8.7.06

La famiglia


La Costituzione italiana definisce la famiglia «una società naturale fondata sul matrimonio». Parole sacrosante, a patto che si capisca che "naturale" non significa "comunemente diffusa", o "statisticamente dominante". Quando parliamo di famiglia naturale, di società naturale, parliamo di istituzioni che rispondono alla natura dell'uomo, che interpretano cioè la più profonda essenza dell'essere umano, che rispondono ai più veri desideri del cuore. Proprio per questo loro grande valore, non sono facili da creare e da mantenere in vita: hanno bisogno di un largo consenso culturale e del sostegno della legge. Il matrimonio monogamico eterosessuale con promessa di mutua fedeltà ed assistenza è allo stesso tempo un'istituzione naturale e il frutto di un'evoluzione antropologica molto lunga ed impegnativa. È un'istituzione naturale perché risponde al desiderio umano di amore vero. L'amore vero è dono totale ed esclusivo di sè all'altro e affidamento senza riserve di sè all'altro. Il matrimonio monogamico è la versione istituzionale di questo genere di amore, che non è veramente un genere fra gli altri, ma è l'Amore umano con la A maiuscola. Però il matrimonio monogamico eterosessuale è anche il prodotto di una lunga evoluzione culturale, perché cronologicamente appare molto tardi nella storia dell'umanità, effettivamente dopo l'avvento del cristianesimo, e anche oggi è relativamente raro. I vantaggi sociali della famiglia fondata su questo tipo di matrimonio sono noti: riguardano la posizione della donna nella società e l'educazione dei figli. Nella famiglia poligamica la donna è una proprietà, in quella monogamica è una persona. Nelle società dominate dalle famiglie monoparentali, dove la donna da sola cresce i figli in assenza del padre, che ha rifiutato il matrimonio o ha abbandonato il focolare domestico - una situazione generalizzata nell'Africa urbanizzata e in America latina - i figli crescono con una grande debolezza psicologica e spesso fragilità fisica. Chi ha visto torme di ragazzi di strada nelle grandi città del Kenya, del Camerun e del Perù, sa che sono condannati a una vita di stenti e di precarietà, fatta di soggiorni in prigione, prostituzione, malattie sessualmente trasmissibili, violenze e pestaggi. Non sono il prodotto della povertà: ci sono regioni povere del mondo dove i ragazzi non vivono abbandonati per strada. Sono il prodotto della disintegrazione della famiglia. (Rodolfo Casadei - Tempi)