4.1.07

LA MENTALITA' GENERATA DAL CATTO-COMUNISMO E' ANCORA VIVA


Dopo il crollo del muro di Berlino (1989) e di quasi tutti i 31 paesi a regime comunista nel mondo, è scomparso il sogno di una “rivoluzione mondiale”, sono sfioriti i miti della Cina di Mao, la Cuba di Fidel Castro, il Vietnam di Ho Chi Minh e le molte “guerriglie di liberazione”. Anche il catto-comunismo è morto, ma la mentalità profonda generata da quella follia ideologica è ancora ben viva in alcune stampe e gruppi e associazioni di radice cristiana.
Per “cattocomunismo” non s’intende quello storico di Franco Rodano e Claudio Napoleoni, nato durante la Resistenza e nel dopoguerra confluito nel PCI con il “Partito della sinistra cristiana”; ma quello popolare e movimentista, nato dal dissenso cattolico nel “sessantotto” del post-Concilio e poi in Cile nel 1972 con “i cristiani per il socialismo”, quando era comune sentir dire in ambienti cattolici che “il socialismo è l’unica speranza dei poveri”.
Ci sono nel “catto-comunismo” tre elementi che sussistono tutt’oggi come mentalità di fondo.
1) Anzitutto il complesso d’inferiorità dei cattolici per quanto riguarda la capacità di leggere la società e la storia: si pensava che, in campo sociale e politico, i comunisti avessero dei criteri di giudizio più corretti, storicamente più efficaci. A quel tempo si leggeva sulla stampa cattolica (anche di studio) che “la Chiesa non ha elementi per dare giudizi sulle realtà politico-economico-sociale del nostro tempo… Bisogna ricorrere all’analisi scientifica della società condotta da Marx e dai suoi discendenti”. Era politicamente corretto non parlare della “Dottrina sociale della Chiesa”; Paolo VI aveva usato questa terminologia nel Sinodo episcopale sulla giustizia nel mondo nell’ottobre 1971, ma in seguito preferì usare altre parole per non essere definito reazionario. Chi ha rilanciato con forza la “Dottrina sociale della Chiesa” è stato Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio internazionale a Puebla (Messico, gennaio 1979), parlando dei problemi sociali dell’America Latina.
2) L’ideologia cattocomunista diceva che per una buona convivenza civile nella società italiana dominata da una “cultura” sempre meno cristiana, il primato era da dare alla dimensione orizzontale della vita, ai problemi sociali; il che poi portava con sé il primato dello stato, del “servizio pubblico”, con la demonizzazione di scuole cattoliche e ospedali cattolici (definiti “per i ricchi”). Era già chiaro a quel tempo che per “servire i poveri” la statalizzazione di tutti i servizi e le attività sociali ed economiche non solo non è positiva, ma diventa facilmente e quasi inevitabilmente negativa dei poveri stessi; anche qui, è un giudizio che non tiene conto dei fattori spirituali e culturali, ma solo di quelli materiali, economici, politici. Quando il cattocomunismo si affermava, i modelli esaltati di liberazione dei poveri erano appunto la Cina di Mao, il Vietnam di Ho Chi Minh, il Mozambico di Samora Machel e via dicendo; insomma i paesi a regime comunista, che hanno schiavizzato i loro popoli, peggiorando le loro condizioni di vita. Ma poteva venire qualcosa di buono da ideologie e regimi che combattevano Dio e perseguitavano la Chiesa?
3) Il terzo aspetto negativo del cattocomunismo, conseguenza di quanto sopra, è una diminuzione dell’affetto per la Chiesa cattolica e, in ultima analisi, un appannamento della fede e dell’appartenenza alla comunità di Cristo che ci trasmette la fede, il dono più grande che Dio ci ha fatto dopo la vita. Certamente solo Dio vede la fede nel cuore e nei pensieri di ciascuno, ma noi tutti sperimentiamo che la fede non è solo un fatto di intelletto, ma anche di cuore, di passione; e questo vale anche per la preghiera, cibo indispensabile e quotidiano per mantenere la fede: si prega bene quando ci si sente a casa propria, quando tutta la persona è contenta e ringrazia Dio di averle dato la fede e la Chiesa. Se invece viene meno per vari motivi l’amore, la passione e la gioia di appartenere alla Chiesa, tutto il resto è in pericolo.
(da Il Timone)