Alcune domande molto concrete per la vita cristiana
La risposta alla prima domanda è: sì, possiamo amare Dio, dato che Egli non è rimasto in una distanza irraggiungibile, ma è entrato ed entra nella nostra vita. Viene verso di noi, verso ciascuno di noi, nei sacramenti attraverso i quali opera nella nostra esistenza; con la fede della Chiesa, attraverso la quale si rivolge a noi; facendoci incontrare uomini, che sono da lui toccati, e trasmettono la sua luce; con le disposizioni attraverso le quali interviene nella nostra vita; con i segni della creazione, che ci ha donato. Egli non ci ha solo offerto l’amore, bensì lo ha vissuto per primo e bussa in tanti modi al nostro cuore per suscitare il nostro amore di risposta. L’amore non è solo un sentimento, vi appartengono anche la volontà e l’intelligenza. Con la sua parola, Dio si rivolge alla nostra intelligenza, alla nostra volontà e al nostro sentimento di modo che possiamo imparare ad amarlo “con tutto il cuore e tutta l’anima”. L’amore, infatti, non lo troviamo già bello e pronto, ma cresce; per così dire noi possiamo impararlo lentamente in modo che sempre più esso abbracci tutte le nostre forze e ci apra la strada per una vita retta.
La seconda domanda è la seguente: possiamo davvero amare il “prossimo”, che ci è estraneo o addirittura antipatico?
Sì, lo possiamo, se siamo amici di Dio. Se siamo amici di Cristo e in questo modo ci diventa sempre più chiaro che egli ci ha amato e ci ama, benché spesso noi distogliamo da lui il nostro sguardo e viviamo seguendo altri orientamenti. Se però la sua amicizia diventerà, a poco a poco, per noi importante e incisiva, allora cominceremo a voler bene a coloro ai quali lui vuole bene e che hanno bisogno del mio aiuto. Egli vuole che noi diventiamo amici dei suoi amici e noi lo possiamo se gli siamo interiormente vicini.
Da ultimo vi è la domanda: con i suoi comandamenti e i suoi divieti la Chiesa non ci rende amara la gioia dell’eros, dell’essere amati, che ci spinge all’altro e vuole diventare unione?
Nell’enciclica ho cercato di dimostrare che la promessa più profonda dell’eros può maturare solo quando non cerchiamo di afferrare la felicità repentina. Al contrario troviamo insieme la pazienza di scoprire sempre più l’altro nel profondo, nella totalità di corpo e anima, di modo che da ultimo la felicità dell’altro diventi più importante della mia. Allora non si vuole più solo prendere, ma donare e proprio in questa liberazione dall’io l’uomo trova sé stesso e diviene colmo di gioia. Nell’enciclica parlo di un percorso di purificazioni e maturazioni necessario perché la vera promessa dell’eros possa adempiersi. Il linguaggio della tradizione l’ha chiamato “educazione alla castità”, che, da ultimo, non significa altro che l’apprendimento dell’amore intero nella pazienza della crescita e della maturazione.
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