28.1.07

LA RINUNCIA AL LEGAME DEFINITIVO OTTIENE UN SIGILLO GIURIDICO


Quando vengono create nuove forme giuridiche che relativizzano il matrimonio, la rinuncia al legame definitivo ottiene, per così dire, anche un sigillo giuridico. In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa ancora più difficile. Si aggiunge poi, per l'altra forma di coppie, la relativizzazione della differenza dei sessi. Diventa così uguale il mettersi insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso sesso. Con ciò vengono tacitamente confermate quelle teorie funeste che tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si trattasse di un fatto puramente biologico; teorie secondo cui l’uomo – cioè il suo intelletto e la sua volontà – deciderebbe autonomamente che cosa egli sia o non sia. C'è in questo un deprezzamento della corporeità, da cui consegue che l’uomo, volendo emanciparsi dal suo corpo – dalla "sfera biologica" – finisce per distruggere se stesso. Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che l’uomo non ci interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non hanno forse il diritto di pronunciarsi in tutto questo? Non è piuttosto il loro - il nostro - dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine di Dio? (dal discorso di Benedetto XVI – 21/12/2006)

27.1.07

LA BANALIZZAZIONE DELL'ESSERE UMANO


Quello riportato di seguito (in corsivo) è un estratto della presentazione del progetto di legge proposto dalla sinistra per i PACS: Disciplina del patto civile di solidarietà (primi firmatari: Grillini, Pollastrini, Violante, ecc.). Si tratta di una legge che introduce, come riconoscono i proponenti, uno “strumento regolativo pattizio più snello e leggero alle coppie che non intendano impostare la propria vita sulla base della regolamentazione civilistica tipizzata dalle norme sul matrimonio” e “offre ai cittadini eterosessuali una possibilità di scelta in più”. Questo significa la morte dell’istituto del matrimonio e della famiglia e la disgregazione del tessuto sociale del popolo italiano. Basta leggere il testo della proposta di legge (C33/2006) per rendersi conto degli effetti perversi che produrrà in futuro. I cattolici ulivisti, cosiddetti "cattolici adulti", a soli fini di potere stanno preparando un grave danno per la società italiana di cui saranno pienamente responsabili.
"Matrimonio e famiglia non sono una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l'uomo e la donna affonda le sue radici dentro l'essenza piu' profonda dell'essere umano e puo' trovare la sua risposta soltanto a partire da qui". "Il matrimonio come istituzione non e' quindi una indebita ingerenza della societa' o dell'autorita', l'imposizione di una forma dal di fuori nella realta' piu' privata della vita; e' invece esigenza intrinseca del patto dell'amore coniugale e della profondita' della persona umana". La conseguenza e' che "le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il 'matrimonio di prova', fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono invece espressioni di una liberta' anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell'uomo. Una tale pseudo-liberta' si fonda su una banalizzazione del corpo, che inevitabilmente include la banalizzazione dell'uomo".

“La presente proposta di legge intende fornire la possibilità di optare per uno strumento regolativo pattizio più snello e leggero alle coppie che non intendano impostare la propria vita sulla base della regolamentazione civilistica tipizzata dalle norme sul matrimonio.
La presente proposta di legge non intende imporre autoritativamente il nuovo istituto alle coppie di fatto che vogliano rifuggire da ogni vincolo giuridico, ma soltanto offrire una possibilità di scelta in più a chi desidererà usufruirne. Si tratta, in sostanza, di prendere atto che il pluralismo della nostra società non consente più, se non al prezzo di gravi e inutili costi sociali, di imporre alle famiglie non tradizionali una drastica scelta fra due sole opzioni: il matrimonio tradizionale da una parte, l'assenza assoluta di qualsiasi riconoscimento giuridico e perfino di tutela in caso di eventi imprevisti dall'altra.
Ancora più grave è che un tale trattamento punitivo venga inflitto a chi non ha potuto nemmeno scegliere se sposarsi o meno, semplicemente perché la vigente legislazione matrimoniale italiana non prevede la possibilità di sposarsi per due persone dello stesso sesso. Agli omosessuali italiani, che come tutti gli esseri umani non hanno scelto il proprio orientamento sessuale, e quindi affettivo, è oggi vietato di scegliere un qualunque tipo di regolamentazione giuridica dei rapporti familiari e di coppia creatisi attraverso convivenze stabili, magari anche pluridecennali. Come richiesto da princìpi sempre più acquisiti alla coscienza civile e giuridica europea, la parità di diritti per i cittadini omosessuali potrà infatti dirsi realizzata solo quando sarà loro consentito di scegliere di regolare la propria vita e i propri rapporti giuridici e patrimoniali optando fra le stesse alternative che sono a disposizione dei cittadini eterosessuali.
Ciò non toglie, ovviamente, che la presente proposta di legge, se offre ai cittadini eterosessuali una possibilità di scelta in più, mira pure a garantire almeno nella pratica anche ai cittadini omosessuali un'opportunità di risolvere molti drammatici problemi concreti, e una forma di regolamentazione e di riconoscimento giuridico delle proprie unioni che non le confini obbligatoriamente, come ora, nell'impossibilità di fruire di ogni e qualunque forma di tutela e di garanzia.”

24.1.07

PERDONO E PERDONISMO


Forse stiamo diventando facili prede del perdonismo, una sorta di nuova infatuazione filosofica, una specie di neo-dogma cui le istituzioni si aspettano che i cittadini bravi e onesti si attengano, ma che si distingue dal perdono per quel suo sapore vagamente ideologico, per quel suo essere anche indotto dalla pressione indecente che i mass media esercitano alla ricerca del particolare più torbido e truculento di ogni tragica vicenda, mettendo a dura prova la resistenza fisica e psicologica delle persone coinvolte.
Ma l'aspetto peggiore è che se il perdono è un gesto che attiene alla libertà e alla responsabilità personale, il perdonismo sta rapidamente assumendo il carattere di una precisa posizione delle maggiori istituzioni politiche, sociali, educative e morali del Paese. Dal Parlamento alla Chiesa, dalla giustizia alla scuola, si rincorrono le parole di scandalo e le promesse di intervento, ma all'atto pratico tutto finisce nel grigio calderone del perdono, che guadagna a chi ne è capace l'apprezzamento delle istituzioni, mentre altri, anche quelli che - oltre al danno - si sono visti magari scarcerare gli assassini del proprio figlio, genitore o fratello per cavilli giudiziari o semplice inefficienza, sono trattati bonariamente come persone accecate dalla rabbia in cerca di vendetta. Dei poveretti, insomma, incapaci del grande gesto pubblico - non più privato - che ha perso tutta la sua intima straordinarietà nelle chiacchiere futili e tranquille dei salotti televisivi.
Ed è così che il perdono è diventato più importante delle vittime, più urgente della punizione del colpevole, più esemplare di una dignitosa, tragica sofferenza. E' così che è diventato inutile. Se avessimo più coraggio, ci accorgeremmo di quanto tutto questo ci abbia inariditi, di che società avvezza a qualunque orrore siamo diventati, di come i giovanissimi siano incapaci di distinguere il bene dal male, e quale misero significato e importanza diano alla vita e alla sofferenza altrui. Tutto è stato sdoganato, tutto è permesso, e tutto è drammaticamente svilito dal perdonismo, che sminuisce il valore della unicità della vita di un individuo, ed è incapace di valutare fino in fondo la gravità della sua perdita. E’ ipocrita l'idea secondo la quale ogni vita, all'atto pratico, abbia eguale valore, e fa orrore il modo in cui alcune coscienze politiche si scuotano di fronte alla morte di un carnefice piuttosto che delle sue vittime, ma questo amalgama indifferenziato che è diventata l'accettazione della violenza è un sintomo spaventoso di decadenza civile e morale, che viene sporadicamente denunciata da cittadini esasperati, ma cui le istituzioni sono praticamente sorde. Quando ci si chiede come arginare questa violenza, cosa si può fare, le istituzioni rispondono sottolineando l'inutilità degli interventi punitivi, e puntando tutto sulla ricerca delle radici profonde dei malesseri sociali. Peccato che, in attesa di saperli capire e prevenire tutti, la gente li debba subire. (Valentina Meliadò)

19.1.07

BISOGNA RICORDARE CHE COSA È STATO IL COMUNISMO


In Europa occidentale molti intellettuali e politici tacciono sugli orrori del totalitarismo comunista perché diversi tra loro sono simpatizzanti dell’ideologia marxista e leninista.
Per rendere l’idea di cosa significasse vivere sotto il regime comunista sovietico ecco la breve analisi di Peter Raina, uno dei massimi specialisti della storia contemporanea della Chiesa polacca: “Uno degli scopi principali del totalitarismo comunista era la distruzione psicologica o l’eliminazione fisica degli oppositori”.
La persecuzione fisica consisteva nell’uso della violenza, compreso l’assassinio. Il terrore psicologico serviva a distruggere la personalità dell’uomo. A questo serviva la reclusione per lunghi anni nelle prigioni, spesso in completo isolamento. Ogni cittadino poteva trovarsi in una situazione “senza uscita”. Tutti dovevano essere coscienti che la loro vita privata, la carriera professionale e il futuro dipendevano dai Servizi di Sicurezza (in polacco Służby Bezpieczeństwa o SB).
L’apparato di sicurezza faceva parte della struttura del Ministero degli Interni (MSW), dove esisteva un dipartimento speciale, il cosiddetto Dipartimento IV, che si occupava specificamente della lotta contro la Chiesa (allora si parlava della lotta contro il “clero reazionario“). Esisteva anche uno speciale ufficio investigativo (biuro “C” ), che raccoglieva tutte le informazioni riguardanti le persone “sospette”.
I Servizi di Sicurezza usavano due metodi. Il primo metodo era la politica antiecclesiale delle autorità, per esempio: l’abolizione delle lezioni di religione nelle scuole, i divieti di organizzare delle cerimonie religiose, l’ostacolare l’uso dei mass media da parte della Chiesa. Il secondo metodo era molto più perfido, e consisteva nel terrorismo psicologico. I modi di terrorizzare i sacerdoti erano molteplici e vale la pena elencarne alcuni:
a) I sacerdoti più zelanti venivano accusati di attività contro lo Stato e di servizio al nemico imperialista. Successivamente venivano processati in spettacolari processi farsa che finivano con la pena capitale o lunghe pene di detenzione.
b) Si cercava di compromettere il sacerdote per poterlo ricattare. Era una prassi comune raccogliere tutte le informazioni possibili circa le abitudini di ogni sacerdote: se gli piacevano gli alcolici, le donne o se provava frustrazione nel suo lavoro. Spesso, s’impiegavano gli agenti-donne per creare qualche situazione compromettente per il sacerdote. Allora, potendo ricattare il sacerdote, gli si faceva una proposta di collaborazione con i Servizi. La collaborazione con gli SB consisteva nel fornire le informazioni circa la situazione in parrocchia, l’attività del parroco, il comportamento e le convinzioni del Vescovo ecc.
c) In ogni provincia funzionavano gli Uffici per le Confessioni Religiose (Urzad ds. Wyznań) legati ai Servizi Segreti, che controllavano le attività delle organizzazioni ecclesiastiche. Ogni qualvolta l’Episcopato Polacco pubblicava una Lettera pastorale contenente una critica del sistema comunista, ogni Vescovo locale veniva chiamato dal Presidente della provincia per un incontro durante il quale doveva dare spiegazioni e chiarimenti circa tale Lettera. In quelle occasioni i funzionari statali usavano il metodo della “carota e del bastone”: passavano dalle minacce alle offerte di aiuto, per esempio offrivano aiuto nella costruzione di una nuova chiesa, se il Vescovo avesse promesso di prendere le distanze dal Primate. Di solito i Vescovi rifiutavano qualsiasi collaborazione e per questo motivo le chiese non venivano costruite, la Guardia di finanza controllava con cattiveria i conti e le tasse delle parrocchie; i seminaristi venivano maltrattati durante il servizio militare obbligatorio.
d) La censura di Stato di solito limitava la tiratura delle riviste ecclesiastiche. L’aumento della tiratura dipendeva dalla decisione dell’impiegato dell’Ufficio per le Confessioni Religiose, che collaborava con i Servizi Segreti. Con i preti direttori o segretari delle riviste si usava il metodo che chiamerei: “Qualche cosa per qualche cosa”. Si prometteva di dare il permesso per aumentare la tiratura o di fornire più carta (allora la distribuzione della carta era completamente nelle mani dello Stato), se i responsabili delle riviste si impegnavano a fornire le informazioni riguardanti i membri della redazione. Certi responsabili, con il permesso verbale dei superiori, accettavano tali ricatti perché la possibilità di aumentare la tiratura della stampa religiosa veniva percepita come prioritaria.
e) Una delle armi di ricatto più usate dai Servizi Segreti era la concessione di un passaporto per poter viaggiare all’estero. Ogni cittadino che faceva richiesta di passaporto veniva invitato per un incontro presso gli uffici degli SB. Anche in questi casi valeva la regola “Qualche cosa per qualche cosa”: al cittadino veniva dato il passaporto se prometteva di fornire delle informazioni, e i Servizi volevano sapere tutto sulla gente. Ovviamente questa regola valeva anche per i sacerdoti che per poter andare a studiare all’estero (tanti sacerdoti sognavano di visitare Roma e di continuare gli studi nelle Università Pontificie) o per fare i missionari dovevano richiedere il passaporto. Di solito i sacerdoti raccontavano fatti senza nessun significato tanto per soddisfare in qualche modo gli ufficiali dei Servizi, che prendevano nota di tutto. (zenit)

18.1.07

La famiglia è la vera priorità sociale

Il mondo cattolico si mobilita per spiegare e ribadire che la famiglia così come indicata dalla Costituzione è la vera priorità sociale.
Il “Forum delle Famiglie” ha annunciato un documento dal titolo “Sì alla famiglia, la vera priorità sociale”, che costituirà la base su cui sviluppare una vera e propria mobilitazione nazionale contro ogni ipotesi legislativa di una equiparazione delle unioni civili con la famiglia fondata sul matrimonio.
I responsabili del sito “Bioetica e Famigliahanno inviato una lettera aperta inviata al Presidente del Consiglio, ai Ministri, agli Onorevoli Deputati e Senatori, intitolata “Pacs : lo strano affare dei diritti senza doveri” nella quale si spiega che un disegno di legge che riconosca valore giuridico pubblico alle unioni di fatto, cioè a coppie eterosessuali conviventi e non sposate, ma anche a coppie omossessuali conviventi “non è un bene per l’Italia”.
“Un uomo e una donna non sono famiglia per il solo fatto di essere eterosessuali, ma perché decidono di unire le loro vite, non solo i loro corpi, e quindi se ne prendono la responsabilità pubblica (il matrimonio) assumendo dei precisi doveri che gli articoli di legge ricordano e godendo di alcuni diritti che provengono dalla loro scelta”. Con le nuove proposte in realtà si sta proponendo una cultura che “rifiuta i doveri e le responsabilità del matrimonio” e che punta a sostituire la procreazione con i “deliri dell’uomo artificiale”.
La Lettera è aperta a chiunque voglia sottoscriverla.
(http://www.bioeticaefamiglia.it/pacs.htm)

14.1.07

QUANDO LA CRITICA SI ACCOMPAGNA ALL'ASSENZA DI ARGOMENTI


L’intervento di Pierluigi Castagnetti su “Europa” del 3 gennaio scorso, col titolo “La mia Chiesa ha sbagliato”, offre una caratterizzazione sintomatica del clima cattolico, o meglio di una particolare opinione pubblica laicale, nella sua sicurezza di giudizio non meno che nella sua attenzione a evitare ogni impegno sul merito. È sintomatico nel pezzo di Castagnetti che la celebrazione difensiva della “parrhesia”, della franchezza critica intraecclesiale, si accompagni all’assenza di argomenti. Tale evidenza merita di essere sottolineata: essa interpreta e trasmette il convincimento rischioso, quanto diffuso e poco avvertito, per cui l’esercizio della “parrhesia” varrebbe da solo, e in quanto tale, come argomento di verità: “Lo dico, magari in maniera sofferta, quindi è vero”.
Le generazioni non più giovani non hanno dimenticato la tanta retorica “critica” dedicata decenni fa alla veracità che si autocertifica come Verità; veracità come sola autenticazione della presenza e dell’annuncio cristiano. Di quella battaglia anti-istituzionale della intelligencija teologica sono rimaste solo macerie, quelle delle grandi cattolicità europee disfatte. Ma le versioni moderate e quasi inconsapevoli di quelle parole d’ordine restano pervasive. D’altronde non hanno bisogno di molti argomenti per sopravvivere.
…. Davvero spiritualizzazione e privatizzazione della fede hanno fatto passi da gigante nelle teste del cattolicesimo laico-democratico, se il riferimento alla norma risulta loro insopportabile e incomprensibile, e nutrono l’idea che una decisione rilevante politicamente – cioè per la “polis”, per la comunità civile – non rientri nel compito della Chiesa. Mentre invece lo stesso livello di politicità della campagna radicale è nelle intenzioni ambiziosamente alto, riguarda in profondità cultura ed ethos, su cui sollecitudine e legge della Chiesa hanno responsabilità e competenza, ordinarie quanto irrinunciabili! Curioso, poi, che Castagnetti sembri usare l’aggettivo “politico” in accezione deteriore. (http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=109982)

12.1.07

TURCHIA: UN GRANDE ERRORE INGLOBARLA NELL'UE


Anton Smitsendonk, oggi commissario dell’International Chamber of Commerce per l’Estremo Oriente, ex ambasciatore d’Olanda in Cina e consigliere ministeriale in Turchia, fornisce un’antologia ragionata di quanto hanno scritto in modo distorto, in occasione del viaggio in Turchia del Papa, alcuni dei principali giornali del mondo, trascurando le dichiarazioni di segno diverso fornite da autorevoli esponenti della Santa Sede. (vedi www.chiesa)
Benedetto XVI non ha cambiato opinione circa l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. L’allora card. Ratzinger nel 2004 aveva detto:
1. “L'Europa è un continente culturale e non geografico. È la sua cultura che le dona una identità comune. Le radici che hanno formato e permesso la formazione di questo continente sono quelle del cristianesimo. [...] In questo senso, la Turchia ha sempre rappresentato nel corso della storia un altro continente, in permanente contrasto con l'Europa. Ci sono state le guerre con l'impero bizantino, la caduta di Constantinopoli, le guerre balcaniche e la minaccia per Vienna e l'Austria. Penso quindi questo: sarebbe un errore identificare i due continenti. Significherebbe una perdita di ricchezza la scomparsa della cultura in favore dei benefici in campo economico. La Turchia, che si considera uno stato laico, ma fondato sull'islam, potrebbe tentare di dar vita a un continente culturale con alcuni paesi arabi vicini e divenire così la protagonista di una cultura che possieda la propria identità, ma che sia in comunione con i grandi valori umanisti che noi tutti dovremmo riconoscere. Questa idea non si oppone a forme di associazione e di collaborazione stretta e amichevole con l'Europa e permetterebbe il sorgere di una forza comune che si opponga a qualsiasi forma di fondamentalismo”. – (Joseph Ratzinger a “Le Figaro Magazine” del 13 agosto 2004)
2. “Storicamente e culturalmente la Turchia ha poco da spartire con l'Europa: perciò sarebbe un errore grande inglobarla nell'Unione Europea. Meglio sarebbe se la Turchia facesse da ponte tra Europa e mondo arabo oppure formasse un suo continente culturale insieme con esso. L'Europa non è un concetto geografico, ma culturale, formatosi in un percorso storico anche conflittuale imperniato sulla fede cristiana, ed è un fatto che l'impero ottomano è sempre stato in contrapposizione con l'Europa. Anche se Kemal Atatürk negli anni Venti ha costruito una Turchia laica, essa resta il nucleo dell'antico impero ottomano, ha un fondamento islamico e quindi è molto diversa dall'Europa che pure è un insieme di stati laici ma con fondamento cristiano, anche se oggi sembrano ingiustificatamente negarlo. Perciò l'ingresso della Turchia nell’UE sarebbe antistorico”. – (Joseph Ratzinger in un discorso del 18 settembre 2004 riportato dal quotidiano cattolico di Lugano “Il Giornale del Popolo”)

11.1.07

E' STATO TUTTO UN ERRORE


Quando crollò il comunismo nell'Europa dell'Est (dopo settant'anni di inaudite atrocità, con decine di milioni di morti), il cardinale Giacomo Biffi così volle ricordare la caduta del Muro e la figura di Pio XI: «Noi cristiani - almeno quelli tra noi che non hanno smarrito la loro identità culturale - non ce ne meravigliamo. Piuttosto, rileviamo con interesse che oggi gli stessi esponenti del cosiddetto socialismo reale dicono le medesime cose che Pio XI aveva già scritto con molta chiarezza fin dal 1937 nell'enciclica "Divini Redemptoris". Dopo cento anni di funeste illusioni, dopo un immenso e inutile mare di lacrime, dopo un'alluvione di sangue incolpevole che non ha paragoni nella storia, oggi ci si rende conto che è stato tutto un errore».

4.1.07

LA MENTALITA' GENERATA DAL CATTO-COMUNISMO E' ANCORA VIVA


Dopo il crollo del muro di Berlino (1989) e di quasi tutti i 31 paesi a regime comunista nel mondo, è scomparso il sogno di una “rivoluzione mondiale”, sono sfioriti i miti della Cina di Mao, la Cuba di Fidel Castro, il Vietnam di Ho Chi Minh e le molte “guerriglie di liberazione”. Anche il catto-comunismo è morto, ma la mentalità profonda generata da quella follia ideologica è ancora ben viva in alcune stampe e gruppi e associazioni di radice cristiana.
Per “cattocomunismo” non s’intende quello storico di Franco Rodano e Claudio Napoleoni, nato durante la Resistenza e nel dopoguerra confluito nel PCI con il “Partito della sinistra cristiana”; ma quello popolare e movimentista, nato dal dissenso cattolico nel “sessantotto” del post-Concilio e poi in Cile nel 1972 con “i cristiani per il socialismo”, quando era comune sentir dire in ambienti cattolici che “il socialismo è l’unica speranza dei poveri”.
Ci sono nel “catto-comunismo” tre elementi che sussistono tutt’oggi come mentalità di fondo.
1) Anzitutto il complesso d’inferiorità dei cattolici per quanto riguarda la capacità di leggere la società e la storia: si pensava che, in campo sociale e politico, i comunisti avessero dei criteri di giudizio più corretti, storicamente più efficaci. A quel tempo si leggeva sulla stampa cattolica (anche di studio) che “la Chiesa non ha elementi per dare giudizi sulle realtà politico-economico-sociale del nostro tempo… Bisogna ricorrere all’analisi scientifica della società condotta da Marx e dai suoi discendenti”. Era politicamente corretto non parlare della “Dottrina sociale della Chiesa”; Paolo VI aveva usato questa terminologia nel Sinodo episcopale sulla giustizia nel mondo nell’ottobre 1971, ma in seguito preferì usare altre parole per non essere definito reazionario. Chi ha rilanciato con forza la “Dottrina sociale della Chiesa” è stato Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio internazionale a Puebla (Messico, gennaio 1979), parlando dei problemi sociali dell’America Latina.
2) L’ideologia cattocomunista diceva che per una buona convivenza civile nella società italiana dominata da una “cultura” sempre meno cristiana, il primato era da dare alla dimensione orizzontale della vita, ai problemi sociali; il che poi portava con sé il primato dello stato, del “servizio pubblico”, con la demonizzazione di scuole cattoliche e ospedali cattolici (definiti “per i ricchi”). Era già chiaro a quel tempo che per “servire i poveri” la statalizzazione di tutti i servizi e le attività sociali ed economiche non solo non è positiva, ma diventa facilmente e quasi inevitabilmente negativa dei poveri stessi; anche qui, è un giudizio che non tiene conto dei fattori spirituali e culturali, ma solo di quelli materiali, economici, politici. Quando il cattocomunismo si affermava, i modelli esaltati di liberazione dei poveri erano appunto la Cina di Mao, il Vietnam di Ho Chi Minh, il Mozambico di Samora Machel e via dicendo; insomma i paesi a regime comunista, che hanno schiavizzato i loro popoli, peggiorando le loro condizioni di vita. Ma poteva venire qualcosa di buono da ideologie e regimi che combattevano Dio e perseguitavano la Chiesa?
3) Il terzo aspetto negativo del cattocomunismo, conseguenza di quanto sopra, è una diminuzione dell’affetto per la Chiesa cattolica e, in ultima analisi, un appannamento della fede e dell’appartenenza alla comunità di Cristo che ci trasmette la fede, il dono più grande che Dio ci ha fatto dopo la vita. Certamente solo Dio vede la fede nel cuore e nei pensieri di ciascuno, ma noi tutti sperimentiamo che la fede non è solo un fatto di intelletto, ma anche di cuore, di passione; e questo vale anche per la preghiera, cibo indispensabile e quotidiano per mantenere la fede: si prega bene quando ci si sente a casa propria, quando tutta la persona è contenta e ringrazia Dio di averle dato la fede e la Chiesa. Se invece viene meno per vari motivi l’amore, la passione e la gioia di appartenere alla Chiesa, tutto il resto è in pericolo.
(da Il Timone)

1.1.07

UNA SOFFOCANTE VISIONE IDEOLOGICA E UN PROFONDO RELATIVISMO


Quanta ipocrisia da parte dei molti campioni contro la pena di morte che l’ex dittatore irakeno è riuscito a radunare prima e dopo la sua impiccagione. Perché questi “professionisti” dello scandalo per la pena di morte comminata contro un uomo che ammirava – e seguiva – Hitler , poco si dolgono di altre condanne a morte e di altre violenze? Quando mai un vescovo cinese scomparso e ucciso nei lager ha trovato tanta solidarietà? Quando indù, cristiani, musulmani imprigionati nelle carceri saudite o iraniane hanno goduto di tanto sdegno internazionale e sostegno personale e pubblico?
Il piangere da un occhio solo da parte di personaggi o organizzazioni è segno non solo di una soffocante visione ideologica, ma di un profondo relativismo. Il relativismo, è un pericolo alla pace alla stregua del terrorismo e della guerra. Questo atteggiamento così diffuso in occidente, che vuole scrollarsi di dosso qualunque certezza e qualunque quadro di valori, che innalza i tiranni e nasconde i perseguitati, che parla in modo ovattato di tutto perché non si interessa di nulla, è stato messo da papa Benedetto XVI fra i veri pericoli della pace nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della pace 2007. (Bernardo Cervellera)