Il chestertoniano elogio di limiti e divieti
La convinzione che la libertà significhi soprattutto libertà di vietare e necessità del limite è tema centrale dell’opera di Gilbert Keith Chesterton. Un paradosso “serio”, fertile di sviluppi, sia saggistici che narrativi, ricorrente nelle pagine dei suoi libri. La polemica contro l’“ostinato e folle tentativo di procurarsi il piacere senza pagarne lo scotto” è già presente in uno dei primi scritti, la “Difesa dei voti avventati” (1901). Che si trasforma in un’accusa contro coloro che, seguitando “a blaterare di libertà”, celebrano la licenza di garantirsi, in ogni situazione, una via di fuga, che contrabbandano come nuova frontiera del progresso. E invece “è proprio questa porta secondaria, questa sensazione di avere un rifugio alle spalle che, a nostro avviso, rende sterile il piacere moderno”. L’equivoco è quello di considerare ogni pensiero forte come una minaccia oscurantista e il dubbio come una risorsa di libera affermazione della personalità, la fede e il dogma come castrazione e il relativismo come ventaglio di possibilità a cui attingere per un equilibrato punto di vista sul mondo. (continua)
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