31.1.06

Il coraggio di mettersi in cammino


“Solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo” ha proclamato Benedetto XVI durante la veglia di preghiera del 20 agosto. Già nel 1996 nel libro-intervista “Il sale della terra”, l’allora cardinale aveva affermato che era necessaria “una rivoluzione della fede in senso molteplice. Anzitutto ne abbiamo bisogno per ritrovare il coraggio di andare contro le opinioni comuni […]. Per questo dovremmo avere il coraggio di metterci in cammino, anche contro quello che viene visto come la “normalità” per l’uomo della fine del secolo XX, e di riscoprire la fede nella sua semplicità”.

29.1.06

L'ortodossia è la saggezza

Chesterton, considerato un tradizionalista, in “La Chiesa cattolica e la conversione” diceva che il cattolicesimo è “una religione nuova, vale a dire una rivoluzione” e quindi “non sarà mai una tradizione. Sarà sempre una cosa scomoda, nuova e pericolosa”.
Anche Ratzinger, come Chesterton, è considerato un tradizionalista in quanto espressione massima della Chiesa intesa come istituzione, gerarchia, potere. La questione che i moderni fanno fatica a cogliere è che “in un tempo nel quale si negava e disprezzava stupidamente la tradizione, la Chiesa ha difeso la tradizione. Ma ciò fu soltanto perché la Chiesa è sempre la sola disposta a difendere tutto ciò che in un dato momento viene stupidamente disprezzato. E come già nel diciannovesimo secolo diventò campione della tradizione, sta per diventare nel ventesimo il campione della ragione”. Ed è a queste parole dello scrittore inglese – datate 1926, un anno prima della nascita di Ratzinger – che aderiscono perfettamente quelle del prefetto della Congregazione della fede quando invitava i cattolici a “ritrovare il coraggio di andare contro le opinioni comuni”.
La Chiesa è sempre scomoda e pericolosa perché, osserva sempre Chesterton “Non c’è invece niente di così pericoloso e di così eccitante come l’ortodossia: l’ortodossia è la saggezza e l’essere saggi è più drammatico che l’essere pazzi. La chiesa non scelse mai le strade battute, ne accettò i luoghi comuni, non fu mai rispettabile. E’ facile essere pazzi; è facile essere eretici; è sempre facile lasciare che un’epoca si metta alla testa di qualche cosa, difficile è conservare la propria testa; è sempre facile essere modernisti, come è facile essere snob”. (Andrea Monda, Il Foglio - 27/10/05)

Pesellino: il viaggio dei Magi

"La sfera e la croce" di Gilbert Keith Chesterton

"Come ti stavo dicendo" seguitò Michele, "anche quell’uomo aveva adottato l’opinione che il segno del cristianesimo fosse un simbolo di barbarie e di irragionevolezza. È una storia assai interessante. Ed è una perfetta allegoria di ciò che accade ai razionalisti come te. Egli cominciò, naturalmente, col bandire il crocifisso da casa sua, dal collo della sua donna, perfino dai quadri. Diceva, come tu dici, che era una forma arbitraria e fantastica, una mostruosità; e che la si amava soltanto perché era paradossale. Poi diventò ancora più furioso, ancora più eccentrico; e avrebbe voluto abbattere le croci che si innalzavano lungo le strade del suo paese, che era un paese cattolico romano. Finalmente, s’arrampicò sopra il campanile di una chiesa, ne strappò la croce e l’agitò nell’aria, in un tragico soliloquio sotto le stelle.
Una sera d’estate, mentre ritornava lungo il viale, a casa sua, il demone della sua follia lo ghermì di botto gettandolo in quel delirio che trasfigura il mondo agli occhi dell’insensato. S’era fermato un momento, fumando la sua pipa di fronte a una lunghissima palizzata: e fu allora che i suoi occhi si spalancarono improvvisamente. Non brillava una luce, non si muoveva una foglia; ma egli credette di vedere, come in un fulmineo cambiamento di scena, la lunga palizzata tramutata in un esercito di croci legate l’una all’altra, su per la collina, giù per la valle. Allora, facendo volteggiare nell’aria il suo pesante bastone, egli mosse contro la palizzata come contro una schiera di nemici. E, per quanto era lunga la strada, spezzò, strappò, sradicò tutte quelle assi che incontrava sul suo cammino.
Egli odiava la croce: ed ogni palo era per lui una croce. Quando arrivò a casa, era pazzo da legare. Si lasciò cadere sopra una sedia, ma rimbalzò subito in piedi perché sul pavimento scorgeva l’intollerabile immagine. Si buttò sopra un letto; ma tutte le cose che lo circondavano avevano ormai l’aspetto del simbolo maledetto. Distrusse tutti i suoi mobili, appiccò il fuoco alla casa, perché anche questa era ormai fatta di croci: e l’indomani lo trovarono nel fiume."
Lucifero guardò il vecchio monaco mordendosi le labbra. "E’ vera questa storia?"
"No!" disse Michele. "E’ una parabola: la parabola di voi tutti razionalisti e di te stesso. Cominciate con lo spezzare la croce; ma finite col distruggere il mondo abitabile".

27.1.06

Michelangelo - la creazione

Gilbert Keith Chesterton


Gilbert Keith Chesterton nacque a Londra, il 29 maggio 1874. Fu autore assai prolifico, ed è ricordato in particolare per i racconti di Padre Brown, un prete cattolico dalle innate capacità investigative. A questo famoso ciclo appartengono i volumi: "Il candore di padre Brown", del 1911, "La saggezza di padre Brown", del 1914, "Il segreto di padre Brown", del 1927.
Si convertì al cattolicesimo nel 1922, ma la maggior parte della sua produzione letteraria è improntata ad una rigorosa ortodossia cattolica. Celebre è anche la sua raccolta di racconti "Il Club dei Mestieri Stravaganti". Chesterton scrisse anche saggi su Charles Dickens, Geoffrey Chaucer, George Bernard Shaw e altri letterati e personalità mondiali.
Morì a Beaconsfield, nel Buckinghamshire, il 14 giugno1936.
Chesterton è ricordato soprattutto per essere una voce discordante rispetto al coro della produzione artistica del periodo. La letteratura occidentale era perlopiù improntata ad un malcelato pessimismo (complice anche il non facile momento storico che va dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale, con propaggini che partivano da inizio Novecento fino a giungere agli anni Settanta). Chesterton, a differenza di molti scrittori coetanei, possedeva al contrario una visione dell'ambito letterario multicorale, dove i personaggi, gli ambienti, le situazioni possedevano un carattere di irrealtà macchiettistica, ed erano visti come un trionfo del caos e una babele di figure sardoniche o umoristiche, sfrontate o dileggianti, tutto all'insegna della pluralità delle sensazioni e delle esperienze, e il tutto caratterizzato da un qual certo divertimento spassoso, da un'ironia apessimistica. (vedi qui e vedi qui)

Chesterton, Gilbert Keith - Ortodossia



"La cinta esterna del Cristianesimo è un rigido presidio di abnegazioni etiche e di preti professionali; ma dentro questo presidio inumano troverete la vecchia vita umana che danza come i fanciulli e beve vino come gli uomini. (…) Nella filosofia moderna avviene il contrario: la cinta esterna è innegabilmente artistica ed emancipata: la sua disperazione sta dentro."
La grandezza di Gilbert Keith Chesterton sta nella sua capacità di guidarci alla verità attraverso il paradosso, di smontare tutti i luoghi comuni con un sorriso divertito e bonario, anche se a volte beffardo. E' per questo che nel leggerlo si prova un'incredibile allegria e si ha in cambio una deliziosa serenità. E' tanto il piacere, che non vorresti finire mai.
Ortodossia è la storia di un viaggio esistenziale, partito dalle secche e dalle assurdità del pensiero moderno (idealista, materialista, superomistico, pessimista o ottimista) per giungere all'unico approdo che a Chesterton appare veramente umano e ragionevole: il Cristianesimo. Scritto nel 1908, questo saggio testimonia a caldo i risultati della ricerca che il grande inglese andava compiendo in quegli anni e che lo avrebbe portato in braccio alla Chiesa cattolica. Egli stesso ci confessa che è un tentativo di esporre quella che riteneva essere la sua personale filosofia, finchè non si accorse che si stava poggiando, senza saperlo, a tutto il Cristianesimo. Insomma, i pezzi di quel puzzle che è l'uomo vanno tutti a posto nell'incontro con Cristo. I paradossi di Chesterton sono fantastici e anche questo suo saggio ne è pieno.”

In viaggio

Giustizia e carità

“Fin dall'Ottocento contro l'attività caritativa della Chiesa è stata sollevata un'obiezione, sviluppata poi con insistenza soprattutto dal pensiero marxista. I poveri, si dice, non avrebbero bisogno di opere di carità, bensì di giustizia. Le opere di carità — le elemosine — in realtà sarebbero, per i ricchi, un modo di sottrarsi all'instaurazione della giustizia e di acquietare la coscienza, conservando le proprie posizioni e frodando i poveri nei loro diritti. Invece di contribuire attraverso singole opere di carità al mantenimento delle condizioni esistenti, occorrerebbe creare un giusto ordine, nel quale tutti ricevano la loro parte dei beni del mondo e quindi non abbiano più bisogno delle opere di carità. In questa argomentazione, bisogna riconoscerlo, c'è del vero, ma anche non poco di errato. È vero che norma fondamentale dello Stato deve essere il perseguimento della giustizia e che lo scopo di un giusto ordine sociale è di garantire a ciascuno, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la sua parte dei beni comuni. È quanto la dottrina cristiana sullo Stato e la dottrina sociale della Chiesa hanno sempre sottolineato. La questione del giusto ordine della collettività, da un punto di vista storico, è entrata in una nuova situazione con la formazione della società industriale nell'Ottocento. Il sorgere dell'industria moderna ha dissolto le vecchie strutture sociali e con la massa dei salariati ha provocato un cambiamento radicale nella composizione della società, all'interno della quale il rapporto tra capitale e lavoro è diventato la questione decisiva — una questione che sotto tale forma era prima sconosciuta. Le strutture di produzione e il capitale erano ormai il nuovo potere che, posto nelle mani di pochi, comportava per le masse lavoratrici una privazione di diritti contro la quale bisognava ribellarsi.” (dall’Enciclica “Deus caritas est” di Benedetto XVI)

La distinzione tra Stato e Chiesa

“ Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri, come disse una volta Agostino: « Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? ». Alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr Mt 22, 21), cioè la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II, l'autonomia delle realtà temporali. Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua libertà e la pace tra gli aderenti alle diverse religioni; la Chiesa come espressione sociale della fede cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive sulla base della fede la sua forma comunitaria, che lo Stato deve rispettare. Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca.
La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica. Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all'interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l'altra più radicale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell'interesse e del potere che l'abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile.
In questo punto politica e fede si toccano. Senz'altro, la fede ha la sua specifica natura di incontro con il Dio vivente — un incontro che ci apre nuovi orizzonti molto al di là dell'ambito proprio della ragione. Ma al contempo essa è una forza purificatrice per la ragione stessa. Partendo dalla prospettiva di Dio, la libera dai suoi accecamenti e perciò l'aiuta ad essere meglio se stessa. La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio. È qui che si colloca la dottrina sociale cattolica: essa non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato. Neppure vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato.” (dall’Enciclica “Deus caritas est” di Benedetto XVI)

Giornata della memoria


Un giorno per non dimenticare
Proprio il 27 gennaio del 1945 finì l'incubo di Auschwitz e sei anni fa il parlamento italiano ha stabilito che ogni 27 gennaio venga celebrata la "Giornata della memoria". In tutta Italia si ricorda la Shoah con manifestazioni che toccano il mondo delle istituzioni, il lavoro, la scuola. E' un occasione per tutti di crescita sociale e civile a cui i mezzi di informazione non mancano di dare risalto. (vedi link)