29.11.09

RELATIVISMO ETICO, ANTIDOGMATISMO, TOLLERANZA, PACIFISMO


Il relativismo viene talvolta considerato attraente in quanto viene confuso con l'antidogmatismo, cioè con l'atteggiamento di chi non erige le proprie convinzioni a dogmi inattaccabili dalla critica ed è pronto a rivederle alla luce delle convinzioni altrui, mostrandosi così disponibile al dialogo e attento alle ragioni degli altri. A questo riguardo si può rilevare da un lato che appare inopportuno chiamare relativismo l'antidogmatismo e dall'altro lato che l'antidogmatismo, così come il dogmatismo, non è implicato da alcuna delle diverse posizioni del relativismo etico, né peraltro dalle posizioni che a queste si contrappongono. Chi adotta il relativismo etico normativo, cioè chi adotta una dottrina morale relativista, può essere indifferentemente dogmatico o antidogmatico, cioè pronto a mutare la propria dottrina morale, non diversamente da chi adotta una dottrina morale universalista.
Per il relativismo, la questione se un certo giudizio morale sia vero o falso è in un certo senso una questione privata di colui che proferisce il giudizio, poiché questo sarà probabilmente vero per il parlante, cioè sulla base delle credenze morali fondamentali che egli adotta (e presumibilmente falso sulla base di altre credenze morali fondamentali che altri adottano o potrebbero adottare). Chi adotti la posizione relativista, dunque, non ha particolari motivazioni a prendere in considerazione i giudizi morali avanzati dagli altri e le ragioni con cui questi sono giustificati: la questione se questi giudizi, date le ragioni che li sorreggono, siano candidati alla verità migliori dei propri giudizi difficilmente si pone là dove si ritiene che ogni individuo abbia le proprie verità. Ancor meno propenso a valutare i propri giudizi morali confrontandoli con quelli degli altri sarà poi chi adotta la posizione dello scetticismo metaetico: per chi è convinto che i giudizi morali esprimano solo sentimenti ed emozioni, ovvero gusti personali, non sembra infatti ragionevole intavolare una discussione al fine di individuare il giudizio morale migliore, cioè sorretto più solidamente da ragioni (come è noto, è inutile disputare intorno ai gusti).
Un'altra attrattiva del relativismo viene talvolta individuata nella tolleranza, poiché ad alcuni sembra che il relativismo, in qualcuna delle sue forme, implichi la tolleranza. Il relativismo etico normativo, in una sua versione, prescrive effettivamente una certa forma di tolleranza, in quanto prescrive ad ogni cultura di non interferire negli affari delle altre culture. Certamente, però, il relativismo normativo non prescrive, in nessuna delle sue forme, la tolleranza alla quale siamo soliti attribuire valore, cioè la non interferenza del potere in determinati ambiti dell'azione umana, come quelli della manifestazione del pensiero o della religione: esso conferisce infatti validità alle regole di ogni possibile cultura, a prescindere dalla questione se queste garantiscano o non garantiscano la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa o qualunque altra libertà.
Un'idea piuttosto diffusa è che il valore della tolleranza presupponga il relativismo metaetico o lo scetticismo metaetico, perché solo dalla convinzione che in etica vi siano molte verità o nessuna verità può seguire l'idea che non vi è alcuna ragione per imporre agli altri le nostre credenze morali o determinati comportamenti che ci appaiono giusti. Anche questo modo di pensare, però, è evidentemente sbagliato: relativismo metaetico e scetticismo metaetico non implicano alcun valore particolare, e dunque neppure il valore della tolleranza.
Alcuni sembrano infine ritenere che dal relativismo segua il pacifismo e dal suo opposto la legittimazione della guerra, almeno in alcune circostanze. In particolare vengono addossate responsabilità belliche alle dottrine morali universaliste che fanno proprio il valore della democrazia o l'idea dei diritti umani. Anche questa posizione, però, è evidentemente sbagliata. Da un lato è vero che il relativismo etico normativo assicura la pace tra le diverse culture (mentre ciò non è evidentemente assicurato né dal relativismo etico descrittivo né dal relativismo metaetico). Dall'altro lato, però, è falso che l'universalismo etico normativo legittimi necessariamente la guerra in qualche circostanza. Le dottrine morali universaliste possono infatti essere le più varie quanto al contenuto, e dunque possono essere le più varie anche le posizioni che da esse discendono riguardo alla legittimità della guerra nell'una o nell'altra circostanza.
Neppure si può sostenere che la guerra sia necessariamente legittimata da dottrine universaliste che facciano proprio il valore della democrazia o l'idea dei diritti umani. Se e in quali circostanze la guerra sia legittima dipende, ancora, dal contenuto complessivo di queste dottrine. È certamente probabile che dottrine di questo genere consentano azioni e interventi volti a favorire l'instaurazione di regimi democratici o a garantire la protezione dei diritti umani. Ma questi non saranno necessariamente interventi bellici: sono indubbiamente possibili dottrine universaliste che in ogni circostanza (o in quasi tutte le circostanze) consentano solo forme di intervento che sarebbero giudicate favorevolmente dalla maggior parte dei pacifisti.
(Diciotti)