15.8.07

LA CONFUSIONE DEL POSTCONCILIO


Ma perché è andata così? I tempi di un postconcilio sono quasi sempre molto difficili. Dopo il grande Concilio di Nicea – che per noi è realmente il fondamento della nostra fede, di fatto noi confessiamo la fede formulata a Nicea – non è nata una situazione di riconciliazione e di unità come aveva sperato Costantino, promotore di tale grande Concilio, ma una situazione realmente caotica di lite di tutti contro tutti.
San Basilio nel suo libro sullo Spirito Santo paragona la situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea a una battaglia navale nella notte, dove nessuno più conosce l’altro, ma tutti sono contro tutti. Era realmente una situazione di caos totale: così descrive con colori forti il dramma del dopoconcilio, del dopo Nicea, san Basilio.
Poi 50 anni dopo, per il Concilio primo di Costantinopoli, l’imperatore invita san Gregorio Nazianzeno a partecipare al concilio e san Gregorio Nazianzeno risponde: no, non vengo, perché io conosco queste cose, so che da tutti i Concili nascono solo confusione e battaglia, quindi non vengo. E non è andato. Quindi non è adesso, in retrospettiva, una sorpresa così grande come era nel primo momento per noi tutti digerire il Concilio, questo grande messaggio. Immetterlo nella vita della Chiesa, riceverlo, così che diventi vita della Chiesa, assimilarlo nelle diverse realtà della Chiesa è una sofferenza, e solo nella sofferenza si realizza anche la crescita. Crescere è sempre anche soffrire, perché è uscire da uno stato e passare a un altro.
E nel concreto del dopoconcilio dobbiamo constatare che vi sono due grandi cesure storiche. La prima è la cesura del ‘68, l’inizio o l’esplosione – oserei dire – della grande crisi culturale dell’Occidente. Era finita la generazione del dopoguerra, una generazione che dopo tutte le distruzioni e vedendo l’orrore della guerra, del combattersi, e constatando il dramma delle grandi ideologie che avevano realmente condotto le persone verso il baratro della guerra avevamo riscoperto le radici cristiane dell’Europa e avevamo cominciato a ricostruire l’Europa con queste ispirazioni grandi. Ma finita questa generazione si vedevano anche tutti i fallimenti, le lacune di questa ricostruzione, la grande miseria nel mondo, e così comincia ed esplode la crisi della cultura occidentale, direi una rivoluzione culturale che vuole cambiare radicalmente tutto. Dice: in duemila anni di cristianesimo non abbiamo creato il mondo migliore, dobbiamo ricominciare da zero in modo assolutamente nuovo. Il marxismo sembra la ricetta scientifica per creare finalmente il nuovo mondo.
In questo – diciamo – grave, grande scontro tra la nuova, sana modernità voluta dal Concilio e la crisi della modernità, tutto diventa difficile come dopo il primo Concilio di Nicea.
Una parte era del parere che questa rivoluzione culturale era quanto aveva voluto il Concilio. Identificava questa nuova rivoluzione culturale marxista con la volontà del Concilio. Diceva: questo è il Concilio; nella lettera i testi sono ancora un po’ antiquati, ma dietro le parole scritte sta questo "spirito", questa è la volontà del Concilio, così dobbiamo fare. E dall’altra parte, naturalmente, la reazione: così distruggete la Chiesa. La reazione – diciamo – assoluta contro il Concilio, la anticonciliarità, e – diciamo – la timida, umile ricerca di realizzare il vero spirito del Concilio. E come dice un proverbio: "se cade un albero fa grande rumore, se cresce una selva non si sente niente", durante questi grandi rumori del progressismo sbagliato e dell’anticonciliarismo assoluto cresceva molto silenziosamente, con tante sofferenze e anche con tante perdite nella costruzione di un nuovo passaggio culturale, il cammino della Chiesa.
E poi la seconda cesura nell’89, il crollo dei regimi comunisti. Ma la risposta non fu il ritorno alla fede, come si poteva forse aspettare, non fu la riscoperta che proprio la Chiesa con il Concilio autentico aveva dato la risposta. La risposta fu invece lo scetticismo totale, la cosiddetta post-modernità. Niente è vero, ognuno deve vedere come vivere. Si afferma un materialismo, uno scetticismo pseudo-razionalista cieco che finisce nella droga, finisce in tutti questi problemi che conosciamo e di nuovo chiude le strade alla fede, perché è così semplice, così evidente: no, non c’è nulla di vero; la verità è intollerante, non possiamo prendere questa strada.
Ecco: in questi contesti di due rotture culturali, la prima, la rivoluzione culturale del ’68, la seconda, la caduta nel nichilismo dopo l’89, la Chiesa con umiltà, tra le passioni del mondo e la gloria del Signore, prende la sua strada.
Su questa strada dobbiamo crescere con pazienza e dobbiamo adesso in un modo nuovo imparare che cosa vuol dire rinunciare al trionfalismo.
Il Concilio aveva detto di rinunciare al trionfalismo – e aveva pensato al Barocco, a tutte queste grandi culture della Chiesa. Si disse: cominciamo in modo moderno, nuovo. Ma era cresciuto un altro trionfalismo, quello di pensare: noi adesso facciamo le cose, noi abbiamo trovato la strada e troviamo su di essa il mondo nuovo.
Ma l’umiltà della Croce, del Crocifisso esclude proprio anche questo trionfalismo. Dobbiamo rinunciare al trionfalismo secondo cui adesso nasce realmente la grande Chiesa del futuro. La Chiesa di Cristo è sempre umile e proprio così è grande e gioiosa.
Mi sembra molto importante che adesso possiamo vedere con occhi aperti quanto è anche cresciuto di positivo nel dopoconcilio: nel rinnovamento della liturgia, nei sinodi, sinodi romani, sinodi universali, sinodi diocesani, nelle strutture parrocchiali, nella collaborazione, nella nuova responsabilità dei laici, nella grande corresponsabilità interculturale e intercontinentale, in una nuova esperienza della cattolicità della Chiesa, dell’unanimità che cresce in umiltà e tuttavia è la vera speranza del mondo. E così dobbiamo, mi sembra, riscoprire la grande eredità del Concilio, che non è uno "spirito" ricostruito dietro i testi, ma sono proprio i grandi testi conciliari riletti oggi con le esperienze che abbiamo avuto e che hanno portato frutto in tanti movimenti, in tante nuove comunità religiose. In Brasile sono arrivato sapendo come si espandono le sette e come sembra un po’ sclerotizzata la Chiesa cattolica; ma una volta arrivato ho visto che quasi ogni giorno in Brasile nasce una nuova comunità religiosa, nasce un nuovo movimento, non solo crescono le sette. Cresce la Chiesa con nuove realtà piene di vitalità, che non riempiono le statistiche – questa è una speranza falsa, la statistica non è la nostra divinità – ma crescono negli animi e creano la gioia della fede, creano presenza del Vangelo, creano così anche vero sviluppo del mondo e della società. (Dall’intervento di Benedetto XVI a Belluno del 27 luglio 2007) I link ai testi integrali, nel sito del Vaticano

4.8.07

QUALE LIBERAZIONE?


La teologia “liberazionista” è il movimento cattolico tragicamente vicino ad uno degli errori ideologici più grandi della storia umana: l’idea che il socialismo possa fornire i mezzi per la salvezza dei poveri. Nel corso della visita del papa in Brasile, alcuni sacerdoti “liberazionisti”, che predicano un attivismo socialista rivoluzionario, hanno tenuto una sorta di contro conferenza alla Conferenza Episcopale latinoamericana dove Benedetto XVI era andato a parlare.
Il Papa ha ribadito che il socialismo non può e non potrà fornire i mezzi per la salvezza dei poveri. Piuttosto, dice, produce “distruzione economica ed ecologica”. E c’è il problema teologico: il socialismo abbraccia una visione materialista della storia umana che è in conflitto con l’attenzione del Vangelo per il cuore umano. Spostare la missione cristiana dal suo obiettivo principale di cambiamento individuale e culturale ad una agenda politicizzata e centrata sullo stato è fatale per la fede.
Chesterton scrisse che l’eresia è verità impazzita e questo ne è un classico esempio. La verità della necessità di una giustizia sociale viene enfatizzata alle spese di ogni altra verità. I “liberazionisti” nascondono gli avvertimenti del Vangelo sul potere, sul sostegno alla proprietà privata (vedi la parabola dei Tesori nel Campo), sull’etica imprenditoriale (parabola dei Talenti) e la chiara dichiarazione di Gesù che il suo regno non è di questo mondo. Lui è il re dei cieli e non, come credevano le persone che lo hanno accolto a Gerusalemme, il re terreno venuto a spodestare il potere secolare.
Negli anni ’80, il Cardinale Joseph Ratzinger chiarì precisamente questi punti: “Dicendo di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, Gesù separa il potere dell’imperatore dal potere di Dio…segnando così dei limiti ad ogni potere terreno e proclamando la libertà della persona che trascende tutti i sistemi politici. A causa di questo limite Gesù è andato incontro alla sua morte, testimoniando con la sua sofferenza il limite del potere. Il cristianesimo non inizia con un rivoluzionario, ma con un martire. La vera liberazione non può essere trovata nello stato ma solo attraverso l’esercizio della coscienza e la libertà di farlo. La forza motrice che sta dietro l’idea socialista ha radici più profonde che ci portano al cuore teologico della relazione tra stato e salvezza. Dal punto di vista del Papa, esiste un problema molto serio con qualsiasi teologia che veda il cambiamento politico come un mezzo per raggiungere la salvezza sulla terra. Questo non è un problema solo del marxismo o della sua variante “liberazionista”. È un’eresia con una lunga storia alle spalle.
Dopo il Concilio Vaticano II emerse una fazione che tentò di demolire in modo diverso la distinzione tra sacro e secolare. Invece di sostenere la restaurazione delle monarchie e delle aristocrazie cattoliche, questo neo-costantinianesimo (il ripristino di uno Stato Chiesa con i “liberazionisti” al potere) voleva istituzionalizzare le politiche dello stato socialista nel nome del cristianesimo. Questa visione di sinistra è speculare alla visione di destra: entrambe attribuivano alla politica un ruolo decisivo nella salvezza spirituale del genere umano.
“Che cosa è il reale?” ha chiesto Benedetto XVI in un suo discorso in Brasile. “Sono “realtà” solo i beni materiali, i problemi sociali, economici e politici?” No. Anche le coscienze e le anime lo sono. L’attivismo politico può tentare di ottenere libertà per tutti. La salvezza, però, viene attraverso mezzi diversi. Questo è stato il suo messaggio il tempo a venire. Tratto da Robert A. Sirico presidente dell’Istituto Acton