La concezione di essere umano
Dal punto di vista storico bisogna dunque riconoscere che la dichiarazione dei diritti dell’uomo è un frutto culturale del mondo cristiano, anche se si tratta di norme “universali”, in quanto valide per tutti. Nella tradizione islamica, infatti, non esiste il concetto di uguaglianza di tutti gli esseri umani, né di conseguenza quello di dignità di ogni vita umana.
La sharia è fondata su una triplice disuguaglianza: tra uomo e donna, tra musulmano e non musulmano, tra libero e schiavo. In sostanza l’essere umano di sesso maschile viene considerato pienamente titolare di diritti e di doveri solo in quanto appartenente alla comunità islamica: chi si converte a un’altra religione o diventa ateo viene considerato un traditore, passibile della pena di morte o, come minimo, della perdita di tutti i diritti. La più irrevocabile di queste disuguaglianze è quella tra uomo e donna, perché le altre possono essere superate – lo schiavo con la liberazione, il non musulmano con la conversione all’islam – mentre l’inferiorità della donna è irrimediabile in quanto stabilita da Dio stesso. Nella tradizione islamica il marito gode di una autorità pressoché assoluta sulla moglie: mentre all’uomo è consentita la poligamia, la donna non può avere più di un marito, non può sposare un uomo di altra fede, può essere ripudiata dal marito, non ha alcun diritto sulla prole in caso di divorzio, è penalizzata nella divisione ereditaria e dal punto di vista giuridico la sua testimonianza vale la metà di quella di un uomo.
Se dunque l’islam implicava ed implica non solo un’adesione religiosa, ma tutto un modo di vivere, sancito anche a livello politico – modo di vivere che naturalmente comporta e prescrive come agire con gli altri popoli, come comportarsi in questioni di guerra e di pace, come avere relazione con gli stranieri – è molto facile comprendere come la vittoria di Lepanto abbia garantito all’Occidente la possibilità di sviluppare la sua cultura di rispetto per l’essere umano, al quale viene garantita uguale dignità in ogni condizione.
Se questa caratterizzazione dell’islam è destinata in futuro a rimanere immutata, come è accaduto finora, non può che risultare difficile la convivenza con quanti non appartengono alla comunità musulmana: in un paese islamico, infatti, il non musulmano si dovrà sottomettere al sistema islamico, se non vuole vivere in una situazione di sostanziale intolleranza. Viceversa, proprio a causa di questa concezione complessiva di religione e autorità politica, il musulmano avrà molte difficoltà ad adattarsi alle leggi civili nei paesi non islamici, ritenendole qualcosa di estraneo alla sua formazione e ai dettami della sua religione. Bisogna forse chiedersi se le comprovate difficoltà di persone provenienti dal mondo islamico a integrarsi nella vita sociale e culturale dell’Occidente non trovino una delle spiegazioni in questa problematica. (Walter Brandmüller)