8.11.09

SUL RELATIVISMO


Sui diritti umani si registrano due posizioni genericamente etichettabili l'una come universalista e l'altra come relativista: cioè tra la posizione di chi ritiene che a tutti spettino determinati diritti e che quindi questi debbano essere dovunque tutelati e la posizione di chi, rilevando che l'idea dei diritti umani appartiene ad una cultura particolare, affermatasi in occidente a partire dal XVII secolo, sostiene che pretendere la validità universale di questi diritti equivale ad adottare una posizione dogmatica sul piano teorico e imperialista su quello pratico. Quasi tutti si dichiarano relativisti. Il loro relativismo si sostanzia essenzialmente nelle seguenti idee: ogni cultura ha la propria morale e noi non abbiamo il diritto di imporre la nostra alle altre culture, così come esse non hanno il diritto di imporre a noi la loro; e un corollario di queste idee che talvolta emerge nella discussione è che, date le profonde differenze tra le diverse culture, sarebbe bene che ognuno restasse dentro la propria, cioè nel proprio paese, invece di migrare e portare scompiglio nel corpo di culture cui è estraneo.
La diffusione del relativismo etico nelle società occidentali è in un certo senso apparente, in quanto dipende principalmente da equivoci verbali e da una certa mancanza di chiarezza sul contenuto, sulle giustificazioni e sulle implicazioni delle diverse tesi che possono essere etichettate come relativiste. Basta fare un po' di chiarezza e il relativismo etico cessa di apparire ragionevole, tranne che in alcuni dei suoi possibili sensi, innocui dal punto di vista politico e più in generale pratico.
Per la verità di Diego Marconi è un ottimo libro per il rigore dell'analisi e la chiarezza dell'esposizione, ma anche un libro necessario, almeno nel nostro paese, per dissolvere il pervasivo fantasma del relativismo.

Il saggio si estende per tre brevi e chiari capitoli – Verità (pp. 3-47), Relativismi (pp. 49-87) e La paura della verità (pp. 89-159), con l’aggiunta di un’Appendice -, i primi due dei quali gettano le basi per una più ampia e matura comprensione dell’ultima sezione sul relativismo morale che, per i temi inequivocabilmente trattati non su come la vita è, ma su come essa dovrebbe esplicarsi, è forse presente all’interno della questione pubblica in maniera maggiore rispetto ai problemi sul relativismo concettuale ed epistemico. Il relativismo morale è una forma di pensiero maggiormente diffusa nel quotidiano, nella fattispecie di quello che Marconi chiama relativismo dell’equivalenza, secondo il quale tra valori e sistemi sociali differenti non sussiste alcuna differenza e, non avendo meta-criteri di giudizio, sarebbe meglio astenersi dal comparare e dal giudicare i valori altrui che, il più delle volte, sembrano condizionati dai gusti personali, dalle scelte di vita e dalle condizioni – spesso costrizioni – sociali in cui si è immersi. La massima apertura al nichilismo etico si configura nella misura in cui, abolita la dimensione morale dell’esistenza e svuotato il vocabolario dell’etica, consideriamo tutti i gusti sullo stesso livello, incapaci di porre una differenza, ad esempio, tra i principi sostenuti dai membri del Ku Klux Klan e dal monaco buddista: incapacità di scelta, incapacità di azione.

In realtà se «le cose sono là fuori e sono come sono indipendentemente da quel che ne possiamo pensare noi, i valori invece, non sono là indipendentemente dal fatto che noi li attribuiamo» (p. 113) ed è quindi errato credere che da una realtà data seguano leggi ed imperativi etici aprioristicamente determinati.
Lontani dalle pretese di dogmatismo e fondamentalismo etico, dovremmo considerare l’intera umanità come una sola persona nel dialogo con se stessa, sensibile a valori diversi e spesso potenzialmente antagonistici tra loro: il giudizio non necessita di alcun punto di vista universale e oggettivo sulla realtà umana. Abbiamo bisogno di riscoprire l’umanità all’interno della sua piena dimensione temporale, abbandonando un dover-essere di sterile concezione metafisica e fondando da homo creator i fondamenti per l’azione morale: è l‘esserci dell’uomo a chiamarlo alla scelta nell’hic et nunc del quotidiano, non in un vuoto libero arbitrio, ma nella piena libertà responsabile.