19.12.06

IL SEME DELLA NUOVA RIVOLUZIONE


La scarna, disperata contestazione degli studenti è la spia d’un malessere forse più diffuso e profondo di quanto non si pensi. Gli studenti han gridato «abbasso il dittatore», «morte al tiranno bugiardo»; i più animosi hanno tentato di attaccare il podio, altri hanno spaccato le cineprese della tv, bruciato gigantografie di Ahmadinejad. Presto si è giunti a un feroce scambio di accuse, di maledizioni interrotto dall’arrivo, tardo, degli sbirri. La propaganda governativa fa spallucce definendo «insignificante» la sortita di «quattro cani sciolti». Ma erano anch’essi «cani sciolti» quei «quattro» che nel lontano 1979 contestarono Hoveida, il primo ministro dello Scià, nel campus dell’università di Teheran. Qualcuno di quei ragazzi scomparve, altri vennero arrestati e torturati dalla Savak, la polizia segreta, ma i pochi superstiti di quella che le autorità con sussiego definirono una «jacquerie paramarxista» furono il seme della rivoluzione a mani nude che disarcionò il potentissimo Scià. Disgraziatamente l’impresa di Khomeini ha partorito un regime inetto e senza misericordia. Da qui l’obbligo per l’Occidente di inviare un segnale ai ragazzi contestatori, ai loro compagni. Non è con gli ipotizzati blitz aerei sui siti nucleari che si può pensare d’abbattere la dittatura in turbante. Tocca alla società iraniana, ai nuovi Rastignac, già delusi dalla «primavera di Khatami», denunciare il «sistema» accelerandone così la fatale implosione. Tocca a noi non lasciarli soli, quei coraggiosi.