1.12.07

LA GLOBALIZZAZIONE NON E' UN PATTO COL DIAVOLO


Secondo Thomas L. Friedman le vicende del mondo attuale sono la combinazione di processi diversi che hanno radici profonde e sviluppi recenti e la globalizzazione è l’elemento di novità: una realtà composta non solo da microchip e mercati ma anche da uomini e donne con costumi, tradizioni, desideri e aspirazioni imprevedibili.
Cosi’, oggi, gli affari mondiali possono essere spiegati come un’interazione tra ciò che è nuovo, come un sito Internet, e ciò che è antico, come un contorto albero di ulivo sulle rive del Giordano.
Le riflessioni di Friedman partono dal fatto che, mentre i giapponesi costruiscono le più lussuose auto in una fabbrica completamente automatizzata, a Beirut e a Gerusalemme la gente continua a combattere per stabilire a chi appartiene un albero di ulivo.
La Lexus e l’ulivo possono cosi’ essere considerati il simbolo del nuovo sistema: una metà del mondo era uscita dalla guerra fredda con l’intento di costruire automobili migliori, dedicandosi alla modernizzazione, alla fluidificazione e alla privatizzazione dei sistemi economici, per continuare a prosperare anche nell’era della globalizzazione; l’altra metà, a volte l’altra metà del medesimo paese o della medesima persona, era ancora impegnata nella lotta per il controllo di questo o quell’albero di ulivo.
Gli ulivi sono importanti: rappresentano ciò che ci radica, ci lega, ci identifica e ci colloca in questo mondo; rappresentano famiglia, comunità, tribù, nazione, religione, o, nella maggior parte dei casi, un luogo che chiamiamo casa. L’ulivo è ciò che ci dà il calore della famiglia, la gioia dell’individualità, l’intimità dei riti personali, la profondità dei rapporti personali, la fiducia e la sicurezza per metterci in gioco e affrontare il mondo. Ma, se gli ulivi sono necessari per il nostro essere, l’attaccamento al nostro ulivo, quando portato all’eccesso, può condurre alla creazione di identità, legami e comunità basate sull’esclusione degli altri.
La Lexus rappresenta un altro antico impulso umano cosi’ come si manifesta nell’attuale sistema della globalizzazione. La Lexus rappresenta i fiorenti mercati globali, le istituzioni finanziarie, le tecnologie informatiche con cui si persegue il miglioramento del livello di vita.
Come si può sostenere che la globalizzazione sia un fenomeno globale quando la stragrande maggioranza non ha mai fatto una telefonata, toccato un computer e inviato un messaggio e-mail? Vero è che la globalizzazione, ancora oggi, non è globale, nel senso che siamo ancora molto lontani da una realtà in cui tutti sono on-line (anche se, ogni giorno, si affacciano su Internet 300.000 nuovi utenti).
Ma è anche vero che quasi tutti, ai nostri giorni, avvertono le pressioni, i vincoli e le opportunità della comunicazione, della finanza e dell’informazione, che sono al centro del processo di globalizzazione. La globalizzazione agisce positivamente sui temi della trasparenza, della corruzione, della stampa libera e della democratizzazione.
La globalizzazione infatti richiede prima di tutto la trasparenza dei mercati per rendere possibili investimenti consistenti, abbassa poi la soglia di tolleranza verso la corruzione perché la corruzione rappresenta un elemento imprevedibile all’andamento dei mercati, allarga la portata e la possibilità di informazione anche in paesi chiusi come la Cina ed infine diffonde processi di democratizzazione.
La globalizzazione non è solo un trend passeggero ma è un autentico nuovo sistema internazionale che, nei suoi risvolti politici ed economici ha definitivamente rimpiazzato gli equilibri mondiali della guerra fredda, contribuendo a forgiare il presente e il futuro del pianeta e di chi lo abita.

Secondo Joseph E. Stiglitz, per gran parte dei Paesi del mondo, la globalizzazione, per come è stata gestita, assomiglia a un patto col diavolo. In ogni Paese, c'è qualcuno che si arricchisce; le statistiche sul Pil, per quello che valgono, presentano risultati migliori , ma il tenore di vita generale e i valori fondamentali sono messi in pericolo. In alcune parti del mondo, i guadagni sono ancora più impalpabili, e i costi più evidenti. La maggiore integrazione nell'economia globale ha portato a un aumento della volatilità e dell'insicurezza, e a una maggiore disuguaglianza, arrivando addirittura a minacciare i valori fondamentali. Non è giusto che le cose vadano in questo modo. Noi possiamo fare in modo che la globalizzazione funzioni, non solo per i ricchi e i potenti, ma per tutti, anche coloro che vivono nei Paesi più poveri. Il compito è arduo, e richiederà tempo. Abbiamo già aspettato troppo: è arrivato il momento di darsi da fare.
Il libero mercato spesso, non solo non porta alla giustizia sociale, ma addirittura non porta neanche a dei risultati efficienti. Stranamente, non c’è stata nessuna sfida intellettuale volta a confutare la mano invisibile di Adam Smith: gli individui e le imprese, nel perseguire il loro proprio interesse, non sono necessariamente, o in generale, guidati come da una mano invisibile, alla efficienza economica. L’unica domanda che è stata posta concerne l’abilità del governo a rimediare alle inefficienze del mercato. Sempre di più, l’impiego a vita sarà una cosa del passato. La gente dovrà spostarsi da un impiego all’altro durante la propria vita lavorativa. Una delle maggiori sfide del nostro sistema scolastico sarà preparare le nuove generazioni a questa transizione ed una delle sfide del nostro sistema sociale sarà rendere questa transizione il più facile possibile per la gente. Ci sarà più precarietà rispetto al passato, più rischi, ma possiamo ridurre le conseguenze sociali. La globalizzazione è stata usata come una scusa per indebolire la protezione sociale. Piuttosto, il fatto che l’occupazione sta diventando sempre più precaria è un motivo per rafforzare la protezione sociale. Certamente, dobbiamo impegnarci a rendere questa protezione più funzionale e qualche volta, nel passato, non lo è stata, ma questa non può essere una giustificazione per sbarazzarsi della protezione sociale.

La necessità, individuata da Friedman, è quella di trovare un equilibrio tra la promessa di benessere enunciata dalla globalizzazione e il valore inalienabile delle differenze.
Friedman, non celebra quindi un trionfo epocale della globalizzazione sulle disuguaglianze e sulla povertà ma riscontra in tale fenomeno le tendenze positive di un processo che deve ancora completamente compiersi.