Che
fortuna: nel labirinto burocratico-giudiziario, nel paradiso dei ricorsi e dei
commi, l`Italia sta scaraventando via 25 milioni degli odiosi privati di modo
che i pezzi del Colosseo in via di sgretolamento per mancato restauro restino
saldamente nelle mani dello Stato. Che fortuna: grazie agli acrobati del
cavillo, agli ideologi del dirigismo statalista che non scende a patti con quel
mostro sociale che sono i «privati», l`Italia non diventerà come gli altri
Paesi civili, dove i privati, addirittura incentivati da una demenziale e
capitalistica politica di detrazioni fiscali, contribuiscono alla manutenzione
e al buon funzionamento di musei, biblioteche, opere d`arte, gioielli
architettonici.
Poveri
ma di Stato, rimarremo sempre.
Le
opere d`arte in malora, ma in malora pubblica, nell`attesa che una sentenza del
Tar confermi la sentenza di un altro `Far, che si appoggi su una sentenza della
Corte dei Conti e che a sua volta si ispiri a una sentenza del Consiglio di
Stato: il
tutto in una manciata di inutili e paralizzanti lustri.
Volete
mettere il lamento straziante di chi è professionalmente adibito a mungere
Fassistenzialismo dì Stato, a supplicare per un`elargizione pubblica, una
sovvenzione, una clientela foraggiata, una burocrazia culturale più pingue?
Bisogna occupare il Teatro Valle per chiedere piogge di denari statali alla
cultura, mica usare quei 25 milioni di euro che il gruppo di Della Valle ha
messo a disposizione per restaurare il Colosseo e salvarlo dal cedimento che
quel grande anfiteatro sta vivendo ogni giorno, pezzo dopo pezzo.
Dovessero
mai altri privati, altri borghesi danarosi, emulare quell`esempio e contribuire
a salvare, chissà, Pompei, o i musei che chiudono con le casse vuote, oppure le
chiese e i palaz- zi e i capolavori dell`arte di cui è ricca l`Italia e che si
stanno dissolvendo, nell`indifferenza generale ma, per fortuna, nella mani
dello Stato impotente e onnipotente, squattrinato e in rovina ma pur sempre
«pubblico».
C`è
sempre la carta bollata di un ricorso, per fortuna del nostro Paese in
disfacimento artistico ma pur sempre disfacimento pubblico, a bloccare nei
piccoli borghi, nelle cittadine più decentrate, una borghesia diffusa che
forse, chissà, per senso del prestigio, per vanità, per dare un segno della
propria presenza, per consegnare il proprio nome alla posterità, per senso
civico, potrebbe pur contribuire a un moderno mecenatismo che sopperisca alla
mancanza di fondi dello Stato e in più fornisca carburante a un senso
dell`appartenenza, della corru m ità, ormai sbiadito. C`è sempre un`«istanza
superiore» a bloccare tutto, ma non il degrado delle rovine che si disfano per
l`incuria pubblica, per la piccineria culturale di un ceto politico e sindacale
(è la Uil che ha bloccato tutto) che manda in malora i beni culturali pur di
conservare il feticcio del monopolio di Stato. Nella distruzione dei monumenti
che muoiono ogni giorno. Pubblici però, non privati.
Da "Il
Corriere della Sera" di lunedì 16 gennaio 2012 - di Pierluigi Battista
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