18.1.12

BENI CULTURALI IN ROVINA PUR DI NON ACCETTARE IL CONTRIBUTO DEI PRIVATI

Che fortuna: nel labirinto burocratico-giudiziario, nel paradiso dei ricorsi e dei commi, l`Italia sta scaraventando via 25 milioni degli odiosi privati di modo che i pezzi del Colosseo in via di sgretolamento per mancato restauro restino saldamente nelle mani dello Stato. Che fortuna: grazie agli acrobati del cavillo, agli ideologi del dirigismo statalista che non scende a patti con quel mostro sociale che sono i «privati», l`Italia non diventerà come gli altri Paesi civili, dove i privati, addirittura incentivati da una demenziale e capitalistica politica di detrazioni fiscali, contribuiscono alla manutenzione e al buon funzionamento di musei, biblioteche, opere d`arte, gioielli architettonici.
Poveri ma di Stato, rimarremo sempre.
Le opere d`arte in malora, ma in malora pubblica, nell`attesa che una sentenza del Tar confermi la sentenza di un altro `Far, che si appoggi su una sentenza della Corte dei Conti e che a sua volta si ispiri a una sentenza del Consiglio di Stato: il tutto in una manciata di inutili e paralizzanti lustri.
Volete mettere il lamento straziante di chi è professionalmente adibito a mungere Fassistenzialismo dì Stato, a supplicare per un`elargizione pubblica, una sovvenzione, una clientela foraggiata, una burocrazia culturale più pingue? Bisogna occupare il Teatro Valle per chiedere piogge di denari statali alla cultura, mica usare quei 25 milioni di euro che il gruppo di Della Valle ha messo a disposizione per restaurare il Colosseo e salvarlo dal cedimento che quel grande anfiteatro sta vivendo ogni giorno, pezzo dopo pezzo.
Dovessero mai altri privati, altri borghesi danarosi, emulare quell`esempio e contribuire a salvare, chissà, Pompei, o i musei che chiudono con le casse vuote, oppure le chiese e i palaz- zi e i capolavori dell`arte di cui è ricca l`Italia e che si stanno dissolvendo, nell`indifferenza generale ma, per fortuna, nella mani dello Stato impotente e onnipotente, squattrinato e in rovina ma pur sempre «pubblico».
C`è sempre la carta bollata di un ricorso, per fortuna del nostro Paese in disfacimento artistico ma pur sempre disfacimento pubblico, a bloccare nei piccoli borghi, nelle cittadine più decentrate, una borghesia diffusa che forse, chissà, per senso del prestigio, per vanità, per dare un segno della propria presenza, per consegnare il proprio nome alla posterità, per senso civico, potrebbe pur contribuire a un moderno mecenatismo che sopperisca alla mancanza di fondi dello Stato e in più fornisca carburante a un senso dell`appartenenza, della corru m ità, ormai sbiadito. C`è sempre un`«istanza superiore» a bloccare tutto, ma non il degrado delle rovine che si disfano per l`incuria pubblica, per la piccineria culturale di un ceto politico e sindacale (è la Uil che ha bloccato tutto) che manda in malora i beni culturali pur di conservare il feticcio del monopolio di Stato. Nella distruzione dei monumenti che muoiono ogni giorno. Pubblici però, non privati.

Da "Il Corriere della Sera" di lunedì 16 gennaio 2012 - di Pierluigi Battista