14.3.09

NON PUOI TAGLIARE LE RADICI DI CUI L’ALBERO VIVE


Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa.”
Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive. Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.

.... Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo.
Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo. (Dalla lettera di Benedetto XVI ai Vescovi del 12.03.2009)

8.3.09

RIFLESSIONI SULLA DIGNITA’ DELLA PERSONA


La ragione e la fede sono due realtà distinte e originali, e il loro accordo non le priva mai della loro identità specifica.
Alla sfera della ragione appartengono le questioni concernenti l'embrione umano e l'unione dell'uomo e della donna nel matrimonio come luogo originario e proprio del sorgere all'essere di una nuova vita umana. Anche se «DIGNITAS PERSONAE» - come del resto l'istruzione DONUM VITAE (1987) - non afferma esplicitamente che l'embrione umano è una persona, invita in ogni caso a considerarlo come tale, rilevando che esiste "un nesso intrinseco tra la dimensione ontologica e il valore specifico di ogni essere umano".
La scienza stessa conferma quest'affermazione. Incapace di stabilire con i suoi metodi l'esistenza dell'anima umana, essa si domanda tuttavia come un individuo umano potrebbe non essere una persona umana. L'istruzione, (cfr. Dignitas personae), riprendendo questo ragionamento, lo esprime in questi termini: "La realtà dell'essere umano, infatti, per tutto il corso della sua vita, prima e dopo la nascita, non consente di affermare né un cambiamento di natura né una gradualità di valore morale, poiché possiede una piena qualificazione antropologica ed etica. L'embrione umano, quindi, ha fin dall'inizio la dignità propria della persona".
È nella linea di questa dignità personale attribuita all'embrione umano che l'istruzione sostiene altresì con forza che il solo luogo adatto al suo sorgere all'essere è l'atto "altamente personale" dell'incontro degli sposi nel matrimonio. Ogni tentativo di minare la consistenza di quest'atto è un oltraggio non solamente alla dignità degli sposi, ma anche alla dignità del frutto della loro unione. Alla dignità personale dell'embrione nel senso appena precisato se ne aggiunge un'altra che deriva dal mondo della fede: la dignità di essere creato "ad immagine e somiglianza di Dio" (cfr. Genesi, 1, 26), umanità - corpo e anima - assunta poi dal Figlio di Dio (cfr. Giovanni, 1, 14) per introdurre ogni uomo come figlio nella famiglia del Padre mediante la fede e il battesimo (cfr. Giovanni, 1, 12; Lettera ai Romani, 8, 15-17; Lettera ai Galati, 4, 5-7; Lettera agli Efesini, 1, 5; Seconda Lettera di Pietro, 1, 4). Ciò significa che l'embrione umano, che inizia a esistere in un momento preciso del tempo, è destinato non solamente a non perdere mai il costitutivo proprio dell'essere, ma a possederlo per sempre, in quanto elevato al livello propriamente filiale, nella gioia eterna della Fonte stessa dell'essere. Questa dimensione del "di più", che conferisce il suo pieno valore sia all'embrione umano sia all'unione degli sposi quale elemento sorgivo del suo esistere, non diminuisce in nulla la consistenza propriamente umana di queste realtà. Questo "di più" la rispetta, la purifica, l'eleva e la perfeziona. Si tratta, dunque, di perfezione non per negazione o per privazione, ma per assunzione e per rispetto dell'humanum.