26.12.11

UN MODO NUOVO DELL’ESSERE CRISTIANI

In primo luogo una nuova esperienza della cattolicità, dell’universalità della Chiesa. Parliamo lingue diverse e abbiamo differenti abitudini di vita, differenti forme culturali, e tuttavia ci troviamo subito uniti insieme come una grande famiglia. Separazione e diversità esteriori sono relativizzate. Siamo tutti toccati dall’unico Signore Gesù Cristo, nel quale si è manifestato a noi il vero essere dell’uomo e, insieme, il Volto stesso di Dio. Le nostre preghiere sono le stesse. In virtù dello stesso incontro interiore con Gesù Cristo abbiamo ricevuto nel nostro intimo la stessa formazione della ragione, della volontà e del cuore. E, infine, la comune liturgia costituisce una sorta di patria del cuore e ci unisce in una grande famiglia. Il fatto che tutti gli esseri umani sono fratelli e sorelle è qui non soltanto un’idea, ma diventa una reale esperienza comune che crea gioia. E così abbiamo compreso anche in modo molto concreto che, nonostante tutte le fatiche e le oscurità, è bello appartenere alla Chiesa universale, alla Chiesa cattolica, che il Signore ci ha donato.
Da questo nasce poi un nuovo modo di vivere l’essere uomini, l’essere cristiani. Con il proprio tempo l’uomo dona sempre una parte della propria vita. Il tempo donato ha un senso; proprio nel donare il loro tempo e la loro forza lavorativa possono trovare il tempo, la vita. Il volontariato offre nella fede un pezzo di vita, non perché questo sia stato comandato e non perché con questo ci si guadagna il cielo; neppure perché così si sfugge al pericolo dell’inferno. Non perché si vuole essere perfetti. Non si guarda indietro, a se stessi. Quante volte la vita dei cristiani è caratterizzata dal fatto che guardano soprattutto a se stessi, fanno il bene, per così dire, per se stessi! E quanto è grande la tentazione per tutti gli uomini di essere preoccupati anzitutto di se stessi, di guardare indietro a se stessi, diventando così interiormente vuoti, "statue di sale"! Qui invece non si tratta di perfezionare se stessi o di voler avere la propria vita per se stessi. Si è fatto del bene – anche se quel fare è stato pesante, anche se ha richiesto sacrifici –, semplicemente perché fare il bene è bello, esserci per gli altri è bello. Occorre soltanto osare il salto. Tutto ciò è preceduto dall’incontro con Gesù Cristo, un incontro che accende in noi l’amore per Dio e per gli altri e ci libera dalla ricerca del nostro proprio "io". Una preghiera attribuita a san Francesco Saverio dice: Faccio il bene non perché in cambio entrerò in cielo e neppure perché altrimenti mi potresti mandare all’inferno. Lo faccio, perché Tu sei Tu, il mio Re e mio Signore. In Africa, ad esempio le suore di Madre Teresa si prodigano per i bambini abbandonati, malati, poveri e sofferenti, senza porsi domande su se stesse, e proprio così diventano interiormente ricche e libere. È questo l’atteggiamento propriamente cristiano.
Riconosciamo che abbiamo continuamente bisogno di perdono e che perdono significa responsabilità. Esiste nell’uomo la disponibilità ad amare e la capacità di rispondere a Dio nella fede. Ma proveniente dalla storia peccaminosa dell’uomo (la dottrina della Chiesa parla del peccato originale) esiste anche la tendenza contraria all’amore: la tendenza all’egoismo, al chiudersi in se stessi, anzi, la tendenza al male. Sempre di nuovo la mia anima viene insudiciata da questa forza di gravità in me, che mi attira verso il basso. Perciò abbiamo bisogno dell’umiltà che sempre nuovamente chiede perdono a Dio; che si lascia purificare e che ridesta in noi la forza contraria, la forza positiva del Creatore, che ci attira verso l’alto.

25.12.11

LA CRISI DELLA FEDE

Alla fine dell’anno, l’Europa si trova in una crisi economica e finanziaria che, in ultima analisi, si fonda sulla crisi etica che minaccia il Vecchio Continente. Anche se valori come la solidarietà, l’impegno per gli altri, la responsabilità per i poveri e i sofferenti sono in gran parte indiscussi, manca spesso la forza motivante, capace di indurre il singolo e i grandi gruppi sociali a rinunce e sacrifici. La conoscenza e la volontà non vanno necessariamente di pari passo. La volontà che difende l’interesse personale oscura la conoscenza e la conoscenza indebolita non è in grado di rinfrancare la volontà. Perciò, da questa crisi emergono domande molto fondamentali: dove è la luce che possa illuminare la nostra conoscenza non soltanto di idee generali, ma di imperativi concreti? Dove è la forza che solleva in alto la nostra volontà? Sono domande alle quali il nostro annuncio del Vangelo, la nuova evangelizzazione, deve rispondere, affinché il messaggio diventi avvenimento, l’annuncio diventi vita.
Come annunciare oggi il Vangelo? In che modo la fede, quale forza viva e vitale, può oggi diventare realtà? Gli avvenimenti ecclesiali dell’anno che sta per concludersi sono stati, in definitiva, tutti riferiti a questo tema. Sta sempre di nuovo al centro delle dispute la domanda: che cosa è una riforma della Chiesa? Come avviene? Quali sono le sue vie e i suoi obiettivi? Con preoccupazione, non soltanto i fedeli credenti, ma anche estranei osservano come le persone che vanno regolarmente in chiesa diventino sempre più anziane e il loro numero diminuisca continuamente; come ci sia una stagnazione nelle vocazioni al sacerdozio; come crescano scetticismo e incredulità. Che cosa, dunque, dobbiamo fare? Esistono infinite discussioni sul da farsi perché si abbia un’inversione di tendenza. E certamente occorre fare tante cose. Ma il fare da solo non risolve il problema. Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci.

22.12.11

LA GIOIA

Da dove viene? Come la si spiega? Sicuramente sono molti i fattori che agiscono insieme. Ma quello decisivo è, secondo il mio parere, la certezza proveniente dalla fede: io sono voluto. Ho un compito nella storia. Sono accettato, sono amato.
Josef Pieper, nel suo libro sull’amore, ha mostrato che l’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un "tu", l’"io" può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’"io" può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso. Questo essere accolto viene anzitutto dall’altra persona. Ma ogni accoglienza umana è fragile. In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia. È bene essere una persona umana. Dove viene meno la percezione dell’uomo di essere accolto da parte di Dio, di essere amato da Lui, la domanda se sia veramente bene esistere come persona umana non trova più alcuna risposta. Il dubbio circa l’esistenza umana diventa sempre più insuperabile. Laddove diventa dominante il dubbio riguardo a Dio, segue inevitabilmente il dubbio circa lo stesso essere uomini. Vediamo oggi come questo dubbio si diffonde. Lo vediamo nella mancanza di gioia, nella tristezza interiore che si può leggere su tanti volti umani. Solo la fede mi dà la certezza: è bene che io ci sia. È bene esistere come persona umana, anche in tempi difficili. La fede rende lieti a partire dal di dentro. (qui)

10.12.11

I QUESITI DI FONDO