9.12.08

LE BASI DELLA LIBERTA'


Il liberalismo deve riconoscersi come una tradizione storica congenere alla tradizione cristiana. In caso contrario, le libertà liberali decadono e decade anche la coesione sociale. Ricordiamoci la domanda di Jefferson: «Si può dire che le libertà di una nazione sono al sicuro se ne viene rimossa l’unica loro base solida, cioè la convinzione che sono un dono di Dio, e che non si possono violare se non provocandone la collera?». I liberali di oggi sono ancora in debito di una risposta convincente diversa da quella di Jefferson. Occorre essere disponibili ad ammettere che può esistere un vero oltre i nostri veri. Sui singoli veri, si può anche ridere, sapendo che sono caduchi, ma sul vero ulteriore, no, perché, per chi lo riconosce, è eterno. Il relativismo ride delle verità non solo perché le considera contingenti, provvisorie, sempre in divenire, ma perché nega che siano verità. Nietzsche, ad esempio, rideva sprezzante delle nostre verità, perché le considerava illusioni: ma morì pazzo e non si sottrasse alla verità clinica. C’è qualcosa anche di personalmente tragico nei relativisti che ridono delle verità e poi sono costretti a subirle.
Lo Stato laico non significa né Stato neutrale né Stato imparziale né Stato privo di valori riguardanti la persona, prima ancora che il cittadino. Se si tolgono questi valori — che sono tipicamente religiosi — si distrugge anche lo Stato laico.

8.12.08

A DREAM



I Have a dream





DAL CELEBRE SAGGIO DI BENEDETTO CROCE


«Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande [...] che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per non parlare delle più remote della scrittura, della matematica, della scienza astronomica, della medicina, e di quanto altro si deve all'oriente e all'Egitto...
E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro, ma investirono tutto l'uomo, l'anima stessa dell'uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana... perché l'impulso originario fu e perdura il suo. La ragione di ciò è che la ri-voluzione cristiana operò nel centro dell'anima, nella coscienza morale, e conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all'umanità. Gli uomini, gli eroi, i geni, che furono innanzi al Cristianesimo, compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensiero, di esperienze; ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna e affastella, e che il Cristianesimo ha. dato esso solo alla vita umana».

B. Croce

7.12.08

PERCHÉ DOBBIAMO DIRCI CRISTIANI


Dopo le critiche alla deriva del liberalismo che, tradendo le intenzioni dei propri padri, ha finito per identificarsi col laicismo, Pera tratta dell’apostasia cristiana dell’Europa, che ha scelto di rinnegare le proprie radici, perdendo inevitabilmente la propria identità. Identità che il Vecchio Continente ha poi tentato di ricostruire sulle basi friabili del relativismo e del multiculturalismo, trovandosi infine impreparato di fronte alle sfide del nuovo millennio, l’integralismo islamico su tutte.
Il dialogo si fa quando si decide di usare la parola, non la forza, quando si cerca di convincere con le buone ragioni, non con l’imposizione. Il Papa a Ratisbona fu chiarissimo, almeno per coloro che vogliono capire o non hanno paura di capire: non disse che l’islam è una religione violenta, storia e scrittura alla mano pose la questione. Fece una domanda, e gli fu risposto con tracotanza. L’Europa dei nostri bravi e coraggiosi capi di Stato e di governo, naturalmente capì la domanda, ma subì la tracotanza. Quasi chiese scusa.
L’idea illuminista di vivere «come se Dio non esistesse» non dà frutti. Mentre accogliere la sfida di Benedetto XVI a vivere «come se Dio esistesse» da all’uomo contemporaneo una speranza che il nichilismo e il relativismo hanno finito per soffocare. Noi «dobbiamo» vivere come se Dio esistesse. Non si deve solo credere “che”, ma credere “in”. Credere “che” è diverso da credere “in”. Il cristianesimo è la fonte della nostra migliore civiltà, le virtù cristiane sono le migliori per la vita individuale e collettiva, l’idea dell’unità di tutto il genere umano perché figlio di Dio ha prodotto le migliori conquiste civili, eccetera. Chi crede “in”, fa un passo oltre: crede in una Persona, ha esperienza di un incontro, avverte una presenza. Costui è il credente in senso stretto, l’uomo di fede. Credere “che” è indispensabile, è uno sforzo che ciascuno deve fare, ma il credere “in” è un atto di grazia, che non dipende da alcuno sforzo intellettuale. Per il credente, Cristo si dà, si manifesta, si incontra, non si prova o argomenta. È necessario però che chi si limita al solo credere “che” non chiuda la porta al credere “in”, non lo consideri un atto irrazionale o impossibile. Il messaggio di Pascal o di Kant consiste proprio nell’apertura al credere “in”.