11.11.07

OGNI COSA CHE ESISTE, IN QUANTO E', E' CONOSCIBILE


Dopo la fine delle grandi ideologie, la teoria dell'evoluzione sembra essere rimasta, per molti contemporanei, l'unica spiegazione onnicomprensiva della verità: rivendicano il diritto di spiegare dal solo punto di vista evoluzionistico tutti i campi della vita e della scienza. Così, per esempio, i sociobiologi cercano di spiegare ogni cosa, anche la religione, in chiave evoluzionistica per ottenere un'egemonia di interpretazione su tutto. Analizzano la religione suddividendola in rito, mito, etica e mistica: ognuna di queste categorie secondo loro costituirebbe un vantaggio selettivo nell'ambito dell'evoluzione. Un'etica comune rafforza la fiducia di una società, e questo sarebbe il vantaggio nei confronti di altri gruppi. Oppure affermano che la religione favorisce un atteggiamento pedagogico. In questo modo, la religione per i biologi è unicamente un finanziamento indiretto alla dinamica della popolazione, ed è vera solo in quanto serve all'evoluzione.
………… Elevare la casualità conferendole un'importanza decisiva nel teatro del mondo non è scienza naturale, è una professione di fede non sufficientemente meditata. Se tutto, fino alle conoscenze di scienze naturali e alla religione, è solo un trucco dell'evoluzione per massimizzare la "fitness" biologica, allora anche le stesse conoscenze di scienze naturali sono una trucco, e la chiusura del cerchio è perfetta. Qui si cerca di creare una teoria dell'evoluzione ossessivamente metafisica sulla megateoria che comprende tutto.
Con una concezione esclusivamente biologica dell'uomo l’uomo diviene un oggetto biologico del quale si può disporre a seconda dell’interesse. Questo vale per l'inizio della vita, per la ricerca sugli embrioni e anche per la fine con l'eutanasia. Una creatura dalla dignità inviolabile la tratterò in modo diverso da un qualsiasi prodotto biologico dell'evoluzione. Se presunte tesi biologiche, come quella secondo cui un uomo per sua natura è fatto per più donne, divengono la legittimazione di comportamenti conseguenti, si produce una conclusione naturalistica sbagliata. Io, alla fine, non sono responsabile del mio comportamento perché seguo soltanto l'istinto che biologicamente mi è stato dato. Il risultato è che l'uomo si interdice e si degrada da solo. Disconosce da sé la libertà. Un'etica che si basa soltanto sul caso e sulla selezione, e non sull'amore e sulla ragione, non è un'etica, e non lo è in modo crudele.
Il desiderio dell'uomo di un sostegno spirituale in un mondo estremamente complesso è comprensibile, ma questo non può avvenire a scapito della ragione. La fede non deve nulla all'ignoranza. Non è che coloro che sanno molto debbano credere meno e coloro che credono molto debbano sapere meno. Ognuno, anche l'ateo, crede in qualcosa, e deve rendere conto con la propria ragione di ciò in cui crede. La premessa di ogni ricerca è infatti una fiducia di base nella percettibilità del mondo. Come dice san Tommaso: «Omne ens qua ens est intelligibile», ogni cosa che esiste, in quanto è, è conoscibile. Tutti gli scienziati naturali, anche coloro che non credono in Dio, prendono obbligatoriamente le mosse da questa ipotesi di base. Ora, se io credo a un solo creatore, che è Logos, che comunica con la propria creazione la fiducia nella riconoscibilità del suo mondo e non ci abbandona al puro caos, questa è la premessa migliore per la ricerca.