18.5.07

PERDERE DIO EQUIVALE A PERDERE L'UOMO


Il nostro tempo ripresenta le tesi del Dramma dell'umanesimo ateo di De Lubac. Il che assottiglia sempre più nettamente il margine non soltanto del dialogo (perché di dialogo si può ragionevolmente parlare soltanto in presenza di due identità forti e stagliate, mentre oggi abbiamo un cristianesimo della resa incondizionata all'altro e un laicismo relativistico debole nei fondamenti ed aggressivo nello stile militante), ma anche, di conseguenza, della memoria reale e cogente della nostra tradizione, qualunque sia la certezza di fede che una persona possa avere. I giovani di oggi non hanno la benché minima idea razionale e culturale della nostra tradizione, vivono in un orizzonte di «passioni tristi» e di false certezze, ovvero certezze senza verità. In un mondo sempre più refrattario alla ragione e, dunque, alla ricerca della verità. Un mondo totalitario per costituzione immanente. Perché, come anche Orwell aveva intuito e poi Solzenicyn ebbe modo di riaffermare, il totalitarismo moderno uccide prima di tutto la coscienza, rendendola funzionale a qualcos'altro e infine omogeneizza tutto, toglie sapore e sostanza a tutto ciò che di più profondamente umano e perciò cristiano possa esistere. Ritorna, ancora una volta, la tesi centrale del grande libro di De Lubac: perdere Dio equivale a perdere l'uomo.

5.5.07

IL PERCORSO DI DESTRUTTURAZIONE INIZIÒ NEL ‘68


Nel '68 tutto ciò che rappresentava lo status quo in materia di costumi e di organizzazione sociale veniva rigettato, criticato quando non detestato, ed ebbe inizio un percorso di destrutturazione che, col passare degli anni, ha portato a ritenere le istituzioni che per duemila anni avevano costituito il nerbo portante del nostro vivere civile un ferro vecchio, una cianfrusaglia del passato, un orpello inutile, un ostacolo al progresso. Ora, nel 2007, ci si rende conto che aver messo nel cassetto la tradizione e le tradizioni è stato come smettere di abbeverarsi alla linfa vitale della nostra civiltà, e gli stessi princìpi che allora venivano visti come una pietra d'inciampo nel cammino verso la libertà individuale sono oggi nuovamente ricercati come una bussola per orientarsi in questo tempo difficile, apparentemente privo di riferimenti forti in grado di fondare a un tempo l'esistenza del singolo e la sua relazione con l'altro.
Si torna a comprendere, oggi, che quelli che un tempo, quarant'anni fa, venivano visti come vuoti simulacri, come forme sociali senza contenuto, come usanze da superare nel nome dell'affrancamento dell'individuo dalle costrizioni esterne, erano e sono in realtà parte stessa della natura umana, dell'essenza dell'essere uomini. Non perché lo dice la Chiesa, non perché lo dicono il Papa, i vescovi e le gerarchie vaticane. Ma perché sono elementi costitutivi della persona, del suo stare faticosamente al mondo, del suo andare alla ricerca - più o meno consapevolmente - della felicità, di qualche cosa che possa dare fondamento e senso all'esistere, che possa motivare le scelte piccole e quelle grandi, che possa collegarci alla saggezza del passato senza soffocare la speranza nel futuro. Che possa, in qualche modo, fare della carnalità e della contingenza storica di un amore la promessa di qualcosa che non si esaurisce, che dura per sempre. Perché così è fatto l'uomo, il cuore degli uomini assetato di verità, di bontà, di bellezza, di eternità.

1.5.07

UN UTILE ANTIDOTO AL PENSIERO UNICO


Accusano la Chiesa cattolica di nascondere il suo volto misericordioso. Di snaturare la sua indole accogliente e benevola con un’arcigna intransigenza sulle questioni “eticamente sensibili”, con la severità eccessiva sulle unioni di fatto… Ma il pensiero laico italiano non ha sempre accusato la Chiesa del contrario?...
Nel corso del tempo si è costruito un canone recriminatorio di interpretazione storica e di lettura del sempre tarato “carattere nazionale” degli italiani. Non solo l’accusa al cattolicesimo di essere troppo sensibile di fronte alla fragilità umana e di aver favorito un atteggiamento verso la vita e il mondo improntato a scarso rigore con esiti di irrimediabile e perciò deprecabile ipocrisia. Ma soprattutto la denuncia accorata delle ripercussioni negative che la sensibilità cattolica avrebbe avuto sulla tempra morale degli italiani.
…Di un popolo che, traviato dai suoi preti, ha preferito le assoluzioni del confessionale anziché il rigore etico, il bene della famiglia invece del rispetto della legge, il rito pubblico barocco e ipocrita a scapito dell’interiorità, la convenzione e la rappresentazione al posto della fede autentica.
… Il pensiero laico potrebbe riflettere sull’eventualità che una Chiesa militante e combattiva possa essere addirittura un vantaggio per l’Italia e per chi crede che il conflitto delle idee sia un bene e non un fastidioso intralcio, in una democrazia liberale insofferente all’unanimismo e al conformismo. Sarebbe un utile antidoto alla tentazione del pensiero unico. (Pierluigi Battista dal Corriere)