2.4.06

La comunità civile si fonda su una concezione condivisa di vita buona

Esistono tre testi di S.Tommaso secondo cui la legge dello Stato deve permettere molti comportamenti che la legge morale vieta; la legge dello Stato non deve chiedere comportamenti che solo le persone virtuose possono compiere; la legge dello Stato deve proporsi solo la pace e la giustizia sociale. L’idea di Tommaso si può agevolmente ritrovare in Leone XIII, in Pio XII, nel Vaticano II.
Ma non si può sostenere una demarcazione netta tra la sfera pubblica e quella privata o sostenere che nella sfera privata ciascuno persegue la concezione del bene che più gli aggrada, mentre nella sfera pubblica valgono solo le regole basate su principi di giustizia formale e procedurale.
La comunità civile e politica non è tenuta assieme solo da norme razionali convenute, ma anche e soprattutto da una concezione condivisa di vita buona. Negare questo non significa opporsi allo Stato teocratico ma dare prova di ingenuità.
Per tre motivi. I soggetti che decidono le regole pubbliche non possono prescindere dalla propria concezione di vita buona. Non credo esista una persona che possa attribuire ai beni umani una rilevanza esclusivamente soggettiva; esiste un universo di valori morali che precede le regole pubbliche. Vi sono poi forme di vita (supposta) buona che, a causa dei beni e gerarchia dei beni che perseguono, generano attitudini incompatibili con l’osservanza delle regole. Né questa visione porta alla imposizione intollerante di una concezione di vita buona a preferenza di altre. La conoscenza del bene infatti progredisce solo attraverso il confronto tra argomenti, che è serio se tutti, Chiesa compresa, possono parteciparvi (ecco la vera laicità), se il confronto è guidato dalla certezza che esista una verità circa il bene. Se invece la condizione sufficiente per determinare le regole di una società fosse il solo patto delle parti, il dialogo diventerebbe volontà di imporre il proprio punto di vista sull’altro. (mons. Carlo Caffarra)