22.4.07

LA RISCOPERTA DELLA IDENTITA' CRISTIANA


Da due anni a questa parte, Benedetto XVI, in diversi modi, sta proponendo una grande catechesi che va alle radici del fatto cristiano e che ne mostra tutto il fascino e tutti i legami con la ragione umana e con i desideri più radicali che ogni persona porta con sé: desiderio di verità, di bellezza, di significato. Tutto il percorso che va dall'aprile del 2005 ad oggi sembra portare in questa direzione. Basti pensare, ad esempio, ai grandi discorsi di Benedetto XVI, dalla lectio magistralis di Ratisbona a quello pronunciato in occasione del Convegno ecclesiale di Verona. All'enciclica Deus caritas est e, ora, al libro su Gesù di Nazareth pubblicato da Rizzoli. E ancora, al compendio al Catechismo della Chiesa Cattolica e alle udienze generali sulle figure degli apostoli e dei Padri della Chiesa.
Molte incrostazioni e molti pregiudizi sembrano intaccare la concezione del cristianesimo non solo nell'opinione pubblica, ma anche tra gli stessi credenti. Non si tratta soltanto di «ignoranza» circa le cose di fede e i dogmi ma anche di una vera e propria distorsione dell'annuncio cristiano. Se il cristianesimo, infatti, viene ridotto a una semplice dottrina morale, a un insieme di regole da seguire e di pratiche da sbrigare, o - per altro verso - a un messaggio di fratellanza universale o a una religione tra le tante, è inevitabile che esso perda la sua capacità di incidenza nella vita individuale e pubblica, che si trasformi in un vestito giustapposto dall'esterno all'esistenza delle persone senza più rappresentarne il centro. E' inevitabile che prenda corpo una sorta di scissione, di sclerosi tra la dimensione spirituale e la vita reale.
A questa scissione, a questa sclerosi, Benedetto XVI ha deciso di rispondere non con un programma o con una «tecnica» pastorale, ma riandando all'origine dell'avvenimento cristiano. Papa Ratzinger ha così mostrato che ciò di cui la Chiesa ha bisogno non è innanzitutto una particolare teologia, non è una migliore organizzazione, ma una conversione dello sguardo. Una Chiesa e dei cristiani, cioè, meno ripiegati su se stessi, sulle loro capacità e sulla loro attività, più disponibili a «lasciarsi fare» dall'azione misteriosa di Cristo e più attenti alla Sua presenza. Proprio per questo egli ha insistito così tanto, a un tempo, sul discorso del rapporto e del legame tra fede e ragione, sulla figura storica di Gesù e dei discepoli e sulla centralità della liturgia nell'esperienza cristiana: perché il cristianesimo, senza una fede ragionevole, si riduce a mera devozione umana; senza la storicità di Cristo si riduce a semplice messaggio spirituale manipolabile a seconda delle diverse necessità e dei diversi contesti socio-culturali e politici; senza la consapevolezza di ciò che accade nella liturgia si riduce a puro volontarismo.
E' stato detto, giustamente, che Benedetto XVI è il Papa della riscoperta della «identità cristiana». Bisogna aggiungere però, alla luce di quanto detto, che tale identità non è uno schema preconfezionato o un prontuario culturale stiracchiabile da destra e da sinistra, un fossile da rispolverare. Perché, come diceva Charles Peguy, Gesù Cristo «non è venuto per dirci frivolezze... Non ci ha dato delle parole morte che noi dobbiamo chiudere in piccole scatole (o in grandi). E che dobbiamo conservare in dell'olio rancido come le mummie d'Egitto... Gesù Cristo non ci dà delle conserve di parole da conservare, ma ci ha dato delle parole vive da nutrire». Per questo il messaggio «culturale» di Benedetto XVI non è separabile dal suo andare alle radici del cristianesimo come avvenimento, come fatto reale nella storia e nella vita degli uomini. Il primo non si spiega senza il secondo. (ragionpolitica)

21.4.07

C'ERANO MOLTE VERITA' CRISTIANE IMPAZZITE


“Nella biblioteca dell'università mi imbattei in un fascicolo di Esprit, la rivista diretta da Emmanuel Mounier. Io non lo conoscevo, ma sapevo che era amico e allievo di Jacques Maritain, e Maritain era allora l'avanguardia della cultura cattolica mondiale, così volli leggerlo. C'era scritto che non era vero che il comunismo russo era la peste, che a dipingerlo così erano i fascisti e le "demoplutocrazie", ma i comunisti in realtà erano più cristiani di noi. Se lo dice questo qui che è allievo di Maritain, mi dissi, bisogna andare a vedere. Così allo scoppio della guerra, mentre tutti cercavano di imboscarsi, io chiesi di essere mandato sul fronte russo. Fu l'esperienza definitiva della mia vita.”
Che cosa scoprì?
“Parlai tantissimo con i russi, per quel che permetteva la lingua, e scoprii qualcosa di terrificante: non c'era una famiglia che non avesse almeno un membro ucciso dal regime o deportato in Siberia. Raccolsi i racconti degli anni terribili della carestia in Ucraina e del cannibalismo che ne seguì. Quella vicenda mi fece toccare con mano la verità di quel che aveva scritto sant'Agostino millecinquecento anni prima: o si costruisce la città di Dio, o inevitabilmente si costruisce la città del Principe di questo mondo. E decisi che dovevo raccontare quel che avevo visto. Nacquero così i miei primi libri, sostanzialmente autobiografici, I più non ritornano, I soldati del re, e naturalmente Il cavallo rosso.”

Torniamo a Maritain e Mounier. Come li ha guardati dopo l'esperienza russa?
“Li ho combattuti con tutte le mie forze, perché ho capito quale era il loro errore. Maritain in origine era un socialista rivoluzionario ateo; poi Dio gli ha toccato il cuore, ma lui è rimasto accecato dal fatto che nel bagaglio culturale dei marxisti e dei laicisti - che erano suoi amici - c'erano molte verità cristiane impazzite, come direbbe Chesterton. Maritain si definì un minatore che cercava valori e virtù cristiani nascosti nel mondo laico, e finì per convincersi che costoro - che lui era ansioso di conquistare alla sua nuova fede - fossero in sostanza già cristiani, e che si potesse costruire una "nuova cristianità" con marxisti e laici.”
E in cosa consiste l'errore?
“Nel fatto che una verità, un valore o una virtù cristiani, messi nel bagaglio degli altri, li rendono ancora più avversi al cristianesimo. Lo spirito di abnegazione è certamente un valore cristiano, ma al servizio di una causa sbagliata la rende solo più micidiale. Nel Vangelo la verità è fondamentale come la carità. Dobbiamo lavorare per aiutare gli uomini a non staccarsi mai dalla verità.”
(Dall’intervista di Eugenio Corti a Tempi)

Eugenio Corti è nato a Besana Brianza nel 1921 ha esordito nel 1947 con I più non ritornano. È internazionalmente noto per il romanzo Il cavallo rosso (1983), mirabile affresco dell'Italia e dell'Europa dal 1940 al 1974. Tra le opere successive Gli ultimi soldati del re; la tragedia Processo e morte di Stalin; i saggi L'esperimento comunista, sintesi di ciò che è costato all'umanità il comunismo, e Il fumo nel Tempio, sulla crisi del mondo cattolico. Nel 2000 è stato insignito del Premio Internazionale Medaglia d'Oro al merito della Cultura Cattolica.

15.4.07

LA CHIESA DEVE DIFFONDERE LA PAROLA DI BENEDETTO XVI


C'è un limite oltre il quale le parole di Benedetto XVI non vanno. Esse raggiungono nella loro interezza solo coloro che le ascoltano di persona, o presenti fisicamente o grazie a una diretta televisiva. Il numero di queste persone è cospicuo, superiore a quello di tutti i precedenti pontificati. Il messaggio pasquale "urbi et orbi" e la Via Crucis del venerdì santo sono stati seguiti da grandi folle e ritrasmessi in più di quaranta paesi. Ma ancor più sterminato è il numero delle persone alle quali il messaggio del papa arriva mutilato, o non arriva del tutto.
Questo limite comunicativo Benedetto XVI lo ha sperimentato in misura ancora maggiore nelle altre celebrazioni della settimana santa. Ma tra i presenti a queste messe solo chi comprendeva l'italiano poteva ascoltare con frutto le omelie del papa. I media cattolici che ne hanno tradotto e rilanciato i testi in vari paesi hanno allargato l'area d'ascolto di poco, a un pubblico di nicchia.
Per un papa come Benedetto XVI che ha incentrato proprio sulla parola il suo ministero, questo è dunque un limite serio. Nella curia romana gli uffici che si occupano di comunicazione non hanno fatto sinora nulla di nuovo, per ovviarvi almeno in parte. Ad esempio, nessuno provvede a far arrivare tempestivamente, a tutti i vescovi e sacerdoti del mondo, collegati via internet, una newsletter con i testi del papa nella rispettiva lingua.
Le sole iniziative efficaci, in questo campo, sono di Benedetto XVI in persona. Col suo libro su Gesù che uscirà lunedì 16 aprile in più lingue egli raggiungerà in forma diretta e personale un numero altissimo di lettori in tutto il mondo. Qui e qui si possono leggere i testi integrali delle sue omelie.

IL VELTRONISMO HA INQUINATO LA FEDE


Il 53,8% dei battezzati italiani ha una conoscenza della religione cattolica scarsa o pessima. L’altro 46,2% ne ha una conoscenza sufficiente (37,4%) o alta (solo l'8,8%). Questo, in sintesi, è il risultato del sondaggio commissionato dal Giornale sulla conoscenza dei contenuti fondamentali della fede cattolica tra i cattolici battezzati italiani. Vittorio Messori ritiene, giustamente, che le responsabilità maggiori ricadano sulla Chiesa stessa che, dopo il Concilio, “non solo non si è sentita in dovere di dare un’indicazione di catechesi importante ma si è lasciata inquinare dal buonismo e dal politicamente corretto. Il buonismo, il veltronismo, è un’ipocrisia e l’ipocrisia si accompagna ad una prospettiva, una visione delle cose satanica perché satana è menzogna.”
Certi preti risentono inevitabilmente del clima che li circonda e si sono messi a dipingere Gesù come se fosse qualcuno simile a Veltroni, come se oggi fosse solo giusto e corretto parlare di non vedenti piuttosto che di ciechi, di diversamente abili piuttosto che di zoppi per non urtare le coscienze.
“Invece il cristiano è realista, deve essere realista perché Gesù, prima di tutti, lo era.”
Il risultato è sconfortante: professori che per sfuggire all’anticlericalismo dilagante che li guarda con sospetto sono costretti, nell’ora di religione, a parlare di buonismo commentando magari le cronache dei giornali o le vicende di attualità o parlare di altre religioni.
Messori ricorda che Ratzinger, prima di diventare papa, un giorno gli disse: “Se la Fede sopravvive a 25 mila omelie domenicali in Italia vuol dire che ha una buona resistenza.”
Trenta minuti durante i quali si rischia di sentire di tutto tranne una spiegazione, un commento utile per consolidare la fede dei presenti e per fortificare la visione cattolica della vita, del mondo terreno e dell’altro. Dio conservi a lungo Benedetto XVI (:))

7.4.07

LE RAGIONI DEL SUCCESSO DI BENEDETTO XVI


Benedetto XVI possiede un carisma della parola fuori dal comune: sa comunicare a un tempo in modo semplice e profondo. Semplice, perché riesce a farsi comprendere da chiunque vada ad ascoltarlo e perché riesce a rendere chiaro con poche parole il senso dei suoi discorsi e della sua proposta; profondo, perché introduce chi lo ascolta in un cammino di approfondimento, di scoperta, di ri-meditazione delle sue parole. E' un dono raro, questo. Tanto che lo stile oratorio e di scrittura di Papa Ratzinger, il suo modo di argomentare, viene studiato e proposto come modello nella sua Germania.
Ma c'è una ragione ancor più profonda che spiega il record di presenze stabilito da Benedetto XVI, una ragione che va oltre la forma e lo stile con cui egli sa attrarre a sé milioni di persone. Che cosa va dicendo, da ormai quasi due anni a questa parte, Joseph Ratzinger al nostro tempo, ai cristiani come ai non cristiani? Qual è la sua proposta? A che cosa mirano i suoi discorsi? Lo ha detto lui stesso, neppure troppo velatamente, in molti dei suoi interventi: nel tempo del relativismo dogmatico, in cui niente è più considerato come certo e vero se non una strana «dittatura dell'io e delle sue voglie», in cui «al crescere delle nostre possibilità (tecnologiche e di manipolazione della vita, ndr) non corrisponde un uguale sviluppo della nostra energia morale», in cui la stessa dignità umana e la stessa natura umana vengono minacciate (teoricamente e praticamente) sin nei loro fondamenti, l'uomo non smette di cercare, non smette di avere fame e sete della verità e della certezza, non smette di sentire dentro di sé l'urgenza di un significato, di una risposta alle domande e ai drammi della vita.
Per questo la proposta di Benedetto XVI è, come i suoi discorsi, semplice e profonda, punta a far riscoprire a un tempo gli aspetti essenziali della natura umana e del cristianesimo, per mostrare che fede e ragione non sono in contrasto l'un con l'altra, che ciò che la ragione così intensamente e ardentemente cerca ha trovato, nella storia, una risposta, un compimento, una «incarnazione». Per questo, con tanta insistenza, Papa Ratzinger denuncia i limiti di quella cultura dominante che, prima ancora che rappresentare una minaccia per la fede, è una minaccia per l'uomo e per la sua felicità: riducendo lo spazio e le possibilità della ragione «a ciò che è misurabile e sperimentabile», questa cultura tende a privare l'uomo di ciò che veramente conta, di ciò che veramente può aprirgli le porte del significato, della gioia, dell'eternità. Da qui l'invito ai cristiani di «vivere una fede che proviene dal Logos, dalla Ragione Creatrice, e che perciò è anche aperta a tutto ciò che è veramente razionale», e l'invito ai laici a vivere e a pensare «veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse», perché «il tentativo, portato all'estremo, di plasmare le cose umane facendo a meno di Dio ci conduce sempre di più sull'orlo dell'abisso, verso l'accantonamento totale dell'uomo».
E' in questa proposta che stanno le ragioni del «successo» di Benedetto XVI, spesso ignorato dai media ma non da coloro che, con il cuore semplice e pieno di desiderosa attesa, corrono tutte le domeniche o i mercoledì ad ascoltarlo, a far tesoro delle sue parole, per risentire in esse l'eco viva di una Presenza che sola può colmare quel bruciante desiderio di verità, di felicità, di bellezza che nessun potere umano e nessun dominio tecnico potranno mai estirpare del tutto dal cuore dell'uomo. (Gianteo Bordero – ragionpolitica)

6.4.07

IL NUCLEO STORICO DELLA FEDE DI PASQUA


Possiamo, o no, definire la risurrezione di Cristo un evento storico, nel senso comune del termine, cioè di “realmente accaduto”?
Quello che si offre alla considerazione dello storico e gli permette di parlare della risurrezione, sono due fatti: primo, l'improvvisa e inspiegabile fede dei discepoli, una fede così tenace da resistere perfino alla prova del martirio; secondo, la spiegazione che di tale fede gli interessati, cioè i discepoli, ci hanno lasciato. Nel momento decisivo, quando Gesù fu catturato e giustiziato, i discepoli non nutrivano alcuna attesa di una risurrezione. Essi fuggirono e dettero per finito il caso di Gesù.
Dovette quindi intervenire qualcosa che in poco tempo non solo provocò il cambiamento radicale del loro stato d'animo, ma li portò anche a un'attività del tutto nuova e alla fondazione della Chiesa. Questo “qualcosa” è il nucleo storico della fede di Pasqua.
La più antica testimonianza della risurrezione è quella di Paolo ed essa dice così: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1 Cor 15, 3-8). La data in cui furono scritte queste parole è il 56, o il 57 d.C.. Il nucleo centrale del testo, tuttavia, è costituito da un credo anteriore che san Paolo dice di avere egli stesso ricevuto da altri. Tenendo conto che Paolo apprese tali formule subito dopo la sua conversione, possiamo farle risalire a circa il 35 d.C., cioè a cinque, sei anni dopo la morte di Cristo. Testimonianza dunque di raro valore storico.