27.4.06

Il totalitarismo islamico è diverso dal cristianesimo


Un documento davvero essenziale per comprendere il pensiero di Benedetto XVI sulla religione islamica si trova nel suo libro (scritto insieme a Peter Seewald nel 1996, quando era ancora cardinale), dal titolo “Il sale della terra”.
Alle pagg. 274-278, egli fa alcune considerazioni e mette in luce alcune differenze fra l’Islam e la religione cristiana e l’occidente.
Egli mostra anzitutto che nell’Islam non c’è un’ortodossia, perché non c’è un’autorità, un magistero dottrinale comune. Questo rende il dialogo difficile: quando dialoghiamo, non dialoghiamo “con l’Islam”, ma con dei gruppi.
Ma il punto chiave che egli affronta è quello sulla sharia. Egli dice:
“Il Corano è una legge religiosa che abbraccia tutto, che regola la totalità della vita politica e sociale e suppone che tutto l’ordinamento della vita sia quello dell’islam. La sharia plasma una società da cima a fondo. Di conseguenza, l’Islam può sfruttare le libertà concesse dalle nostre costituzioni, ma non può porre tra le sue finalità quella di dire: sì, ora siamo anche noi enti di diritto pubblico; ora siamo presenti [nella società] come i cattolici e i protestanti. A questo punto [l’Islam] non ha ancora raggiunto pienamente il suo vero scopo, si trova ancora in una fase di alienazione”, che si potrà concludere solo con l’islamizzazione totale della società. Quando ad esempio un islamico si trova in un società occidentale, lui può godere o sfruttare alcuni elementi, ma non si identificherà mai con il cittadino non musulmano, perchè non si trova in una società musulmana.
Il papa ha visto quindi con chiarezza una difficoltà essenziale del rapporto socio-politico con il mondo musulmano, che viene dalla concezione totalizzante della religione islamica, profondamente diversa dal cristianesimo. Per questo egli insiste nel dire che non dobbiamo cercare di proiettare sull’Islam la visione cristiana del rapporto tra politica e religione. Ciò sarebbe difficilissimo: l’Islam è una religione totalmente diversa dal cristianesimo e dalla società occidentale e questo non rende facile la convivenza. (Asianews)

26.4.06

Il disprezzo di Dio non crea possibilità di incontro con le altre culture

“E’ stato detto che non dobbiamo parlare di Dio nella costituzione europea, perché non dobbiamo offendere i musulmani e i fedeli di altre religioni. E’ vero il contrario - dice Ratzinger - ciò che offende i musulmani e i fedeli di altre religioni non è parlare di Dio o delle nostre radici cristiane, ma piuttosto il disprezzo di Dio e del sacro che ci separa dalle altre culture e non crea una possibilità di incontro, ma esprime l’arroganza di una ragione diminuita, ridotta, che provoca reazioni fondamentaliste”.
Benedetto XVI ammira nell’Islam la certezza basata sulla fede, in opposizione all’occidente, che relativizza tutto; e ammira nell’Islam il senso del sacro, che invece sembra essere sparito in occidente. Egli ha capito che il musulmano, non è offeso dal crocifisso, dai segni religiosi: questa è in realtà una polemica laicista che tende ad eliminare il religioso dalla società. I musulmani non sono offesi dai simboli religiosi, ma dalla cultura secolarizzata, dal fatto che Dio ed i valori che essi collegano con Dio sono assenti da questa civiltà. (Asianews)

17.4.06

"Non siate come penna ad ogni vento..."


“Verranno giorni in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa di nuovo, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” (2 Tim 4,3-4).
Questa parola della Scrittura – soprattutto l’accenno al prurito di udire cose nuove – si sta realizzando in modo nuovo e impressionante ai nostri giorni. Mentre noi celebriamo qui il ricordo della passione e morte del Salvatore, milioni di persone sono indotte da abili rimaneggiatori di leggende antiche a credere che Gesú di Nazareth non è, in realtà, mai stato crocifisso. Negli Stati Uniti è un best seller del momento un’edizione del Vangelo di Tommaso, presentato come il vangelo che “ci risparmia la crocifissione, rende non necessaria la risurrezione e non ci obbliga a credere in nessun Dio chiamato Gesù” [1].
“È una constatazione poco lusinghiera per la natura umana, scriveva anni fa il più grande studioso biblico della storia della Passione, Raymond Brown: quanto più fantastico è lo scenario immaginato, tanto più sensazionale è la propaganda che riceve e più forte l’interesse che suscita. Persone che non si darebbero mai la pena di leggere un’analisi seria delle tradizioni storiche sulla passione, morte e risurrezione di Gesù, sono affascinate da ogni nuova teoria secondo cui egli non fu crocifisso e non morì, specialmente se il seguito della storia comprende la sua fuga con Maria Maddalena verso l’India [o verso la Francia, secondo la versione più aggiornata]…Queste teorie dimostrano che quando si tratta della Passione di Gesù, a dispetto della massima popolare, la fantasia supera la realtà, ed è, ahimè, anche più redditizia” [2].
Si fa un gran parlare del tradimento di Giuda e non ci si accorge che lo si sta rinnovando. Cristo viene ancora venduto, non più ai capi del sinedrio per trenta denari, ma a editori e librai per miliardi di denari… Nessuno riuscirà a fermare quest’ondata speculativa, che anzi registrerà un’impennata con l’uscita imminente di un certo film, .... sento il dovere di attirare l’attenzione su un equivoco madornale che è al fondo di tutta questa letteratura pseudo-storica. I vangeli apocrifi sui quali ci si appoggia sono testi da sempre conosciuti, in tutto o in parte, ma con i quali neppure gli storici più critici e più ostili al cristianesimo hanno mai pensato, prima d’oggi, che si potesse fare della storia. Sarebbe come se fra qualche secolo si pretendesse ricostruire la storia attuale basandosi sui romanzi scritti nella nostra epoca. L’equivoco madornale consiste nel fatto che si utilizzano questi scritti per far dire loro esattamente il contrario di quello che intendevano. Essi fanno parte della letteratura gnostica del II e III. La visione gnostica - un misto di dualismo platonico e di dottrine orientali rivestito di idee bibliche -, sostiene che il mondo materiale è una illusione, opera del Dio dell’Antico Testamento, che è un dio cattivo, o almeno inferiore; Cristo non è morto sulla croce, perché non aveva mai assunto, se non in apparenza, un corpo umano, essendo questo indegno di Dio (docetismo).
Se Gesù, secondo il Vangelo di Giuda, di cui si è fatto gran parlare nei giorni scorsi, ordina lui stesso all’apostolo di tradirlo è perché, morendo, lo spirito divino che è in lui potrà finalmente liberarsi dell’involucro della carne e risalire al cielo. Il matrimonio che presiede alle nascite è da evitare (encratismo); la donna si salverà solo se il “principio femminile” (thelus) da essa impersonato, si trasformerà nel principio maschile, cioè se cesserà di essere donna [3].
La cosa buffa è che oggi c’è chi crede di vedere in questi scritti l’esaltazione del principio femminile, della sessualità, del pieno e disinibito godimento di questo mondo materiale, in polemica con la Chiesa ufficiale che, con il suo manicheismo, avrebbe sempre conculcato tutto ciò!
Lo stesso equivoco che si nota a proposito della dottrina della reincarnazione.
Presente nelle religioni orientali come una punizione dovuta a precedenti colpe e come la cosa a cui si anela a porre fine con tutte le forze, essa è accolta in occidente come una meravigliosa possibilità di tornare a vivere e a godere indefinitamente di questo mondo. Sono cose che non meriterebbero di essere trattate in questo luogo e in questo giorno, ma non possiamo permettere che il silenzio dei credenti venga scambiato per imbarazzo e che la buona fede (o la dabbenaggine?) di milioni di persone venga grossolanamente manipolata dai media, senza alzare un grido di protesta in nome non solo della fede, ma anche del buon senso e della sana ragione.

È il momento di riascoltare l’ammonimento di Dante Alighieri:
“Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
non siate come penna ad ogni vento,
e non crediate ch'ogni acqua vi lavi.
Avete il novo e 'l vecchio Testamento,
e 'l pastor de la Chiesa che vi guida;
questo vi basti a vostro salvamento…
Uomini siate, e non pecore matte ” [4].

[1] H. Bloom, nel saggio interpretativo che accompagna l’edizione di M. Meyer, The Gospel of Thomas, HarperSan Francisco, s.d., p. 125.
[2] R. Brown, The Death of the Messiah, II, New York 1998, pp. 1092-1096.
[3] Vedi il logion 114 nello stesso Vangelo di Tommaso (ed. Mayer, p. 63); nel Vangelo degli Egiziani Gesù dice: “Sono venuto a distruggere le opere della donna” (Cf. Clemente Al., Stromati, III, 63). Questo spiega perché il Vangelo di Tommaso divenne il vangelo dei manichei, mentre fu combattuto aspramente dagli autori ecclesiastici (per es. da Ippolito di Roma) che difendevano la bontà del matrimonio e del creato in genere.
[4] Paradiso, V, 73-80.
(tratto da zenit)

2.4.06

La comunità civile si fonda su una concezione condivisa di vita buona

Esistono tre testi di S.Tommaso secondo cui la legge dello Stato deve permettere molti comportamenti che la legge morale vieta; la legge dello Stato non deve chiedere comportamenti che solo le persone virtuose possono compiere; la legge dello Stato deve proporsi solo la pace e la giustizia sociale. L’idea di Tommaso si può agevolmente ritrovare in Leone XIII, in Pio XII, nel Vaticano II.
Ma non si può sostenere una demarcazione netta tra la sfera pubblica e quella privata o sostenere che nella sfera privata ciascuno persegue la concezione del bene che più gli aggrada, mentre nella sfera pubblica valgono solo le regole basate su principi di giustizia formale e procedurale.
La comunità civile e politica non è tenuta assieme solo da norme razionali convenute, ma anche e soprattutto da una concezione condivisa di vita buona. Negare questo non significa opporsi allo Stato teocratico ma dare prova di ingenuità.
Per tre motivi. I soggetti che decidono le regole pubbliche non possono prescindere dalla propria concezione di vita buona. Non credo esista una persona che possa attribuire ai beni umani una rilevanza esclusivamente soggettiva; esiste un universo di valori morali che precede le regole pubbliche. Vi sono poi forme di vita (supposta) buona che, a causa dei beni e gerarchia dei beni che perseguono, generano attitudini incompatibili con l’osservanza delle regole. Né questa visione porta alla imposizione intollerante di una concezione di vita buona a preferenza di altre. La conoscenza del bene infatti progredisce solo attraverso il confronto tra argomenti, che è serio se tutti, Chiesa compresa, possono parteciparvi (ecco la vera laicità), se il confronto è guidato dalla certezza che esista una verità circa il bene. Se invece la condizione sufficiente per determinare le regole di una società fosse il solo patto delle parti, il dialogo diventerebbe volontà di imporre il proprio punto di vista sull’altro. (mons. Carlo Caffarra)