31.1.10

LA CHIESA DELLA MADONNA DELLO SCALPELLO IN MONTENEGRO












Perasto si trova nel bacino più interno delle Bocche di Cattaro, su un capo che divide la baia di Risano da quella di Cattaro, e di fronte allo Stretto delle Catene (Tjesnac Verige) che dà sulla baia di Teodo.
Di fronte alla cittadina si trovano due graziose isolette: l'isola di San Giorgio (Sveti Ðorđe) ospita un boschetto di cipressi ed un'abbazia benedettina del 1166, che nel medioevo fu un importante centro di irradiazione culturale, mentre sull'isola dello Scalpello sorge il santuario della Madonna dello Scalpello (Gospa od Škrpjela), eretto nel 1632 e coronato da una grande cupola del 1722. L'isola dello Scalpello ha anche la particolarità di essere l'unica isola artificiale dell'Adriatico, in quanto costruita a partire da uno scoglio nel corso dei secoli dai marinai perastini, dopo che, secondo la tradizione, due di essi vi trovarono un'immagine della Vergine nel 1452.
Le Bocche di Cattaro, che penetrano per 28 Km la costa, costituiscono una simbiosi armonica tra vari ambienti naturali e un ricco patrimonio artistico: rappresentano il più grande fiordo del Mediterraneo ed anche il più bello. Circondata dai pendii dei monti Lovćen e Vrmac e dal Parco Nazionale di Lovćen e Orjen, l’area comprende 12000 ettari, di cui 2600 ricoperti dalle acque del mare.
La bellezza della zona ha affascinato scrittori famosi come Margherite Yourcenar, George Bernard Shaw e Lord Byron. Artisti di tutto il mondo le hanno attribuito appellativi come “La sposa del Mare Adriatico”, “La fata del Mare”, “Il golfo più bello del mondo”, “La bella bocca del Mediterraneo”. Nessuno però è in grado di descrivere la struggente bellezza che si presenta al visitatore, che fece scrivere al poeta Ljuba Nenadovic: "Mi sembra strano che il sole possa tramontare su tale bellezza."

24.1.10

L'INVIDIA


L’invidia si caratterizza come desiderio ambivalente: di possedere ciò che gli altri possiedono, oppure che gli altri perdano quello che possiedono. L'enfasi è, quindi, sul confronto della propria situazione con quella delle persone invidiate, e non sul valore intrinseco dell'oggetto posseduto da tali persone.
Si può considerare l'invidia come il peccato "opposto" alla superbia: mentre la superbia consiste in un'eccessiva considerazione di sé, l'invidia è caratterizzata da una bassa autostima e da una concezione esagerata degli ostacoli e delle difficoltà. Spesso, infatti, il soggetto invidioso possiede delle buone qualità che possono anche essere riconosciute, ma non le considera sufficienti e si ritiene un incapace.
Alla base dell'invidia c'è, generalmente, la disistima e l'incapacità di vedere le cose e gli altri prescindendo da sé stessi: in questo senso, si può affermare che l'invidioso è generalmente frustrato, ossessivo, manipolatore, con pochi scrupoli e talvolta ipocrita.
L'invidioso assume spesso atteggiamenti e comportamenti ben precisi e, quindi, riconoscibili. Tra i più tipici comportamenti dell'invidioso c'è il disprezzo dell'oggetto invidiato ("questa cosa, che io non ho, non vorrei comunque averla perché non mi piace"); una celebre e proverbiale rappresentazione di questo atteggiamento è la favola di Esopo La volpe e l'uva.
L'invidioso può rivolgere la propria invidia non solo verso oggetti materiali, ma anche verso presunte doti possedute dall'invidiato: per esempio, una particolare avvenenza, intelligenza o capacità, uno spiccato fascino; in tali casi, l'invidioso reagisce tentando di disprezzare o di sminuire l'invidiato, perché ai suoi occhi questo è colpevole di evidenziare ciò che l'invidioso non ha. In un certo senso, è come se si sentisse sminuito dall'esistenza dell'invidiato e, in qualche modo, danneggiato da questo.
L'invidia può provocare uno stato di profonda prostrazione: in taluni casi, l'invidioso può assumere comportamenti molto aggressivi e il tentativo di sminuire l'invidiato può raggiungere toni esasperati, arrivando anche al pubblico disprezzo e alla pubblica derisione, come a dire: "io sto male per colpa tua, perché tu metti in luce la mia inferiorità; allora devo assolutamente evidenziare le tue mancanze, i tuoi difetti, facendoti sentire ridicolo: farò in modo che anche tu soffra". Se, tuttavia, il progetto dell'invidioso fallisce, egli si sentirà sempre più debole e ridicolo.
L'invidia è, nella maggior parte dei casi, rivolta verso lo stesso sesso: gli uomini invidiosi lo sono, in genere, di uomini e le donne di donne. E quali sono gli oggetti più comuni dell'invidia? Tra uomini l'invidia verte su aspetti economici, politici, patrimoniali, professionali, culturali, intellettivi, sessuali e, in generale, su tutto ciò che rende un uomo "più potente di un altro". Dal lato femminile, l'invidia, che per i secoli addietro verteva quasi esclusivamente sull'avvenenza e sulla capacità di seduzione, da qualche decennio a questa parte, con il cambiamento del ruolo che la donna riveste nella società, ha cominciato ad "accostarsi", per molti aspetti, a quella degli uomini.

17.1.10

I MONASTERI DI METEORA












Meteora è una famosa località ubicata nel nord della Grecia, al bordo nord occidentale della pianura della Tessaglia, nei pressi della cittadina di Kalambaka. È un importante centro della chiesa ortodossa, nonché una rinomata meta turistica, ed è stata dichiarata patrimonio dell'umanità dall'Unesco. Dei ventiquattro monasteri edificati con enormi sacrifici su queste falesie di arenaria, attualmente solo sei sono ancora abitati, in parte recuperati dopo anni di abbandono:
Agios Nikolaos (San Nicola)
Agios Stefanos (Santo Stéfano)
Aghia Triada (Santa Trinità)
Gran Meteora, o monastero della Trinità
Roussanou
Varlaam
I primi insediamenti risalgono all'XI secolo, quando i primi eremiti occuparono alcune grotte nei fianchi dei dirupi.
Nei pressi della formazione rocciosa detta "Dupiani", agli inizi del XII secolo si formò una comunità di asceti che dette avvio ad uno stato monastico organizzato.
Nel XIV secolo, allo scopo di difendersi dai turchi, furono costruiti monasteri sulle cime di rocce inespugnabili. Si narra che Athanasio, nel fondare il monastero della Trasfigurazione (Gran Meteora) con le severe regole monastiche del monte Athos, abbia chiamato "Meteoro" la roccia a base dell'edificio, dando così origine al termine di meteora ancora oggi in uso.
Dopo un periodo di proliferazione e di ampliamento dei monasteri, il passare del tempo e le calamità, come le incursioni di vari conquistatori, condussero al declino molti di essi, in particolare dopo il XVII secolo.

9.1.10

S. MARIA IN ARACOELI







Costruita sopra il tempio di Giunone Moneta (cioè Ammonitrice) e sul luogo di un monastero di monaci greci [VII secolo] che successivamente passerà ai benedettini col nome di S.Maria in Capitolio, su questa altura era anche localizzata la zecca dell'antica Roma, per cui la nostra parola italiana "moneta" deriva proprio da questo tempio di Giunone.
Deve l'appellativo in Aracoeli, affermatosi agli inizi del 1300, all'apparizione della Vergine che qui ebbe l'Imperatore Ottaviano. La Sibilla Tiburtina, consultata dall'imperatore Ottaviano Augusto, annunciò che "dal cielo verrà un re di sembianze umane che regnerà per secoli e giudicherà il mondo". Successivamente l'imperatore, che si trovava nella sua camera, è testimone di un'apparizione: una vergine su un altare tiene in braccio un bambino e una voce annuncia che quello è l'altare del "Signore del Cielo". Ottaviano Augusto cade in ginocchio in adorazione (vedi dipinto).
Le comunità cristiane, nel Medioevo, vollero interpretare "a posteriori" questa visione come un annuncio dell'avvento del Messia.
Secondo la leggenda Augusto rimase molto impressionato dalla visione, per cui fece dedicare, proprio nei pressi della sua camera, un altare a quel "Signore del Cielo" prossimo venturo. Per cui la parola "Ara Coeli", cioè "Altare del Cielo", deriverebbe da quest'altare presso la camera dell'imperatore, altare posto come primo nucleo della chiesa, edificata qualche secolo dopo. Sulla terza colonna della fila di sinistra, in alto, leggiamo un'antica incisione: "A cubiculo Augustorum" (vedi foto). Si ritiene che questa colonna, che oggi sorregge la navata, esistesse da prima della chiesa, e originariamente sorreggesse l'appartamento dell'Imperatore.
Nel 1250 Innocenzo IV concesse la chiesa ai Frati Francescani Minori che la ricostruirono in forme romanico-gotiche nel 1285-87 fino alla consacrazione del 1291. I lavori vennero conclusi con la rapida scalinata di 122 gradini [Lorenzo di Simone Andreozzi] che fu inaugurata da Cola di Rienzo nel 1348. Il cardinale Oliviero Carafa vi condusse lavori nel 1467-72, Pio IV nel 1564 demolì l'abside affrescato da Pietro Cavallini, abolì la schola cantorum e spostò l'ingresso laterale. Il prospetto esterno attuale, in guscio a mattoni, risale al XIII e accoglie tre portali sopra i quali si aprono altrettante finestre. L'interno è distribuito su tre navate con arcate a tutto sesto divise da ventidue colonne antiche. Il soffitto ligneo a cassettoni con decorazioni in stucco di scuola berniniana, fu realizzato dal Sermoneta e da Cesare Trapassi con al centro la Vergine e il Bambino, in ringraziamento della vittoria nella Battaglia di Lepanto. Il pavimento cosmatesco venne realizzato sullo stile figurativo dei fratelli Cosmati, famiglia di marmorari particolarmente attiva nel XII secolo come testimoniato inoltre dai due pergami con mosaici di Lorenzo e Jacopo Cosma del 1200 collocati al transetto sinistro e destro.
(vedi qui e qui)

8.1.10

L`UOMO MENDICANTE DI SIGNIFICATO E COMPIMENTO


La società odierna è simile a quella francese dell'epoca della Rivoluzione. La fede cristiana, infatti, deve affrontare sfide anche più complesse di quelle del post-1789. "Se allora c'era la 'dittatura del razionalismo', all'epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di 'dittatura del relativismo'. Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell'uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l'essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora, l'uomo 'mendicante di significato e compimento' va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi". (BEN XVI 5 agosto 2009)

7.1.10

SIAMO FIGLI DEL PENSIERO DEBOLE


Ci troviamo al culmine della diffusione di un fenomeno che appare ormai irrefrenabile: ogni campo del sapere sembra intaccato e affetto da un’epidemia che lascia poche speranze per il nuovo millennio. Si tratta del relativismo, struttura portante del cosiddetto "pensiero debole", che la "modernità" ha inflitto alla nostra civiltà diffondendolo a dimensione planetaria sotto morfologie solo apparentemente cangianti, come indifferentismo, nichilismo, mobilismo, pirronismo, soggettivismo, individualismo, ecc., in campo ontologico, gnoseologico, culturale, etico, terminologico, ...
Si assiste - e spettatori passivi e inermi ci sentiamo tutti - ad un consequenziale e inesorabile indebolimento del piano valoriale e semantico, fonte di una metafisica distorta che - per dirla con le parole di Giovanni Paolo II - consuma il mondo dei valori come "semplici prodotti dell’emotività e la nozione di essere è accantonata per fare spazio alla pura e semplice fattualità".
"La filosofia moderna - scrive Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica Fides et ratio - , dimenticando di orientare la sua indagine sull’essere, ha concentrato la propria ricerca sulla conoscenza umana. Invece di far leva sulla capacità che l’uomo ha di conoscere la verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i condizionamenti. Ne sono derivate varie forme di agnosticismo e di relativismo, che hanno portato la ricerca filosofica a smarrirsi nelle sabbie mobili di un generale scetticismo. Di recente, poi, hanno assunto rilievo diverse dottrine che tendono a svalutare perfino quelle verità che l’uomo era certo di aver raggiunto. La legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto a un indifferenziato pluralismo, fondato sull’assunto che tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo".
Nonostante "il modernismo sfrenato d’oggi", "l’annuncio nietzschiano che "Dio è morto", Maritain - che definisce "l’uomo come colui che cerca la verità"- ha la forza di gridare: "La ragione è fatta per la verità, per conoscere l’essere"! "Non c’è niente al di sopra della verità"! E tanto più si indebolisce la verità, la "nostalgia dell’assoluto", tanto più si avanza nello spirito di terrestrità, in quella "specie di inginocchiamento davanti al mondo che si manifesta in mille modi".
Una modernità che porta al prassismo e all’efficientismo contemporanei, alla perdita del fondamento. In un’epoca nella quale "ci si accontenta di verità parziali e provvisorie", forzatamente "costretti a costatare la frammentarietà di proposte che elevano l’effimero al rango di valore", ci esorta a "non perdere la passione per la verità ultima e l’ansia per la ricerca, unite all’audacia di scoprire nuovi percorsi. È la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della ragione".

5.1.10

CHIESA DEI SS. GIOVANNI E PAOLO




La chiesa risale al 398 d.C e fu costruita per volontà del senatore Bizante sulla casa dove i due ufficiali romani Giovanni e Paolo vennero martirizzati da Terenziano nel 362. Danneggiata dall'incursione barbara di Alarico nel 410, e dal terremoto del 442, nonché dal saccheggio dei Normanni nel 1084, fu di nuovo costruita. Sotto il pontificato di Pasquale I [817-824] fu edificato il convento e iniziato il campanile esterno a sei ordini con doppie bifore concluso attorno al 1150. Seguirono restauri e alterazioni fino al 1952 quando si ripristinò la facciata paleocristiana di tipologia aperta. La basilica è difatti preceduta da un portico con architrave poggiante su colonne antiche. L'interno è suddiviso in tre navate da pilastri affiancati alle colonne originarie. Al centro della basilica una lapide ricorda il luogo dove vennero martirizzati i due santi. Nell'abside 'Cristo in Gloria' affresco di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio. [1588] Sotto è collocato il 'Martirio di S.Giovanni' 'Martirio di S.Paolo' e 'Conversione di Terenziano' di Domenico Piastrini, Giacomo Triga e Pietro Andrea Barbieri. [1726] All'altare maggiore una vasca in porfido raccoglie le reliquie dei due martiri. A sinistra dell'altare una porticina immette in un piccolo ambiente dove è custodito 'Cristo in trono fra sei apostoli' del XIII secolo. In sagrestia importante tavola di Antoniazzo Romano raffigurante 'Madonna con Bambino e i Ss.Giovanni Evangelista e Giovanni Battista e i Ss.Girolamo e Paolo'. (raggiungibile con il bus 81 dal Colosseo)

4.1.10

RELATIVISMO E VERITÀ


La dottrina del cosiddetto relativismo è molto seducente: non esistono verità, ogni ideale si equivale, ognuno ha il diritto di seguirlo senza alcun vincolo. Dal che deriverebbe automaticamente il rispetto assoluto per le idee degli altri, la rinuncia ad ogni tentazione di imporre le proprie con la forza: dialogo e concordia assicurati. Tutto facile, no? La mentalità “relativista” emerge anche nelle discussioni quotidiane: può capitare che chi sostiene con convinzione una tesi, chi parla di “verità”, si senta etichettare pregiudizialmente come "dogmatico" (termine che invece, più propriamente, dovrebbe indicare chi rifiuta di discutere le proprie tesi); o come "intollerante" (termine che dovrebbe, piuttosto, indicare chi pretende di imporre la propria visione, anziché proporla al dibattito comune). Emerge allora una certa carica aggressiva del relativismo, che vuole coprire la sua banalità e superficialità.
Il fatto è che il relativismo è una costruzione astratta, che non dà risposta ai problemi concreti della vita e della convivenza civile.
La tesi per cui unica bussola dell'agire umano - nella sua sfera personale - dovrebbe essere "fa' ciò che desideri", senza nessuna riflessione seria sul bene oggettivo della persona, è una tesi che sembra salvaguardare la libertà individuale, ma non dà risposta al naturale desiderio di felicità e di infinito dell'uomo.
“Negare la realtà è un inutile autoinganno” di Giovanni Martino