12.3.15

PROPORZIONALE O MAGGIORITARIO


Il celebre articolo del 1944, con le considerazioni classiche sull'intrinseca giustizia del sistema maggioritario
Luigi Einaudi - CONTRO LA PROPORZIONALE 

Ogni opinione, secondo i fautori del sistema della rappresentanza proporzionale, ha diritto di essere rappresentata nei parlamenti, in ragione del consenso che essa ha tra gli elettori. Se per ogni 100 elettori, 47 sono conservatori (ripeto l'esempio britannico, per non porre insidiosi incerti rapporti di forza tra i vari partiti italiani), 38 laburisti e 15 liberali, i deputati siano, in un grande collegio con molti (100) seggi ed a rappresentanza proporzionale, all'incirca 47, 38 e 15 rispettivamente; e non si corra il rischio, come potrebbe verificarsi nei piccoli collegi separati, in cui la maggioranza elegge essa il deputato, che vadano alla camera 70 conservatori, 30 laburisti e nessun liberale. Fin dal 1842 Victor Considérant in uno dei primi scritti proporzionalisti affermava: "tutte le opinioni, anche le più assurde e mostruose, hanno diritto di essere rappresentate". 
Ebbene no. È necessario dichiarare invece apertamente che questa della rappresentanza delle opinioni è, come tante altre, come ad esempio quella della autodecisione dei popoli o della separazione assoluta del potere legislativo da quello esecutivo o della sovranità dei parlamenti sui governi, e, peggiore di tutte, della sovranità piena degli stati indipendenti, una concezione distruttiva, anarchica, inetta a dar vita a governi saldi. La rappresentanza proporzionale fu inventata da aritmetici raziocinatori, inetti a capire che i paesi non si governano con le regole del due e due fanno quattro, e del 38 più 15 maggiore di 47. Nossignori: 47 vale più di 38 e 15. 
I parlamenti non sono società di cultura od accademie scientifiche. Sono organi, il cui scopo unico è quello di formare governi stabili e di controllarne l'azione. Come disse il primo ministro del primo governo laburista, Ramsay Mac Donald, le elezioni non si fanno per contare le opinioni, per fare il censimento (census, in inglese) delle sette, dei ceti, dei partiti, dei movimenti, dei gruppi sociali, religiosi, politici, ideologici in cui si fraziona una società, la quale sia composta di uomini vivi e pensanti; ma si fanno per mettersi d'accordo in primissimo luogo sul nome della persona che in qualità di primo ministro sarà chiamato a governare il paese, e in secondo luogo sul nome di coloro che collaboreranno con lui o che ne criticheranno l'operato. Le elezioni hanno cioè per scopo di creare il consenso (consensus e non census) intorno ad un uomo ed al suo gruppo di governo ed intorno a chi oggi sarà il suo critico e domani ne prenderà il posto se gli elettori gli daranno ragione. Se non si vuole l'anarchia, questo e non una sterile accademica rassegna di opinioni è lo scopo unico preciso di un buon sistema elettorale. 
Risponde alla esigenza il sistema della proporzionale? No. I suoi fautori, ossessionati dall'idea curiosa che un parlamento debba essere la fotografia della infinita varietà delle opinioni che necessariamente lottano in un paese libero, hanno dimenticato che non a caso esiste un rapporto fra il sistema elettorale vigente in un paese ed il numero delle frazioni e dei gruppi in cui si divide il suo parlamento. Vogliamo che il numero dei partiti, dei gruppi, dei sottogruppi parlamentari si moltiplichi all'infinito? Dobbiamo in tal caso scegliere la proporzionale; ma dobbiamo nel tempo stesso sapere che, così facendo, avremo fatto quel che meglio si poteva per impedire il funzionamento di un governo solido, duraturo ed operoso. Colla proporzionale, ossia con un collegio elettorale grande (ad esempio, Lombardia, Piemonte, Emilia, ecc.), chiamato ad eleggere, supponiamo, 50 deputati, scelti in modo che ogni gruppo, il quale giunga almeno a 25 mila elettori abbia un proprio rappresentante, noi diamo un premio al moltiplicarsi dei gruppi. Ognuno, il quale abbia o creda di avere un'idea capace di attirare a sé 25 mila elettori, promuoverà la formazione di un proprio gruppo. C'è chi vuole sia posto un dazio sul grano? o chi dice essere un inaudito sopruso l'obbligo della vaccinazione? o chi voglia la denuncia del concordato col Vaticano? o la introduzione obbligatoria della partecipazione ai profitti degli operai? o chiede sia introdotto l'istituto del divorzio? C'è chi è comunista staliniano? ovvero trotzkista? od anarchico di una delle varie confessioni? o liberale all'antica, o neo-liberale? conservatore-liberale? conservatore- riformista? cristiano-centrista o cristiano comunisteggiante? Perché, chi ha un'opinione distinta e ben netta, chi ha un programma particolare da attuare, il quale a lui pare sovra ogni altro importante, non dovrebbe tentare di costituire un gruppo? Ed ecco i 50 deputati della Lombardia divisi in quattro o cinque o dieci gruppi, provveduti ognuno di tanti deputati quanti sono i quozienti di almeno 25 mila elettori che ogni gruppo è riuscito a raccogliere sotto la sua bandiera. Ed ecco i 50 deputati del Piemonte divisi in altri tre o quattro o sei gruppi, non identici necessariamente ai gruppi lombardi. In ogni grande collegio, in Liguria, nel Veneto, in Toscana, in Sicilia, gli interessi, le opinioni, i gruppi sociali sono diversi ed i gruppi hanno una particolare fisionomia; ed ecco i parlamenti frazionarsi all'infinito.
Pur non esagerando, la probabilità della formazione di tre o quattro grossi partiti e di una diecina di minori gruppi è evidente ed irrimediabile. Con siffatta composizione non è improbabile che la formazione di una maggioranza di governo dipenda dall'appoggio di qualche gruppo minore, il quale non rappresenta alcun interesse veramente generale o nazionale, ma una qualunque idealità particolare, cara ad una piccola minoranza della nazione. Se ci sono venti deputati divorzisti ed altrettanti deputati anticoncordatari decisi a vendere il proprio voto al più alto prezzo, pur di far trionfare il proprio particolare punto di vista, ci troveremo dinnanzi ad un governo di coalizione, il quale sarà costretto a far votare dalla propria maggioranza la legge divorzista o quella anticoncordataria od un'altra qualunque legge, senza che vi sia alcuna benché minima probabilità che quella legge sia sul serio voluta dalla maggioranza degli elettori. I deputati sono eletti su programmi particolaristici, classistici, professionali, religiosi i quali interessano questa o quella minoranza, questa o quella fazione. Ogni gruppo spinge avanti il proprio programma particolare; e la legislazione che ne esce è un composto bizzarro di norme particolaristiche, volute ognuna da una piccola minoranza e tali che sarebbero, se il referendum fosse una maniera ragionevole di formulare leggi in faccende talora complicatissime, respinte tutte dalla grandissima maggioranza dei cittadini.
 In fondo, la proporzionale è il trionfo delle minoranze; ognuna delle quali ricatta le altre ed il governo, il quale dovrebbe essere l'espressione della maggioranza, per costringere parlamenti e governi a votare e proporre leggi volute dai singoli gruppi. Cinquanta divorzisti eletti come tali e formanti gruppo a sé sono una forza ben diversa da cinquanta deputati, i quali hanno iscritto il divorzio in un programma più generale di un partito il quale ha ideali complessi, di cui il divorzismo è solo uno dei tanti aspetti. Il gruppo dei divorzisti che non si preoccupa d'altro che del divorzio è disposto a dare il voto a chiunque gli prometta di far trionfare il suo piccolo ideale e può, all'uopo, addivenire alle alleanze più illogiche. I divorzisti generici invece, che fan parte di una maggioranza che non vuol rinunciare al governo o che non vuole perdere la speranza di conquistarlo, daranno al divorzio un posto adeguato nell'ordine gerarchico dei fini da conseguire; e solo se esso sia veramente richiesto dalla coscienza giuridica nazionale lo anteporranno agli altri e giocheranno su esso le fortune del partito.
Insieme ai ricatti, la proporzionale favorisce il dominio dei comitati elettorali e toglie all'elettore ogni effettiva libertà di scelta dei propri rappresentanti. In un grande collegio, come la Lombardia od il Piemonte, nel quale l'elettore deve scrivere o far propri i nomi di 50 candidati, quale conoscenza mai l'elettore ha di ogni singolo candidato? Ne conoscerà uno o due o tre; gli altri per lui sono meri nomi. Egli deve votare la lista quale gli è presentata dal comitato. Ogni cancellazione o sostituzione di nomi sarebbe inoperante. Tanto vale egli si astenga dall'andare alle urne. Più il metodo viene perfezionato, con i sistemi delle preferenze o dell'abbinamento delle liste o dei voti cumulati, più imbrogliamo la testa dell'elettore medio e più cresciamo il potere dei comitato che combinano le preferenze, i cumuli, gli abbinamenti. L'elettore buon uomo ha creduto di dare il voto ad una lista perché in essa aveva veduto i nomi di persone stimate e note, ed alla fine, con sua stupefazione, vede quei nomi cacciati in fondo alle liste, epperciò non eletti. In testa, sono arrivati i traffichini, coloro che combinano e pasticciano liste, preferenze, cumuli e simiglianti imbrogli. 
I comitati, divenuti padroni delle elezioni, fanno degenerare l'istituto del mandato rappresentativo; che, se vale qualcosa, è un mandato di fiducia dato ad una persona, affinché questa voti od operi nel modo che la coscienza gli detta nelle circostanze ognora mutabili della vita pubblica. Ma i comitati non vogliono nei parlamenti uomini dalla coscienza indipendente; si invece uomini che attuino quel programma che sta scritto nelle tavole della legge del partito o del gruppo o gruppetto; epperciò si inventano. i mandati imperativi, con le dimissioni in bianco, sottoscritte dai candidati prima delle elezioni e spedite d'ufficio al presidente della camera quando il deputato recalcitri agli ordini del comitato del partito, del gruppo o gruppetto. Il flagello dei comitati non è proprio della proporzionale; ma è aggravato da questa. Che cosa è il candidato invero, se non un numero di una lista? È forse egli una "persona" atta a pensare e deliberare in modo autonomo? No. Egli è stato votato perché iscritto in una lista. Talvolta gli elettori non scrivono neppure il suo nome; e sono invitati a votare per la lista bianca o verde o rossa o gialla. Se egli, bianco, alla camera vota coi verdi, è un traditore e sarà espulso. 
Moltiplicando i partiti, ed asservendoli ai comitati, la proporzionale favorisce le dittature ed i colpi di mano. Col sistema della maggioranza, ogni partito ha la speranza di diventare in avvenire maggioranza seguendo le vie legali della persuasione degli incerti. Ma quale mai speranza può avere una minoranza di... - chiamiamoli divorzisti od antivaccinisti per non designare in modo particolare questo o quel partito, che invece potrebbe essere di maggioranza o parte della maggioranza - quale speranza, dico, possono avere i divorzisti o gli antivaccinisti di diventare maggioranza? Nessuna. La proporzionale dà ad ogni partito o gruppo tanti rappresentanti quanti sono gli elettori aderenti a quel credo. Quale probabilità ha il divorzista di far proseliti tra gli antivaccinisti e di diventare cosi maggioranza? Nessuna: il divorzista resta tale e l'antivaccinista pure. Perché dovrebbe accedere all'opinione altrui? Altro rimedio non resta, per conquistare la maggioranza, se non ricorrere all'antico, accettato e lodato metodo dello spaccare le teste degli avversari, invece di contarle, come è usanza delle contrade civili. 
Se in questa materia le statistiche valessero qualcosa, varrebbe la pena di fare il conto dei paesi governati dopo il 1918 da costituzioni perfettissime elaborate da costituenti sapientissime e naturalmente rette da parlamenti eletti a norma delle più raffinate regole proporzionalistiche. Si vedrebbe che nei paesi i quali dimenticarono l'aurea massima secondo cui le sole costituzioni vitali sono quelle che o non furono mai scritte, come quella britannica, o se in tempi oramai remoti (1787, 1848, ecc.) furono scritte, i costumi e gli emendamenti ne cambiarono la faccia in modo da renderle di fatto una cosa tutta diversa da quella originaria; si vedrebbe che quasi sempre le assemblee proporzionalistiche andarono a finire nella dittatura. Uno scrittore americano fece quel conto; ed essendogli venuto fuori il bel risultato che dopo il 1919 la proporzionale finì bene in stati abitati da 40 milioni di abitanti e finì male, ossia con la dittatura in assai più stati, popolosi di ben 200 milioni, concluse che la proporzionale è il vero cavallo di Troia con cui i regimi autoritari riescono a penetrare nelle fortezze democratiche. Insigne fra i casi di tradimento della proporzionale fu quello italiano, dove, grazie a quel sistema, nessun governo duraturo poté reggere dopo il 1918. 
Bisogna rassegnarsi a piantarla lì con i piccoli giochetti aritmetici della cosiddetta giustizia proporzionale nel decidere intorno a faccende serie come sono le scelte dei legislatori e dei governi. Non è cosa seria presentare liste composte non di nomi di persone, ma di formule stampate nei più diversi colori dell'iride. L'elettore fa d'uopo sia costretto a decidersi: o Tizio o Caio. Se anche Sempronio o Mevio si vogliono presentare ai suffragi dei conterranei, buon pro lor faccia. Ma l'elettore deve, se vuol scrivere qualcosa, metter giù un solo nome, quello della persona che a lui pare più meritevole dell'alto onore. In Italia, se i deputati dovranno essere 500, si dovran fare 500 collegi o distretti elettorali di circa 90 mila abitanti l'uno. Un distretto di 90 mila abitanti è una entità naturale. Gravita attorno a una cittadina, ad un luogo di mercato; è composto di comuni aventi interessi affini, abitati da gente che ha reciproci rapporti quotidiani. I candidati sono personalmente conosciuti dai loro amici: operai o contadini, bottegai od artigiani, non di rado professionisti noti e più o meno stimati. 
Saranno celebrità locali? Tanto meglio. In un parlamento si infiltrano sempre troppi uomini celebri, illustri in questa o quell'arte o scienza e sovratutto nell'oratoria. Manca invece la gente la quale viene dal basso, che ha compiuto le sue prove facendo il sindaco o l'assessore dei comuni, governando leghe degli operai, cooperative o consorzi agricoli, amministrando opere pie od ospedali. Il collegio piccolo, nel quale un solo candidato riesce eletto, non è certo il toccasana. Tirannie di comitati, mandati imperativi, imbrogli di faccendieri, imbottimento di crani della buona gente ad opera di chiacchiere di arrivisti sono mali inevitabili. Nessun parlamento al mondo vi si può sottrarre. La mediocrità di tanti deputati italiani d'innanzi 'al 1922 era dovuta al sistema amministrativo accentrato, che faceva di ogni deputato un galoppino procacciante favori agli elettori. Ridiamo vita autonoma ai comuni ed alle regioni, mandiamo a spasso i prefetti ed avremo risanato in gran parte, nel solo modo adatto, la vita parlamentare. 
Se non è il toccasana, il collegio piccolo è il solo modo di forzare l'elettore a decidersi. È da riflettere persino se non convenga abolire il ballottaggio e proclamare vincitore subito il candidato il quale ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti. Se i votanti sono 20000, e Tizio ha avuto 8000 voti, Caio 7000 e Sempronio 5000; sia eletto senz'altro Tizio, sebbene non abbia raggiunto la metà più uno dei voti. Peggio per gli elettori i quali non hanno saputo decidersi e tra il bianco di Tizio e il rosso di Caio, hanno preferito il grigio di Sempronio. In Inghilterra, tra i conservatori ed i laburisti, i liberali sono stritolati e perdono costantemente terreno. Gli elettori liberali si stancano di disperdere i loro voti e finiscono per riversare i loro voti, a seconda delle inclinazioni, sui conservatori o sui laburisti. Vecchio (sebbene abbia l'ingenuità di credermi, con altri quattro gatti dispersi nei cantoni più diversi del mondo, un neo-liberale) liberale quale sono, non mi allarmo affatto di questa scomparsa apparente del liberalismo. Essa vuol dire che il liberalismo sta permeando, sta trasformando i due grandi partiti: rende più aperti alle idee nuove i conservatori e più cauti e sperimentati i laburisti, che da noi si direbbero socialisti; rende liberale il conservatorismo e crea il socialismo liberale.
L'errore massimo di principio della proporzionale è di confondere la lotta feconda delle parti, dei gruppi, degli ideali, dei movimenti, la quale ha luogo nel paese, con la deliberazione e l'azione dei parlamenti e dei governi. Nessun parlamento, nessun governo funziona se il sistema elettorale irrigidisce i partiti, i gruppi, le classi, i ceti sociali, le tendenze, le idee, dandone la rappresentanza esclusiva a talune persone elette perché mandatarie di quei gruppi o di quelle idee. Occorre vi sia un congegno il quale obblighi le idee, i gruppi, i ceti a cercare quel che essi hanno di essenziale, di comune con altri, a classificare i fini ed a rivolgere la propria azione verso quel fine che ha il consenso dei più. I divorzisti hanno ragione di patrocinare il loro fine; ma è gran bene che lo attuino soltanto quando esso sia divenuto convinzione della maggioranza, quando questa lo abbia messo in testa al proprio programma. Se eletti come gruppo, gli uomini decisi a far trionfare il divorzio sono una peste sociale, un germe di dissoluzione della società politica.
Gli stessi uomini scelti perché, in contrapposto ad altri uomini, furono ritenuti i migliori, hanno interessi ed ideali complessi da far trionfare, di cui il divorzio è uno solo, e l'opera loro potrà essere utile. L'idea nuova non si difende e non si fa trionfare nei parlamenti. Essa nasce nei libri e nelle riviste, si propaga nei giornali, dà origine ad associazioni, a gruppi di propaganda; conquista l'opinione pubblica, e cioè l'opinione media, quella di coloro che non sono già gli adepti di un credo. Solo allora, ed è bene che ciò accada solo allora, se non si vuole che i parlamenti siano popolati da inventori sociali, da fanatici, da gente tocca nel cervello, gli uomini politici se ne accorgono. Solo allora i capi della minoranza vedono in quel movimento un pretesto per -criticare il governo, il quale non ha ancora capito l'importanza della nuova idea. Solo allora i capi della maggioranza di governo, costretti a difendersi, si occupano del problema posto dall'idea nuova e vanno al contrattacco, dimostrando che l'idea non è nuova ed è sbagliata. La lotta si accende e, se davvero l'idea è nuova e vitale, viene il giorno in cui il capo della maggioranza, se vuol sopravvivere, proclamerà: l'ho sempre detto anch'io! e, convertendo quella idea in legge, la fa trionfare nel momento giusto. Se il trionfo, per ricatto di gruppi, avesse avuto luogo prima, sarebbe stato ingiusto ed effimero. 

(Luigi Einaudi, L'Italia e il secondo risorgimento, supplemento alla "Gazzetta ticinese", 4 novembre 1944, a firma "Junius".)