7.12.08

PERCHÉ DOBBIAMO DIRCI CRISTIANI


Dopo le critiche alla deriva del liberalismo che, tradendo le intenzioni dei propri padri, ha finito per identificarsi col laicismo, Pera tratta dell’apostasia cristiana dell’Europa, che ha scelto di rinnegare le proprie radici, perdendo inevitabilmente la propria identità. Identità che il Vecchio Continente ha poi tentato di ricostruire sulle basi friabili del relativismo e del multiculturalismo, trovandosi infine impreparato di fronte alle sfide del nuovo millennio, l’integralismo islamico su tutte.
Il dialogo si fa quando si decide di usare la parola, non la forza, quando si cerca di convincere con le buone ragioni, non con l’imposizione. Il Papa a Ratisbona fu chiarissimo, almeno per coloro che vogliono capire o non hanno paura di capire: non disse che l’islam è una religione violenta, storia e scrittura alla mano pose la questione. Fece una domanda, e gli fu risposto con tracotanza. L’Europa dei nostri bravi e coraggiosi capi di Stato e di governo, naturalmente capì la domanda, ma subì la tracotanza. Quasi chiese scusa.
L’idea illuminista di vivere «come se Dio non esistesse» non dà frutti. Mentre accogliere la sfida di Benedetto XVI a vivere «come se Dio esistesse» da all’uomo contemporaneo una speranza che il nichilismo e il relativismo hanno finito per soffocare. Noi «dobbiamo» vivere come se Dio esistesse. Non si deve solo credere “che”, ma credere “in”. Credere “che” è diverso da credere “in”. Il cristianesimo è la fonte della nostra migliore civiltà, le virtù cristiane sono le migliori per la vita individuale e collettiva, l’idea dell’unità di tutto il genere umano perché figlio di Dio ha prodotto le migliori conquiste civili, eccetera. Chi crede “in”, fa un passo oltre: crede in una Persona, ha esperienza di un incontro, avverte una presenza. Costui è il credente in senso stretto, l’uomo di fede. Credere “che” è indispensabile, è uno sforzo che ciascuno deve fare, ma il credere “in” è un atto di grazia, che non dipende da alcuno sforzo intellettuale. Per il credente, Cristo si dà, si manifesta, si incontra, non si prova o argomenta. È necessario però che chi si limita al solo credere “che” non chiuda la porta al credere “in”, non lo consideri un atto irrazionale o impossibile. Il messaggio di Pascal o di Kant consiste proprio nell’apertura al credere “in”.