30.11.06

LA LIBERTA' RELIGIOSA E LA LIBERTA' UMANA


Possiamo offrire una risposta credibile alla questione che emerge chiaramente dalla società odierna, anche se essa è spesso messa da parte, la questione, cioè, riguardante il significato e lo scopo della vita, per ogni individuo e per l'intera umanità. Siamo chiamati ad operare insieme, così da aiutare la società ad aprirsi al trascendente, riconoscendo a Dio Onnipotente il posto che Gli spetta. Il modo migliore per andare avanti è quello di un dialogo autentico fra cristiani e musulmani, basato sulla verità ed ispirato dal sincero desiderio di conoscerci meglio l'un l'altro, rispettando le differenze e riconoscendo quanto abbiamo in comune. Ciò contemporaneamente porterà ad un autentico rispetto per le scelte responsabili che ogni persona compie, specialmente quelle che attengono ai valori fondamentali e alle personali convinzioni religiose.
Come esempio del rispetto fraterno con cui cristiani e musulmani possono operare insieme, mi piace citare alcune parole indirizzate da Papa Gregorio VII, nell’anno 1076, ad un principe musulmano del Nord Africa, che aveva agito con grande benevolenza verso i cristiani posti sotto la sua giurisdizione. Papa Gregorio VII parlò della speciale carità che cristiani e musulmani si devono reciprocamente, poiché “noi crediamo e confessiamo un solo Dio, anche se in modo diverso, ogni giorno lo lodiamo e veneriamo come Creatore dei secoli e governatore di questo mondo” (PL 148, 451).
La libertà di religione, garantita istituzionalmente ed effettivamente rispettata, sia per gli individui sia per le comunità, costituisce per tutti i credenti la condizione necessaria per il loro leale contributo all'edificazione della società, in atteggiamento di autentico servizio, specialmente nei confronti dei più vulnerabili e dei più poveri. (Benedetto XVI in Turchia: vedi qui e qui)
È compito delle Autorità civili in ogni Paese democratico garantire la libertà effettiva di tutti i credenti e permettere loro di organizzare liberamente la vita della propria comunità religiosa. Ovviamente, mi auguro che i credenti, a qualsiasi comunità religiosa appartengano, continuino a beneficiare di tali diritti, nella certezza che la libertà religiosa è una espressione fondamentale della libertà umana e che la presenza attiva delle religioni nella società è un fattore di progresso e di arricchimento per tutti. Ciò implica, certo, che le religioni per parte loro non cerchino di esercitare direttamente un potere politico, poiché a questo non sono chiamate e, in particolare, che rinuncino assolutamente a giustificare il ricorso alla violenza come espressione legittima della pratica religiosa.

25.11.06

AMBIENTALISMO: NOME DI COPERTURA DI COSE SERIE COME DI MOSTRUOSE CIALTRONATE


Il caso dell'ambientalismo è assai duro: i buoni ricercatori sono stati "infiltrati" da un mare di trafficanti dediti alla produzione di indiscriminata paura popolare. L'ambientalismo è un problema serio. 6 miliardi di esseri umani sulla Terra sono una tombola, farli campare in condizioni ragionevoli è un problemaccio: perché non si può fare a meno di usare tecnologie e le tecnologie sporcano. Le tecnologie scaldano, sputano, occupano il suolo, sono brutte a vedersi (non sempre), sono costose, i ricchi ne hanno di più. Tutto vero. Ma sarebbe come dire che non bisogna partorire perché ci sono i dolori del parto, che non bisogna uscire perché può venire il raffreddore, eccetera. Bisogna imparare a fare bilanci: quanto ci si guadagna, quanto ci si rimette. L'età media è aumentata? un motivo ci sarà. Soffriamo di meno di caldo e di freddo? un altro motivo ci sarà pure. Mangiamo regolarmente? Andiamo in vacanza? possiamo trovare lavoro a diecimila chilometri da casa? I motivi ci sono. Il problema di capire, però, c'è, e ogni sforzo dev'essere fatto. Come? Be', se c'è una associazione di ambientalisti privati senza alcun marchio di competenza a voler dire che cosa si sa e si capisce, mi sarà permesso di dubitare della legittimità del loro parere, no? Insomma, l'ambientalismo è una faccenda pubblica, che con le risorse pubbliche si deve affrontare. Queste associazioni private i cui capetti si danno da fare finché non diventano parlamentari, mi puzzano. Il privato "inquina" il pubblico senza remore, e questo è uno dei mali di oggi. Specie in un paese fragile come l'Italia, che di cultura scientifica ne aveva già poca e ora, con il governo che abbiamo, ne avrà sempre meno. Il guaio dell'ambientalismo è che si va ad incollare a problemi etici, diventando subito oggetto discutibile da e per tutti. L'etica, in questo paese, sembra lo hobby più diffuso: tutti competenti, tutti informati. Dio sa che riconoscere la propria cretineria è una delle imprese che forse non riusciranno mai agli umani. Gli ambientalisti d'accatto, però, potrebbero provare a invertire la tendenza, riscattandosi. CARLO BERNARDINI pubblicato su Sapere

24.11.06

BENEDETTO XVI CONTRO I PROFETI DI SVENTURA

Lo scienziato deve “evitare previsioni inutilmente allarmanti quando esse non siano supportate da dati sufficienti o eccedano l’attuale capacità previsionale della scienza”. Il discorso del Papa è stato in realtà un inno alla scienza e alla sua fondamentale utilità per il genere umano e proprio per questo ha invitato gli scienziati a essere coscienti del loro limite e a liberarsi anche da lacci politici ed ideologici, che appaiono particolarmente numerosi in questo tempo. “L’attività di previsione, controllo e governo della natura, che oggi la scienza rende più praticabile che in passato, rientra essa stessa nel piano del Creatore”. “Tuttavia la scienza pur dando con generosità, dà solo quello che può dare” e le “sue conclusioni devono essere guidate dal rispetto della verità e dall’onesto riconoscimento dell’attendibilità e degli inevitabili limiti del metodo scientifico”.
Di fronte alle “minacce all’ambiente che coinvolgono interi popoli e all’urgente bisogno di scoprire fonti energetiche sicure, alternative e disponibili per tutti”, ha proseguito, “gli scienziati troveranno il sostegno della Chiesa nei loro sforzi di affrontare queste tematiche”, ma proprio per questo Benedetto XVI insiste che “la capacità della scienza di prevedere e controllare non deve mai essere impiegata contro la vita umana e la sua dignità, ma sempre posta al suo servizio”. E parlando ancora di previsioni del futuro, “la scienza non può presumere di fornire una rappresentazione completa, deterministica, del nostro futuro e dello sviluppo di ogni fenomeno che essa studia”. Anzi questa strada, che è poi quella dell’ambientalismo dominante, porta dritti verso il totalitarismo (“apre la porta allo sfruttamento dell’uomo”) perché non riconosce che l’uomo è più di ciò che le previsioni scientifiche possono dire: “mentre il cosmo fisico può avere il suo sviluppo spazio-temporale, solo l’umanità propriamente intesa ha una storia, la storia della sua libertà. La libertà, come la ragione, è una parte preziosa dell’immagine di Dio in noi, e non può mai essere ridotta ad analisi deterministica”.

21.11.06

FEDE, SPERANZA E VANITA'


Molta emozione ha destato l'appassionata eloquenza con cui Massimo Cacciari, sere fa, nella sala dell'Auditorium dell'Assolombarda a Milano, affollatissima per un simposio sull'efficacia terapeutica della preghiera, dovendo confrontare le sue idee sull'argomento con quelle di un famoso monsignore (il biblista Gianfranco Ravasi), di un'arguta monacella (suor Ignazia Angelini) e di un cineasta di dichiarata fede cattolica (il regista Ermanno Olmi), ha spiegato loro quanto pregare faccia bene non solo alla salute dell'anima ma anche a quella del corpo. Sembra però che alcuni dei tanti convenuti a questo match di mistica leggera, si siano chiesti per quale oscura ragione a tanti uomini e donne di chiesa piaccia tanto, da qualche tempo, farsi spiegare e illustrare i misteri della loro fede da pensatori laici e possibilmente villosi, e perché, specularmente, a tanti filosofi laici, villosi o glabri che siano, piaccia tanto farsi spiegare i misteri della loro miscredenza da uomini e donne di chiesa.
….. in quella sala, non pochi ammiratori del Cacciari si sono chiesti perché, visto che sulle cose della fede lui la sa molto più lunga di qualsiasi monsignore, non si è ancora fatto prete; mentre altri, a loro volta, si sono chiesti perché quel Ravasi, visto che l'affetto del Cacciari sembra attirarlo più di quello del Papa, non getta la tonaca alle ortiche e non si mette a fare il filosofo laico. Ed ecco la risposta: «Il vero motivo del grande piacere che certi prelati e certi filosofi traggono dal confrontarsi in pubblico fra loro sui massimi problemi della vita e della morte risiede nel fatto che essi, essendo gli uni il rovescio degli altri, non possono sottrarsi al dovere di giocare una partita che per riuscire eccitante esige che essi rimangano quello che sono: laici gli uni, preti gli altri».
…. «Deve sapere, gentile amico, che così come ci sono ottimi preti che continuano a fare i preti per la semplice ragione che essi sanno che se non fossero appunto dei preti le loro pretese arditezze politiche e teologiche, di vago sapore ereticale, perderebbero tutto il frisson che gli deriva appunto dal venir proclamate da uomini di chiesa, similmente esistono eccellenti pensatori laici che, pur essendo più preti dei preti, resistono alla tentazione di prendere i voti perché sanno che se lo facessero i loro mistici crucci non desterebbero più alcun interesse» (da Ruggero Guarini – Il giornale)

19.11.06

NELLA SCIA DEL CICLONE: UNA RICOSTRUZIONE DI PARTE


L'ultima cena di Bouts Dirk Louvain
Il ciclone Il Codice da Vinci di Dan Brown non è passato invano. Sulla sua scia stanno fiorendo, come sempre avviene in questi casi, nuovi studi sulla figura di Gesú di Nazareth con l'intenzione di svelarne il vero volto ricoperto finora sotto la coltre dell'ortodossia ecclesiastica. Anche chi ne prende a parole le distanze, se ne mostra per più versi influenzato.A tale filone mi pare appartenga il libro a quattro mani di Corrado Augias e Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù (Mondadori). Vi sono, come è naturale, differenze tra l'uno e l'altro autore, tra il giornalista e lo storico. Ma non voglio cadere io stesso nell'errore che più di ogni altro compromette a mio parere questa "inchiesta" su Gesù che è di tener conto solo e sempre delle differenze tra gli evangelisti, mai delle convergenze. Parto perciò da ciò che è comune ai due autori, Augias e Pesce. Esso si può riassumere così: Sono esistiti, all'inizio, non uno ma diversi cristianesimi. Una delle sue versioni ha preso il sopravvento sulle altre; ha stabilito, secondo il proprio punto di vista, il canone delle Scritture e si è imposta come ortodossia, relegando le altre al rango di eresie e cancellandone il ricordo. Noi possiamo però oggi, grazie a nuove scoperte di testi e a una rigorosa applicazione del metodo storico, ristabilire la verità e presentare finalmente Gesù di Nazareth per quello che fu veramente e che egli stesso intese essere, cioè una cosa totalmente diversa da quello che le varie Chiese cristiane hanno finora preteso che fosse. Nessuno contesta il diritto di accostarsi alla figura di Cristo da storici, prescindendo dalla fede della Chiesa. È quello che la critica, credente e non credente, va facendo da almeno tre secoli con gli strumenti più raffinati. La domanda è se la presente inchiesta su Gesù raccoglie davvero, per quanto in forma divulgativa e accessibile al gran pubblico, il frutto di questo lavoro, o se invece opera in partenza una scelta drastica all'interno di esso, finendo per essere una ricostruzione di parte. Io credo che, purtroppo, questo secondo è il caso. (continua)

18.11.06

CHESTERTON BEATO?


Chissà che un giorno anche i giallisti non abbiano anch'essi un santo protettore in Cielo. Già, perché c'è chi si augura che uno dei più grandi scrittori di romanzi investigativi possa essere elevato agli onori degli altari. E non per meriti letterari, naturalmente, ma per la sua testimonianza di fede e vita cristiana: infatti, per alcuni suoi ammiratori Gilbert Keith Chesterton - di cui quest'anno ricorrono i 60 anni dalla morte - è fortemente indiziato di santità. Tanto che Dale Ahlquist, presidente dell'American Society a lui dedicata, con sede a Minneapolis, si è già attivato presso il vescovo di Northampton, in Gran Bretagna, per avviare un'indagine preliminare per accertare la pratica delle virtù cristiane del creatore di padre Brown. Della santità di G.K.C. - come il prolifico scrittore e polemista si firmava sui quotidiani del tempo - non ha dubbi Joseph Pearce, uno dei maggiori conoscitori di Chesterton: «Credo che lui sia davvero in Paradiso e sarei oltremodo contento che una causa di beatificazione per lui avesse buon esito». Pearce è autore di una sontuosa monografia sull'autore di Un uomo chiamato Giovedì, intitolata Wisdom and Innocence, edita nel 1996, considerata da Aidan Mackey, dell'autorevole Chesterton Study Centre, «la più bella biografia» dedicata all'autore londinese da quando, nel 1944, venne pubblicato il lavoro di Maisie Ward. E di G.K.C. Pearce esalta non solo il profondo cattolicesimo di cui sono intrise le sue prove narrative o apologetiche, bensì un particolare tratto esistenziale: «Nella sua vita ha incarnato il comandamento del Signore di amare non solo i nostri vicini, ma anche i nostri nemici. Chesterton spese tutta la sua vita discutendo con i suoi "avversari" culturali, come H. G. Wells e George Bernard Shaw, ma senza diventare nemico di nessuno: con loro si confrontò sempre, ma non litigò mai. Anzi, proprio questi due intellettuali lo considerarono sempre un amico particolarmente apprezzato».
In pratica, annota Pearce, nelle quotidiane battaglie tutte culturali che ingaggiò con Shaw, Wells e compagni, il baffuto scrittore esercitò ante litteram quella prassi che sarebbe stata così esplicitata da papa Giovanni XIII: «Condannare il peccato ma amare il peccatore». «Chesterton lo fece da vero santo», argomenta Pearce, «odiando l'eresia ma amando l'eretico. Per me egli è un esempio di santità, che cerco di imitare nella mia vita di ogni giorno». Ma anche da un punto di vista culturale l'opera e il pensiero del giallista che influenzò J.R.R. Tolkien, Evelin Waugh e C.S. Lewis, sostiene Pearce, sono da riprendere in mano: «I romanzi di Chesterton mantengono ancor oggi tutta la loro attualità rispetto alla cultura odierna. In racconti come L'uomo che si chiamava Giovedì e La sfera e la croce rivaluta l'importanza della filosofia e della teologia e, al tempo stesso, espone le conseguenze distruttive del relativismo, in tutte le forme in cui esso si presenti. In Il Napoleone di Notting Hill affronta il tema del Grande Governo e loda, per contro, il patriottismo e l'amministrazione locale. Non è un'esagerazione vedere questo libro come la parabola dei pericoli del laicismo dittatoriale di istituzioni quali l'Unione europea». Vi è una nota profetica che riguarda anche il sorgente fondamentalismo islamico: «Nel romanzo L'osteria volante c'è un'allusione al pericolo dell'influenza musulmana sulla cultura occidentale, mentre nella sua ballata Lepanto vi è un avvertimento sui pericoli dell'islamismo militante».
Del resto, secondo Pearce, la produzione di Chesterton sta godendo in questi ultimi anni una riscoperta notevole: «L'American Society a lui intitolata è quanto mai dinamica e l'annuale conferenza che essa organizza rappresenta uno dei più grandi ed appassionanti eventi letterari dedicati ad un singolo autore che ci siano al mondo. Si può dire che oggi G.K.C. sia letto più di ogni altro periodo da 70 anni in qua».
In particolare, annota lo studioso inglese, è soprattutto la produzione religiosa di Chesterton ad essere indagata più in profondità: Ortodossia e L'uomo eterno, così come le sue stupende biografie di San Tommaso d'Aquino e San Francesco, vengono studiate con sempre maggior frequenza. (avvenire)

15.11.06

PROSSIMA TAPPA: SPINELLI VENDUTI AI SUPERMERCATI


Il ministro Livia Turco dispone che da oggi in poi, nelle loro tasche, i ragazzi possono avere fino a quaranta spinelli circa. Per consumo personale? Non è pensabile. Per creare comunella coatta tra amici? O per spaccio? Occorre il coraggio di risposte oneste, se no la prossima tappa sarà un nuovo decreto per spinelli venduti ai supermercati, nelle discoteche, nei pub. Se la filosofia che sta dietro al provvedimento appena preso è quella di alzare la soglia di tolleranza per scongiurare il carcere a chi viene trovato con la "roba" in tasca, dobbiamo riconoscere che siamo già in una china pericolosa. Quali altri reati declasseremo per evitare le sbarre?
Intanto il ritornello si ripete: «Le droghe leggere non sono da confondere o equiparare con quelle pesanti»; «Ognuno ha il diritto di usare la droga o di rifiutarla». Grazie a queste pubbliche esternazioni, sappiamo ora che accanto agli spacciatori di sostanze illecite ci sono politici che preparano il terreno. La domanda pesa: forse che alla classe di governo piace il giovane sballato, euforico e disordinato? Ed è forse così che si predispone l'Italia di domani, meno "impazzita" di quanto a qualcuno appaia oggi? Quali no siamo disposti oggi a dire, per avere domani dei cittadini migliori?
C'è chi ha affermato, in interviste andate in onda al telegiornale, che l'uso di marijuana e hashish facilita un concetto positivo di sé. Ipotecare una simile idiozia, equivale a sostenere la tesi che tutte le persone per evolvere e prendere coscienza del proprio io, dovrebbero usare "canne" o altre sostanze stupefacenti, stimolanti, eccitanti. Ma così siamo realmente alla fiera del demenziale. Si vuole legittimare una sostanza stupefacente che, assunta magari per capriccio, nuoce gravemente alla salute. Si cerca, inoltre, di sostenere che gli "spinelli" abbiano assunto, nella cultura giovanile, lo stesso significato psico-sociali che veniva associato all'alcol e al tabacco nelle generazioni precedenti.
…….. Talora, tra i più compromessi nella psiche ci sono proprio i consumatori della cosiddetta "droga leggere" o "erba". Molti psichiatri ormai parlano di disturbi vari di personalità causati proprio dal consumo di marijuana e hashish. Gli effetti tossici e gli scompensi non sono leggeri. Il criterio per definire "droghe leggere" i derivati della cannabis è quello obsoleto della crisi d'astinenza fisica come per l'eroina, la morfina e gli oppioidi in generale. La cannabis non provoca crisi dolorose d'astinenza, ma dà un'indubbia dipendenza psicologica, legata al ricordo dell'esperienza piacevole. Se è vero che una "canna" sopisce le fonti interne ed esterne d'ansia, disinibisce e rilassa, è altrettanto certo che produce impulsività, distorsione del tempo e dello spazio, pensieri deliranti, angoscia. Leggiamo su un pacchetto di sigarette: «Il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno». Forse varrebbe la pena dire la stessa cosa per le cannabis, altro che raddoppiare la disponibilità giornaliera. (avvenire)

14.11.06

NON C’È NESSUNA GARANZIA CHE LE CIVILTÀ DURINO PER SEMPRE


Il grande storico Arnold J. Toynbee diceva che sulla morte di una civiltà si scrivono pochi libri gialli, e per una buona ragione. Molto raramente c’è un assassino: di solito, si tratta di suicidio. L’America è destinata a “restare sola” nella lotta contro l’ultrafondamentalismo islamico non, o non solo, perché la maggioranza dei governanti europei sia pavida e imbelle di fronte all’islam. Rimarrà sola tecnicamente, perché fra meno di un secolo gli europei non ci saranno più. La demografia li avrà spazzati via come spazzò via l’impero romano, il quale non cadde perché le sue quadrate legioni erano diventate meno quadrate, ma perché la pratica diffusa dell’aborto e dell’infanticidio aveva fatto sì che non ci fossero più legionari romani. Si arruolavano barbari, magari proclamandoli frettolosamente cittadini romani. Quando i barbari si accorsero di essere in maggioranza, presero il potere.È la tesi dell’analista politico neoconservatore canadese Mark Steyn, nel suo magnifico libro America Alone: The End of the World as We Know It (Regnery, Washington 2006), il volume più importante del 2006 di cui è auspicabile una rapida traduzione italiana, cara già sin da ora a chiunque abbia a cuore le sorti dell’Europa.
Il tema del libro è quello che Papa Giovanni Paolo II chiamava fin dal 1985, con espressione destinata a passare alla storia, il «suicidio demografico» del nostro continente. Un po’ dovunque nel mondo quello che stupisce i non europei è che in Europa questo tema drammatico non sia al centro del dibattito culturale e perfino delle campagne elettorali. Nessun Paese dell’Europa Occidentale ha un tasso di nascite per donna che corrisponda al livello minimo di mantenimento della popolazione (2,1 figli per donna) indicato dai demografi. L’Italia con un tasso di 1,2 si avvia a diventare il Paese del mondo con il minor numero di nati, e lo sarebbe già se dalle nascite registrate negli ospedali si escludessero i figli d’immigrati residenti ma non cittadini italiani. La Spagna e la Germania concorrono con l’Italia per questo triste primato. La Francia ha rialzato il suo livello a 1,7 ma i suoi dati sarebbero simili a quelli italiani se si escludessero i nati da donne – immigrate o cittadine francesi – di religione musulmana. Italia, Germania, Spagna e Paesi Bassi (anche qui, figli di cittadini di religione islamica esclusi) sono al di sotto del livello oltre il quale i demografi pensano che un rovesciamento del trend sia impossibile. Questo significa che Paesi come l’Italia, se la situazione non muta, dimezzeranno la popolazione nel corso di una generazione.
…… Non c’è nessuna garanzia che le civiltà durino per sempre. Il loro modo normale di morire è appunto demografico. Oltre all’aborto e all’infanticidio i romani della decadenza praticavano una forma primitiva di eutanasia (certo lontana da quella in camice bianco dei Paesi Bassi di oggi) che consisteva nell’abbandonare gli anziani malati senza curarli né nutrirli. I barbari arrivano quando queste pratiche hanno già fiaccato l’impero di Roma, dalle cui rovine sorge – come ricorda anche il sociologo statunitense Rodney Stark – la civiltà di quei cristiani che non praticano l’aborto e che curano i vecchi e i malati. Ma questa volta che cosa sorgerà dalle rovine dell’Europa?
….. Non c’è bisogno di citare quei fondamentalisti islamici per cui “ride bene chi ride ultimo” per rendersi conto che la civiltà europea rischia di fare la fine di quella romana. L’invasione musulmana fermata per via militare a Poitiers, a Lepanto e a Vienna riuscirà nel secolo XXI per via demografica. Nel giro di un paio di decenni, per esempio, «la maggioranza degli adolescenti nei Paesi Bassi sarà costituita da musulmani». Vent’anni dopo, si tratterà della maggioranza degli adulti in età lavorativa (o magari della popolazione in genere, se gli olandesi continueranno ogni due anni a estendere la legge sull’eutanasia includendo nuovi casi), pochi anni dopo degli elettori.
…… Un’Europa Occidentale a maggioranza musulmana costituirebbe, molto semplicemente, una civiltà diversa rispetto a quella europea che oggi conosciamo. Si può discutere se sarà bella o brutta: di certo, non sarà più la stessa. Come scrive Steyn: «È la demografia, stupido, l’unica questione importante. L’Europa alla fine del secolo sarà un continente dopo la bomba al neutrone. I grandi edifici ci saranno ancora, ma le persone che li hanno costruiti se ne saranno andate».
……. Lo stesso scrittore attribuisce il suicidio demografico alla «mancanza di fiducia nella propria civiltà». A me sembra che un’espressione più precisa sia quella di Papa Benedetto XVI: «mancanza di speranza». Dopo avere perso la virtù della fortezza, l’Europa ha perso anche la speranza nel futuro. Le civiltà che non sperano non fanno figli: ma sono appunto le civiltà destinate a scomparire. La scomparsa di Roma non fu la scomparsa della parte migliore della sua eredità: si trovò un San Benedetto per raccoglierla. Oggi, sembra che solo un altro uomo chiamato Benedetto si erga fra l’Europa e il suo suicidio annunciato da Steyn.
(tratto da “Il suicidio demografico” di Massimo Introvigne)

12.11.06

SI FA SATIRA OFFENSIVA CONTRO CHI NON INTENDE O NON PUO' DIFENDERSI


Quello anticattolico è l’unico pregiudizio ancora tollerabile. E’ quello che si riscontra in alcuni programmi televisivi di basso livello e di pesante volgarità, con fallimentari pretese di ironia, che sembrano sorprendentemente mirare al basso anziché all’alto, nel tentativo continuo di ridicolizzare figure e persone care al mondo cattolico. Tra queste, con ripetuta insistenza, la persona stessa del Papa. Sono comportamenti che vanno ben al di là dei limiti di una legittima manifestazione del pensiero, anche fortemente critica, e che oggettivamente si presentano come espressioni altamente offensive. A fronte di comportamenti del genere potrebbe invocarsi la forza della legge penale, che detti comportamenti oggettivamente ledono in più punti. Ma l’attenzione va posta anche su altri aspetti.
Un primo dato riguarda le caratteristiche del comportamento che, non senza una certa dose di vigliaccheria, prende di mira solo la religione cattolica e persone che ne sono rappresentative. Le espressioni irridenti ed oltraggiose sono rivolte a chi per altezza morale non intende difendersi e per ragioni istituzionali non può difendersi.
Un secondo aspetto attiene alla sostanza del comportamento che non si concretizza solo nell’offesa di una singola persona, pur fatto gravissimo in sé, ma in una lesione molto ampia di beni che una democrazia deve tutelare con la massima cura: anzitutto il sentimento dei cattolici, che pure rappresentano un parte consistente della società italiana; ma poi anche quello di una ben più larga cerchia di persone educate e di buon senso democratico, le quali tuttora ritengono che esprimere il proprio pensiero critico si possa, vilipendere no.
A fronte del persistere di tali comportamenti, sorprende la disattenzione di molti: nel mondo della cultura, dell’educazione, dei mass-media, della stessa politica. È una disattenzione che al contempo non può non preoccupare. Perché fenomeni del genere, insinuandosi corrosivamente nel tessuto connettivo della società, creano divisioni e dissensi nel corpo sociale, sensi di disgusto e di lesione del sentimento di appartenenza in una casa comune, abbassando così le difese di una sana democrazia ed allentando pericolosamente i collanti della società. È proprio di questo che ha bisogno l’Italia di oggi? (da Avvenire)

11.11.06

IL TERRORISMO E' UNA SCELTA PERVERSA E CRUDELE CHE SCALZA LE FONDAMENTA DI OGNI CIVILE CONVIVENZA


<<>Il terrorismo, di qualunque matrice esso sia, è una scelta perversa e crudele, che calpesta il diritto sacrosanto alla vita e scalza le fondamenta stesse di ogni civile convivenza. Se insieme riusciremo ad estirpare dai cuori il sentimento di rancore, a contrastare ogni forma di intolleranza e ad opporci ad ogni manifestazione di violenza, freneremo l’ondata di fanatismo crudele che mette a repentaglio la vita di tante persone, ostacolando il progresso della pace nel mondo. Il compito è arduo, ma non impossibile. Il credente infatti sa di poter contare, nonostante la propria fragilità, sulla forza spirituale della preghiera. Cari amici, sono profondamente convinto che dobbiamo affermare, senza cedimenti alle pressioni negative dell’ambiente, i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace. La vita di ogni essere umano è sacra sia per i cristiani che per i musulmani. Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali. La dignità della persona e la difesa dei diritti che da tale dignità scaturiscono devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale e di ogni sforzo posto in essere per attuarlo. E’ questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce sommessa ma chiara della coscienza. E’ un messaggio che occorre ascoltare e far ascoltare: se se ne spegnesse l’eco nei cuori, il mondo sarebbe esposto alle tenebre di una nuova barbarie. Solo sul riconoscimento della centralità della persona si può trovare una comune base di intesa, superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente delle ideologie.>>
Benedetto XVI, rivolgendosi a Colonia ad una delegazione di musulmani, ha condannato il terrorismo di matrice islamica senza se e senza ma. Il Papa eleva il valore della sacralità della vita di tutti a discrimine tra la civiltà e le barbarie. Il Papa rifugge dal dialogo che si consuma nel rito formale e alquanto ipocrita di una stretta di mano a beneficio delle telecamere, investendo i musulmani di un confronto esplicito sull’essenza del sistema di valori fondanti della civiltà umana. Senza concessioni ai temi sociali ed economici (l’emarginazione, la miseria) che accompagnano il fanatismo violento. (vedi l’articolo di Magdi Allam sul Corriere della Sera)

10.11.06

ORA SI CHIEDE DI SOPPRIMERE I NEONATI DISABILI


Con una dichiarazione pubblicata dal Sunday Times il 5 novembre, il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) ha annunciato di aver inviato un documento al Nuffield Council on Bioethics in cui si chiede “la possibilità di uccidere i neonati disabili”. Il Nuffield Council on Bioethics è una influente Commissione privata di Bioetica che sta per pubblicare un rapporto sulle decisioni critiche in medicina fetale e neonatale.
Il neonatologo Carlo Valerio Bellieni, Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena, intervistato da Zenit ha così commentato:

“Leggendo la notizia non mi sono stupito. Capisco l’orrore, ma non capisco lo stupore: chi ha studiato anatomia e biologia, chi è esperto di fisiologia umana sa bene che non esiste nessuna differenza sostanziale tra feto e neonato, a parte piccole modifiche nel circolo sanguigno, dunque non si capisce perché faccia orrore uccidere un neonato e non faccia orrore uccidere un feto. A meno che non si creda che l’ingresso di aria nei polmoni abbia un effetto “magico”, tale da trasformare il DNA o la coscienza dell’individuo! La foto del piccolo feto morto nella mamma uccisa, pubblicata qualche mese fa da un quotidiano italiano ha sconvolto non perché si faceva vedere un cadavere (purtroppo abbiamo visto anche recentemente in TV e nei giornali tanti bambini morti in guerre e nessuno si è inalberato), ma perché si faceva vedere la realtà: che un feto non è altro che un bambino che ancora non ha goduto dell’aria esterna. E questo ogni mamma sa che è vero, come lo sa chiunque per lavoro cura i piccolissimi feti precocemente usciti dall’utero materno, detti “bambini prematuri”, come lo sanno i chirurghi che operano i feti ancora in utero. Ripeto: il dramma è che ci si stupisce, mentre occorre iniziare un lavoro culturale fatto di ricerca e di divulgazione seria e non più solo di “reazioni” (alla ultima “trasgressione”, all’ultimo orrore). Il vero sforzo bioetico di oggi non è quello di affermare un vago senso di misericordia verso il prossimo (anche i programmi televisivi sono pieni di lacrime…), ma di essere “fan” dell’evidenza, della realtà, di affermare che un embrione è un embrione e non una cellula qualunque, che un feto di pochi etti prova dolore, che il DNA mostra che la vita di ognuno inizia dal concepimento; che è come dover dimostrare che un fiore è un fiore e non un bicchiere!”

4.11.06

TENERE ASSIEME VITA E PENSIERO, ESISTENZA E CONOSCENZA, FEDE E RAGIONE


Joseph Ratzinger sente profondamente la necessità di ricostruire una cultura che contribuisca all'edificazione di una società più vivibile, più umana, non dimentica delle sue radici spirituali e della sua identità. «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all'intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini. Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare a Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo». Concetti, questi, ripresi da Benedetto XVI all'inaugurazione dell'anno accademico della Pontificia Università Gregoriana. Il Papa ha voluto ancora una volta porre l'accento sul fatto che la cultura, se veramente vuole generare qualcosa di grande per la vita degli uomini e della società, non può prescindere dal riferimento a Dio. Abbandonato infatti tale riferimento, non solo perde di qualità e di profondità la riflessione scientifica, filosofica, teologica, ma anche e soprattutto si rattrappisce la dimensione spirituale dell'esistenza umana, con conseguenze drammatiche per la vita sociale. «L'uomo, sia nella sua interiorità che nella sua esteriorità, non può essere pienamente compreso se non lo si riconosce aperto alla trascendenza. Privo del suo riferimento a Dio, l'uomo non può rispondere alle domande fondamentali che agitano e agiteranno sempre il suo cuore riguardo al fine e quindi al senso della sua esistenza. Conseguentemente neppure è possibile immettere nella società quei valori etici che soli possono garantire una convivenza degna dell'uomo. Il destino dell'uomo senza il suo riferimento a Dio non può che essere la desolazione dell'angoscia che conduce alla disperazione». Appare dunque chiaro come le radici della crisi di cultura dell'uomo europeo e occidentale siano da individuare fondamentalmente nel progressivo distacco dalla trascendenza e nel più o meno teorizzato svuotamento della dimensione spirituale dell'esistenza, seguiti inevitabilmente da una riduzione del sapere ai meri aspetti «pratici», a ciò che è «calcolabile e sperimentabile». «La cultura secolare... tende sempre più non solo a negare ogni segno della presenza di Dio nella vita della società e del singolo, ma con vari mezzi... cerca di corrodere la sua capacità di mettersi in ascolto di Dio». Non tanto, dunque, viene negato Dio, quanto la sua possibilità di incidere nell'esperienza personale e sociale. Ma, soprattutto, si tenta di inaridire il terreno interiore dal quale fioriscono le grandi domande dell'esistenza, gli interrogativi fondamentali da cui dipendono l'orientamento di fondo e le scelte concrete della vita. E' una sfida più sottile e più insidiosa, questa, di quella rappresentata dal vecchio e classico ateismo, che ideologicamente negava Dio e riteneva la religione «l'oppio dei popoli». Ora è la stessa apertura dell'uomo alla ricerca di un significato che, più che venire negata, è sempre più incompresa, frammentata, depotenziata; è la stessa possibilità di fare stabilmente esperienza del vero ed entrarvi in relazione ad essere messa in discussione. (Gianteo Bordero)

2.11.06

IL DESTINO DELLA DEMOCRAZIA E' NELLA DEMOGRAFIA


Antonio Martino ha pubblicato un’interessante riflessione sul problema demografico dell’Europa ricordando che “il destino della democrazia e’ nella demografia”. Questo è vero per la solvibilità del sistema pensionistico pubblico, per le dimensioni della forza lavoro e per il tasso di sviluppo economico.
Secondo Gunnar Heinsohn dell’Università di Brema, UNA NAZIONE SI DEFINISCE MORIBONDA QUANDO IL TASSO DI FERTILITÀ (numero medio annuo di nati vivi per ogni mille donne in età fertile) È PARI O INFERIORE A 1,5. Secondo gli ultimi dati riferiti a 226 Paesi, l’Italia è al 212° posto con un tasso di fertilità pari a 1,28. Sono ben 30 le nazioni europee in stato comatoso e la popolazione europea sta diminuendo proprio mentre sta esplodendo in Africa e Asia.
Nel 2020 ci saranno nel mondo 1 miliardo di uomini in età compresa fra i 15 e i 29 anni; di questi solo 65 milioni saranno europei mentre il mondo islamico ne conterà 300 milioni.
L’Europa ha decuplicato la propria popolazione fra il 1500 e il 1900; il mondo musulmano è riuscito ad ottenerla in soli 100 anni passando da 140 milioni ai 1400 milioni di oggi. Se l’Europa avesse eguagliato la crescita della popolazione degli USA passata da 75 a 300 milioni fra il 1900 ed oggi, la sua popolazione sarebbe oggi di 1,6 miliardi, maggiore di quella della Cina o dell’India.
Il boom della popolazione portò l’Europa a controllare il 90% del globo. Il suo attuale declino prelude alla sua colonizzazione. (nel grafico la crescita della popolazione mondiale)

1.11.06

IL DILEGGIO DEL SACRO NON E' UN DIRITTO DI LIBERTA'


Non è possibile dare vita ad alcuna “partnerships” fra diverse religioni, culture ed identità etniche, senza reciproca conoscenza. Per creare “partnerships” occorre dialogo, ma esso rappresenta solo il primo passo, e dovrebbe condurre all’identificazione di un “terreno” comune e solido, sul quale sia possibile costruire una “partnership” che duri nel tempo. Tale “terreno” comune dovrebbe essere impregnato di apprezzamento per il fenomeno religioso e per la cultura. Oggi, invece, troppo spesso le religioni sono manipolate o persino fraintese, come se fossero parte dei problemi, mentre sono e dovrebbero essere considerate parte della soluzione ai problemi esistenti fra culture e civiltà che sono diverse.
……….ispirarsi all’invito di Benedetto XVI di non considerare il dileggio del sacro quale diritto di libertà. Una ragione che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sotto-culture è incapace d’inserirsi nel dialogo delle culture. (Lezione all’Università di Regensburg, 12 settembre 2006). Le culture profondamente religiose, infatti, vedono in questa esclusione del divino dall’ universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime.
Papa Benedetto XVI ha anche sottolineato che la religione non deve associarsi alla violenza, ma alla ragione. ……… riconoscere la particolare responsabilità, che grava sul sistema educativo e sui media, di evitare stereotipi, distorsioni, atteggiamenti di intolleranza e la non infrequente denigrazione della religione e della cultura. Fra l’altro, se i media, i dibattiti civili e politici e i sistemi educativi attribuiscono poco valore alla religione, nutrono pregiudizi nei suoi confronti oppure vi si riferiscono con linguaggi non del tutto rispettosi, allora la religione non può impegnarsi efficacemente contro gli stereotipi ed i pregiudizi, in quanto essa stessa ne è una delle prime vittime... L’odierno lavoro educativo che la Santa Sede richiede alla sue istituzioni si esplica in due direzioni:
a) Un’educazione adeguata e secondo coscienza, nei termini previsti dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo.
b) La formazione integrale della persona umana, nella quale non solo non vi sia posto per l’intolleranza, la discriminazione o per il pregiudizio razziale, ma che, partendo dalla dignità dell'uomo, riconosciuto come fatto ad immagine e somiglianza di Dio, contribuisca ad una società più giusta, solidale, fondata sull'amore.
La scuola cattolica è quindi uno strumento privilegiato perché gli alunni siano consapevoli che tutti gli uomini, di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona, hanno il diritto inalienabile ad una educazione che risponda al proprio fine, convenga alla propria indole, alla differenza di sesso, alla cultura ed alle tradizioni del loro paese, ed insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli al fine di garantire la vera unità e la pace su tutta la terra ( Gravissimum Educationis, n. 1).
Di tale pedagogia abbiamo più che mai bisogno, specialmente guardando alle nuove generazioni. Tanti giovani, nelle zone del mondo segnate da conflitti, sono educati a sentimenti di odio e di vendetta, entro contesti ideologici in cui si coltivano i semi di antichi rancori e si preparano gli animi a future violenze. Occorre abbattere tali steccati e favorire l’incontro.
(dall'intervento pronunciato il 12 ottobre alla conferenza dell’OSCE da monsignor Ettore Balestrero, sul tema della tolleranza e della non discriminazione)