18.5.07

PERDERE DIO EQUIVALE A PERDERE L'UOMO


Il nostro tempo ripresenta le tesi del Dramma dell'umanesimo ateo di De Lubac. Il che assottiglia sempre più nettamente il margine non soltanto del dialogo (perché di dialogo si può ragionevolmente parlare soltanto in presenza di due identità forti e stagliate, mentre oggi abbiamo un cristianesimo della resa incondizionata all'altro e un laicismo relativistico debole nei fondamenti ed aggressivo nello stile militante), ma anche, di conseguenza, della memoria reale e cogente della nostra tradizione, qualunque sia la certezza di fede che una persona possa avere. I giovani di oggi non hanno la benché minima idea razionale e culturale della nostra tradizione, vivono in un orizzonte di «passioni tristi» e di false certezze, ovvero certezze senza verità. In un mondo sempre più refrattario alla ragione e, dunque, alla ricerca della verità. Un mondo totalitario per costituzione immanente. Perché, come anche Orwell aveva intuito e poi Solzenicyn ebbe modo di riaffermare, il totalitarismo moderno uccide prima di tutto la coscienza, rendendola funzionale a qualcos'altro e infine omogeneizza tutto, toglie sapore e sostanza a tutto ciò che di più profondamente umano e perciò cristiano possa esistere. Ritorna, ancora una volta, la tesi centrale del grande libro di De Lubac: perdere Dio equivale a perdere l'uomo.