diventare in avvenire maggioranza seguendo le vie
legali della persuasione degli incerti. Ma quale mai speranza può avere una
minoranza di... - chiamiamoli divorzisti od antivaccinisti per non designare in
modo particolare questo o quel partito, che invece potrebbe essere di
maggioranza o parte della maggioranza - quale speranza, dico, possono avere i
divorzisti o gli antivaccinisti di diventare maggioranza? Nessuna. La
proporzionale dà ad ogni partito o gruppo tanti rappresentanti quanti sono gli
elettori aderenti a quel credo. Quale probabilità ha il divorzista di far
proseliti tra gli antivaccinisti e di diventare cosi maggioranza? Nessuna: il
divorzista resta tale e l'antivaccinista pure. Perché dovrebbe accedere
all'opinione altrui? Altro rimedio non resta, per conquistare la maggioranza,
se non ricorrere all'antico, accettato e lodato metodo dello spaccare le teste
degli avversari, invece di contarle, come è usanza delle contrade civili.
Se
in questa materia le statistiche valessero qualcosa, varrebbe la pena di fare
il conto dei paesi governati dopo il 1918 da costituzioni perfettissime elaborate
da costituenti sapientissime e naturalmente rette da parlamenti eletti a norma
delle più raffinate regole proporzionalistiche. Si vedrebbe che nei paesi i
quali dimenticarono l'aurea massima secondo cui le sole costituzioni vitali
sono quelle che o non furono mai scritte, come quella britannica, o se in tempi
oramai remoti (1787, 1848, ecc.) furono scritte, i costumi e gli emendamenti ne
cambiarono la faccia in modo da renderle di fatto una cosa tutta diversa da
quella originaria; si vedrebbe che quasi sempre le assemblee
proporzionalistiche andarono a finire nella dittatura. Uno scrittore americano
fece quel conto; ed essendogli venuto fuori il bel risultato che dopo il 1919
la proporzionale finì bene in stati abitati da 40 milioni di abitanti e finì male,
ossia con la dittatura in assai più stati, popolosi di ben 200 milioni,
concluse che la proporzionale è il vero cavallo di Troia con cui i regimi
autoritari riescono a penetrare nelle fortezze democratiche. Insigne fra i casi
di tradimento della proporzionale fu quello italiano, dove, grazie a quel
sistema, nessun governo duraturo poté reggere dopo il 1918.
Bisogna
rassegnarsi a piantarla lì con i piccoli giochetti aritmetici della cosiddetta
giustizia proporzionale nel decidere intorno a faccende serie come sono le
scelte dei legislatori e dei governi. Non è cosa seria presentare liste
composte non di nomi di persone, ma di formule stampate nei più diversi colori
dell'iride. L'elettore fa d'uopo sia costretto a decidersi: o Tizio o Caio. Se
anche Sempronio o Mevio si vogliono presentare ai suffragi dei conterranei,
buon pro lor faccia. Ma l'elettore deve, se vuol scrivere qualcosa, metter giù
un solo nome, quello della persona che a lui pare più meritevole dell'alto
onore. In Italia, se i deputati dovranno essere 500, si dovran fare 500 collegi
o distretti elettorali di circa 90 mila abitanti l'uno. Un distretto di 90 mila
abitanti è una entità naturale. Gravita attorno a una cittadina, ad un luogo di
mercato; è composto di comuni aventi interessi affini, abitati da gente che ha
reciproci rapporti quotidiani. I candidati sono personalmente conosciuti dai
loro amici: operai o contadini, bottegai od artigiani, non di rado
professionisti noti e più o meno stimati.
Saranno
celebrità locali? Tanto meglio. In un parlamento si infiltrano sempre troppi
uomini celebri, illustri in questa o quell'arte o scienza e sovratutto
nell'oratoria. Manca invece la gente la quale viene dal basso, che ha compiuto
le sue prove facendo il sindaco o l'assessore dei comuni, governando leghe
degli operai, cooperative o consorzi agricoli, amministrando opere pie od
ospedali. Il collegio piccolo, nel quale un solo candidato riesce eletto, non è
certo il toccasana. Tirannie di comitati, mandati imperativi, imbrogli di
faccendieri, imbottimento di crani della buona gente ad opera di chiacchiere di
arrivisti sono mali inevitabili. Nessun parlamento al mondo vi si può
sottrarre. La mediocrità di tanti deputati italiani d'innanzi 'al 1922 era
dovuta al sistema amministrativo accentrato, che faceva di ogni deputato un
galoppino procacciante favori agli elettori. Ridiamo vita autonoma ai comuni ed
alle regioni, mandiamo a spasso i prefetti ed avremo risanato in gran parte,
nel solo modo adatto, la vita parlamentare.
Se
non è il toccasana, il collegio piccolo è il solo modo di forzare l'elettore a
decidersi. È da riflettere persino se non convenga abolire il ballottaggio e
proclamare vincitore subito il candidato il quale ha ottenuto la maggioranza
relativa dei voti. Se i votanti sono 20000, e Tizio ha avuto 8000 voti, Caio
7000 e Sempronio 5000; sia eletto senz'altro Tizio, sebbene non abbia raggiunto
la metà più uno dei voti. Peggio per gli elettori i quali non hanno saputo
decidersi e tra il bianco di Tizio e il rosso di Caio, hanno preferito il
grigio di Sempronio. In Inghilterra, tra i conservatori ed i laburisti, i
liberali sono stritolati e perdono costantemente terreno. Gli elettori liberali
si stancano di disperdere i loro voti e finiscono per riversare i loro voti, a
seconda delle inclinazioni, sui conservatori o sui laburisti. Vecchio (sebbene
abbia l'ingenuità di credermi, con altri quattro gatti dispersi nei cantoni più
diversi del mondo, un neo-liberale) liberale quale sono, non mi allarmo affatto
di questa scomparsa apparente del liberalismo. Essa vuol dire che il
liberalismo sta permeando, sta trasformando i due grandi partiti: rende più
aperti alle idee nuove i conservatori e più cauti e sperimentati i laburisti,
che da noi si direbbero socialisti; rende liberale il conservatorismo e crea il
socialismo liberale.
L'errore massimo di principio della proporzionale è di confondere la lotta
feconda delle parti, dei gruppi, degli ideali, dei movimenti, la quale ha luogo
nel paese, con la deliberazione e l'azione dei parlamenti e dei governi. Nessun
parlamento, nessun governo funziona se il sistema elettorale irrigidisce i
partiti, i gruppi, le classi, i ceti sociali, le tendenze, le idee, dandone la
rappresentanza esclusiva a talune persone elette perché mandatarie di quei
gruppi o di quelle idee. Occorre vi sia un congegno il quale obblighi le idee,
i gruppi, i ceti a cercare quel che essi hanno di essenziale, di comune con
altri, a classificare i fini ed a rivolgere la propria azione verso quel fine
che ha il consenso dei più. I divorzisti hanno ragione di patrocinare il loro
fine; ma è gran bene che lo attuino soltanto quando esso sia divenuto
convinzione della maggioranza, quando questa lo abbia messo in testa al proprio
programma. Se eletti come gruppo, gli uomini decisi a far trionfare il divorzio
sono una peste sociale, un germe di dissoluzione della società politica.
Gli
stessi uomini scelti perché, in contrapposto ad altri uomini, furono ritenuti i
migliori, hanno interessi ed ideali complessi da far trionfare, di cui il
divorzio è uno solo, e l'opera loro potrà essere utile. L'idea nuova non si
difende e non si fa trionfare nei parlamenti. Essa nasce nei libri e nelle
riviste, si propaga nei giornali, dà origine ad associazioni, a gruppi di
propaganda; conquista l'opinione pubblica, e cioè l'opinione media, quella di
coloro che non sono già gli adepti di un credo. Solo allora, ed è bene che ciò
accada solo allora, se non si vuole che i parlamenti siano popolati da
inventori sociali, da fanatici, da gente tocca nel cervello, gli uomini
politici se ne accorgono. Solo allora i capi della minoranza vedono in quel
movimento un pretesto per -criticare il governo, il quale non ha ancora capito
l'importanza della nuova idea. Solo allora i capi della maggioranza di governo,
costretti a difendersi, si occupano del problema posto dall'idea nuova e vanno
al contrattacco, dimostrando che l'idea non è nuova ed è sbagliata. La lotta si
accende e, se davvero l'idea è nuova e vitale, viene il giorno in cui il capo
della maggioranza, se vuol sopravvivere, proclamerà: l'ho sempre detto anch'io!
e, convertendo quella idea in legge, la fa trionfare nel momento giusto. Se il
trionfo, per ricatto di gruppi, avesse avuto luogo prima, sarebbe stato
ingiusto ed effimero.
(Luigi
Einaudi, L'Italia e il secondo risorgimento, supplemento alla
"Gazzetta ticinese", 4 novembre 1944, a firma "Junius".)
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