26.1.08

LA PAURA DELLA VERITA'


Il Papa ha potuto parlare in paesi ad alto rischio, come la Turchia, e non alla Sapienza, curiosamente fondata proprio da un papa, Bonifacio VIII, nel 1303. Una vergogna per lo Stato italiano. Un insulto innanzitutto alla tanto richiamata laicità dello Stato. Uno Stato laico, è bene ricordarlo, non è uno Stato in cui i sacerdoti non possono circolare, ma in cui ognuno possa essere se stesso ed esprimere liberamente le proprie idee. Laicità e democrazia sono il rispetto dell'uomo per come è. Mi sono chiesto il perché di tutta questa situazione e cosa fosse realmente accaduto alla "Sapienza". Da questo punto di vista la cosa più interessante l'ho sentita dire dal cardinale Camillo Ruini, il quale, parlando dei contestatori, ha affermato:
«Questi ragazzi hanno perso il senso della realtà». È precisamente questo il punto di giudizio decisivo per capire quanto accaduto. La vicenda dei 67 firmatari della lettera è emblematica di questo. Infatti non si tratta di ignoranza, perché quei professori della materia che insegnano ne sanno più di me e di tanti studenti messi insieme……
Nel momento in cui si smarrisce il nesso con la realtà, uno ragiona per pregiudizi ideologici: pur di attaccare il Papa si prende per buona una frase e la si estrapola dal contesto, non accorgendosi che il Pontefice citava quelle parole non perché fosse d'accordo con la tesi in esse sostenute, ma per prenderne le distanze. Domenica all'Angelus il Papa ha detto: «Il clima che si era creato ha reso inopportuna la mia presenza alla cerimonia». Occorre rendersi conto che questo clima, che io per primo ho respirato in quei giorni nella mia università, è stato creato da persone che hanno paura della realtà, paura del confronto tra le proprie idee, le proprie posizioni, e la realtà. È proprio questa paura che genera la violenza: non c'è più il "non sono d'accordo con te", ma il "tu qui non devi entrare". I professori firmatari della lettera hanno contestato il Papa perché ragiona per dogmi, un metodo estraneo al mondo scientifico. Curiosamente, però, i dogmatici si sono dimostrati loro, non accettando di ascoltare un uomo che la pensa in maniera diversa. Ecco perché ho trovato decisiva la continua insistenza di Benedetto XVI sulla ragione, al fatto che possa essere usata secondo tutta la sua ampiezza, avendo come scopo la ricerca della verità e non l'arroccamento sulle proprie convinzioni.
Tratto dall’articolo di Giorgio Israel (Tempi)

20.1.08

CATTIVI MAESTRI


“Quando, di qui a cinquant’anni, uno storico giudicherà questo nostro periodo, non potrà non dire che siamo in una fase in cui la Chiesa di Roma tende continuamente e sempre di più a espandere i confini del proprio intervento, della propria libertà di parola e del proprio diritto di censura. Questa è la situazione: non certo quella opposta. Anche per questo sfondo storico la presenza di Benedetto XVI è stata intesa da molti come uno sviluppo e un’espressione altamente simbolica di questa costante espansione.”
Così ha scritto Alberto Asor Rosa – professore emerito della “Sapienza” di Roma sul Corriere del 19 gennaio.
Sullo stesso quotidiano, nella pagina successiva, Sergio Romano ha rilevato come la Chiesa cattolica sia rispettata ma disobbedita. Ha richiamato quanto scritto dalla Stampa il 4 novembre 2007, dove si ricordava che gli italiani che si dichiarano cattolici sono il 70% della popolazione, ma la percentuale di coloro che praticano la religione è molto più bassa: tra il 17 e il 20%.
“Temo – ha scritto Enzo Bianchi – che per molti europei il cristianesimo, cattolico o riformato, abbia smesso di essere una fede e sia diventato semplicemente la manifestazione della propria differenza. “Siamo cristiani”, in altre parole, è un modo per dire “Non siamo musulmani”.
Allora le considerazioni sono almeno tre:
1 – l’emerito professore dovrebbe riuscire a comprendere che al 70% della popolazione italiana interessa conoscere il pensiero di Benedetto XVI che, per il grande spessore intellettuale, l’immensa cultura e l’eccezionale capacità di insegnamento, rappresenta oggi un punto di riferimento insostituibile in mezzo a tanti falsi profeti e tantissimi cattivi maestri;
2 – se i praticanti costituiscono solo il 20% significa che la presenza della Chiesa non è così pervasiva e opprimente come si vorrebbe rappresentare e come era invece quella comunista cui apparteneva l’emerito professore;
3 – certamente l’emerito, e con lui gli altri 66 firmatari, preferirebbero che la Chiesa non avesse confini per il proprio intervento, nel senso che non dovrebbe avere alcuna libertà di parola e alcun diritto di censura. Dovrebbe semplicemente stare zitta e sparire.

19.1.08

CIASCUN UOMO HA IN SÉ IL POTENZIALE DI DIVENTARE BUONO E FELICE

«Il buddismo è incentrato sulle nozioni di pena e di sofferenza, di gioia e di felicità. Questi due poli sono intimamente legati. Alla base di tutto c’è il concetto di interdipendenza tra le cose. L’uomo, che aspira alla felicità, si deve preoccupare delle cause della sofferenza. È qui che interviene il concetto della non-violenza. La violenza causa la sofferenza dell’altro, e la conseguenza di questa sofferenza è il nostro dolore. Ecco perché noi dobbiamo sforzarci di non ferire gli altri».
«Ciascun uomo possiede le condizioni di una vita felice. Il fatto che riesca o meno a raggiungere questo ideale dipende dal suo atteggiamento interiore. Che sia credente o meno, poco importa. Anche Hitler aveva in se stesso il potere di diventare un uomo felice, capace di compassione. Intendo dire che ciascun uomo ha in sé il potenziale di diventare buono e felice. La riuscita dipende da numerosi, svariati fattori. Per noi buddisti, si tratta di sapere come gestire le nostre emozioni e le nostre forze negative. E oggi incontriamo le stesse, identiche difficoltà di duemilacinquecento anni fa. Ecco perché i testi antichi sono sempre attuali».
«Cambiare religione non è mai positivo. È un’azione che può generare grande confusione nello spirito. Sono rare le persone che traggono benefici da un cambiamento spirituale. Che d’altra parte non è affatto necessario: tutte le religioni portano in sé delle possibilità di guarire l’anima».
(parte di una intervista al Dalai Lama)

16.1.08

LA PIU' GRANDE MALATTIA FILOSOFICA DEL NOSTRO TEMPO


«La più grande malattia filosofica del nostro tempo è costituita dal relativismo intellettuale e dal relativismo morale, il secondo dei quali trova, almeno in parte, nel primo il proprio fondamento. Per relativismo o, se si preferisce, scetticismo si intende, in sostanza, la teoria secondo la quale la scelta fra teorie concorrenti è arbitraria; ed è arbitraria perché non esiste alcunché che si possa considerare come verità obiettiva; ovvero, anche se esiste, non c'è alcuna teoria che si possa considerare come vera o comunque (anche se non vera) più vicina alla verità di un'altra; ovvero, se ci troviamo di fronte a due o più teorie, non abbiamo alcun modo o mezzo di decidere se una di esse è migliore dell'altra»: queste considerazioni si trovano nel secondo volume dell'opera "La società aperta e i suoi nemici", pubblicata da Karl Raimund Popper nel 1945, e fa indubbiamente una certa impressione che a definire il relativismo "la più grande malattia filosofica del nostro tempo" non sia Benedetto XVI, bensì un laicissimo filosofo passato alla storia non certo per la sua assidua partecipazione a tridui di preghiera e processioni.

15.1.08

TEMONO IL CONFRONTO CON UN GRANDE INTELLETTUALE


Chi ha scritto l’appello contro il Papa fondandolo sulla citazione di una frase di Feyerabend, avrebbe fatto meglio a leggersi tutto il discorso dell’allora cardinale Ratzinger e avrebbe capito che questo Papa non attaccava affatto la scienza né la ragione. Il peso specifico delle firme non è trascurabile, ma i numeri della contestazione sono modesti. Si tratta di una sessantina di persone in una facoltà di seicento docenti e in un ateneo che conta migliaia di professori. Ciò detto, sì, vi sono atteggiamenti ostili. C’è anzi il fastidio di alcuni ambienti, che non sopportano che il Papa parli di scienza. Del resto, in un paese in cui Oddifreddi vende 200.000 copie di un libro contro la religione e Veltroni continua a tenerselo stretto e lo vuol far convivere con la Binetti, perché stupirsi? Questi fenomeni riflettono il fatto che a una parte del mondo scientifico piace questo laicismo ateo e aggressivo e che a sinistra pochi se la sentono di opporsi a questi eccessi. «È una minoranza del mondo accademico, anche se tra loro appare la firma del presidente del Cnr. C’è risentimento: non sopportano che il Papa parli di scienza» - vedi articolo

13.1.08

QUID EST TEMPUS?

Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.

Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume;
è una tigre che mi divora, ma io sono la tigre;
è un fuoco che mi consuma, ma io sono il fuoco.”
J.L. Borges

Contemporaneo e non-contemporaneo si intrecciano costantemente e il nodo di quest’intreccio è il concetto di tempo: se nessuno me lo chiede so di cosa si tratta, ma se qualcuno mi interroga non so più spiegarmi, scrive Agostino nelle “Confessioni”. “Quid est tempus? Si nemo a me quaerat, scio; si quaerenti explicare velim, nescio!”Che cos’è il tempo senza la memoria? E’ ciclico o lineare? Tutto ciò che è diritto mente. Ogni verità è curva, il tempo stesso è un circolo, dirà Nietzsche. “C'è anche chi fantastica che il suo corpo possa in un futuro non lontano venir clonato e quindi divenire immortale, nel senso di continuamente rigenerato. E' un’ipotesi un po’ improbabile, ma non totalmente irrealistica. Si tratterebbe comunque dell'immortalità del corpo. La coscienza di un individuo, il suo patrimonio di ricordi e di conoscenze, non è clonabile. E quindi che gusto c’è? Meglio viversi l'oggi il più gradevolmente possibile. E sapere che cosa esattamente vogliamo dalla vita e dal suo scorrere, lasciando alle montagne e alle particelle subatomiche la fatica di non invecchiare.” (Edoardo Boncinelli)

11.1.08

FAMIGLIA, SOCIETÀ E PACE


La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d'amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, costituisce « il luogo primario dell'“umanizzazione” della persona e della società », la « culla della vita e dell'amore ». A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la prima società naturale, « un'istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale. In effetti, in una sana vita familiare si fa esperienza di alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l'amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell'autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l'aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l'altro e, se necessario, a perdonarlo. Per questo la famiglia è la prima e insostituibile educatrice alla pace.
Non meraviglia quindi che la violenza, se perpetrata in famiglia, sia percepita come particolarmente intollerabile. Pertanto, quando si afferma che la famiglia è « la prima e vitale cellula della società », si dice qualcosa di essenziale. La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comunità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove mai l'essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il « sapore » genuino della pace meglio che nel « nido » originario che la natura gli prepara? Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sempre per non perdere l'uso del vocabolario della pace. Nell'inflazione dei linguaggi, la società non può perdere il riferimento a quella « grammatica » che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole. (Giornata mondiale della pace)

5.1.08

COSI' DISSE: "ANDATE E AMMAESTRATE TUTTE LE NAZIONI ..."


Molti missionari non ritengono più di dover predicare il Vangelo, ma dare prova di solidarietà e di aiuto materiale contro la povertà. Costruire case ed ospedali, togliere donne e bambini dalla strada, ma non predicare la parola di Gesù. “Si dice che basta aiutare gli uomini ad essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà”. Molti altri pensano che tutte le culture e tutte le religioni siano vie verso la salvezza e che i cristiani, anziché fare proselitismo, dovrebbero testimoniare la carità e aprirsi al dialogo, nella valorizzazione di tutte le diversità.
La Nota dottrinale su “Alcuni aspetti dell'evangelizzazione” ha messo il dito nella piaga, anzi in due piaghe.

La prima è la riduzione del cristianesimo ad etica sociale, a riserva di buoni sentimenti utili alla convivenza, ad ambulanza per i casi difficili. Cristo altro non sarebbe che un uomo buono, il più buono tra gli uomini, ma niente di più. La sua predicazione riguarderebbe solo le virtù umane e quando uno si comportasse in modo eticamente corretto sarebbe già cristiano, senza bisogno di Chiesa, liturgia, preghiere, sacramenti, magistero infallibile eccetera. Questa riduzione della religione ad etica è la morte della religione e contemporaneamente la sua impossibilità di influire veramente sull’etica. Infatti, il cristianesimo rende sì gli uomini più buoni, ma solo in quanto è portatore di un’etica non solo umana. Se perde questa dimensione trascendente non riesce più nemmeno ad orientare il comportamento umano su questa terra.
La seconda piaga è che se non c’è verità, non c’è nemmeno annuncio di verità e, quindi, non c’è missione. Se tutte le culture e tutte le religioni sono indifferentemente buone, perché mai i cristiani dovrebbero essere missionari? Non c’è nessuna legittimità di proporre ad altri ciò che si ritiene vero per se stessi. L’evangelizzazione, infatti, viene spesso accusata di intolleranza e di essere un pericolo per la pace. In questo modo però sia il dialogo ecumenico che quello interreligioso sarebbero privi di senso. Se non c’è verità, da un lato la missione diventa imposizione e violenza, ma dall’altro il dialogo stesso risulta completamente inutile.
Le riflessioni della Nota non hanno solo un significato religioso. Non solo chi promuove una verità religiosa oggi viene accusato di violenza e di imposizione, ma anche chi promuove delle verità semplicemente umane, per esempio sulla vita e sulla famiglia. Nella nostra società non ci sono più missionari perché il relativismo rischia di spegnere ogni ricerca della verità che non sia di indole pragmatica. Non solo nel caso della missione dei cristiani ad gentes, ma anche per l’impegno sociale e politico dei comuni cittadini ci si chiede ormai diffusamente: ma che diritto ho io di imporre ad un altro i miei valori morali? Il relativismo religioso provoca il relativismo etico e questo a sua volta provoca l’impossibilità di educare. E’ possibile ricostruire un’etica sociale condivisa senza l’aiuto del cristianesimo?
La Chiesa ha ormai imboccato in pieno la strada della difesa della verità. Difendendo la verità del cristianesimo, oggi la Chiesa difende la verità in generale, aiuta a ridare un senso non convenzionale al dialogo e sostiene tutti coloro che, non intimoriti dal pluralismo travestito da dittatura del relativismo, argomentano per la verità ad ogni livello: gli insegnanti, i politici, gli scienziati.

3.1.08

SI STA AFFERMANDO UNA VERA E PROPRIA TIRANNIA CULTURALE


«La dittatura del relativismo è quella che vuole imporre leggi che neghino la tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale; e che pretendono sostituire la famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, con forme radicalmente diverse di unione che in realtà la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, quali il matrimonio omosessuale, ribattezzato Pacs in Francia e Dico in Italia, giungendo al punto non solo di elevare il delitto a diritto, ma di punire come un reato la difesa del bene e la condanna del male».
De Mattei ritiene che, in nome di princìpi relativistici e libertari, si stia affermando una vera e propria tirannia culturale, quella dello scetticismo, che fa dell'assenza della verità la propria bandiera e che conduce verso quel nichilismo che a giudizio di molti rappresenta l'autentica malattia mortale della cultura contemporanea; una malattia che fra le sue più terribili complicazioni annovera il totalitarismo. De Mattei è bravo a far vedere come l'assenza di verità e la negazione dell'esistenza di principi e di valori immutabili rappresentino il terreno ideale per far attecchire l'ideologia del più forte. De Mattei sviluppa argomentazioni rigorosamente razionali, ma non nasconde la convinzione che soltanto un assoluto religioso possa guarire l'uomo dai suoi mali e fondare una società veramente libera: «L'opposizione alla dittatura del relativismo - si legge nel suo libro - ha il suo passaggio necessario nella riscoperta della legge naturale e divina che ha costituito il fondamento della civiltà cristiana (...) Le radici cristiane della società (...) non sono solo storiche, ma prima di tutto costitutive, come costitutiva è per l'anima umana la vita soprannaturale della Grazia».
[ROBERTO DE MATTEI, La dittatura del relativismo, Edizioni Solfanelli, Chieti 2007, pp. 128].