8.2.09

STATO VEGETATIVO E ACCANIMENTO TERAPEUTICO


Nel caso di Eluana non si può parlare di accanimento terapeutico perché non ci troviamo di fronte a un trattamento che le sta procurando sofferenza, almeno per quanto traspare all’esterno. Peraltro la sofferenza non la si evince soltanto dal fatto che uno si lamenta o dice di avere dolore, ma lo si vede anche da parametri scientifici ben precisi: quando c’è dolore, ad esempio, aumenta la pressione, aumenta la frequenza cardiaca, ci sono insomma parametri oggettivi per cui è possibile capire se un soggetto soffre o no. Nel caso di Eluana i neurologi dicono che questo non accade. Quando papa Giovanni Paolo II ha chiesto, peraltro cosciente, che non venisse attuato accanimento terapeutico in relazione alla patologia di base che lo aveva portato a quel punto, non ha mai chiesto che venisse sospesa l’alimentazione o l’idratazione. Il Papa aveva chiesto di evitargli ulteriori gravosità nella sopportazione della malattia, e proprio per questo l’ha potuto chiedere legittimamente. La legittimità di rifiutare interventi che possono essere sproporzionati per il soggetto viene attuata dal soggetto stesso come dice anche il documento “Iura et bona” sull’eutanasia. La volontà del soggetto è l’elemento fondamentale: è il soggetto che valuta per sé questa condizione e decide se una determinata situazione che sta vivendo è proporzionata o no alla propria capacità di sopportazione, se è efficace o no per affrontare il problema. E questo elemento della volontà attiva del soggetto è il primo che manca nel caso di Eluana. Della volontà di Eluana, oggettivamente, non sappiamo nulla. Quando si deve valutare la proporzionalità di un intervento e quindi l’opportunità di continuarlo, si deve valutare l’obbiettivo per cui viene fatto. Se è terapeutico, per risolvere cioè una situazione patologica, si valuta la sua efficacia. Se non è efficace, lo si interrompe, ma nel caso di Eluana, l’intervento è proporzionato e gli effetti si vedono, tant’è che ha permesso di nutrire una persona per 17 anni, senza procurarle alcuna sofferenza. L’accanimento terapeutico si ha quando i trattamenti non portano alcun beneficio e sono ingiustamente penosi e contrari al bene della persona.