STATO VEGETATIVO E ACCANIMENTO TERAPEUTICO
Nel caso di Eluana non si può parlare di accanimento terapeutico perché non ci troviamo di fronte a un trattamento che le sta procurando sofferenza, almeno per quanto traspare all’esterno. Peraltro la sofferenza non la si evince soltanto dal fatto che uno si lamenta o dice di avere dolore, ma lo si vede anche da parametri scientifici ben precisi: quando c’è dolore, ad esempio, aumenta la pressione, aumenta la frequenza cardiaca, ci sono insomma parametri oggettivi per cui è possibile capire se un soggetto soffre o no. Nel caso di Eluana i neurologi dicono che questo non accade. Quando papa Giovanni Paolo II ha chiesto, peraltro cosciente, che non venisse attuato accanimento terapeutico in relazione alla patologia di base che lo aveva portato a quel punto, non ha mai chiesto che venisse sospesa l’alimentazione o l’idratazione. Il Papa aveva chiesto di evitargli ulteriori gravosità nella sopportazione della malattia, e proprio per questo l’ha potuto chiedere legittimamente. La legittimità di rifiutare interventi che possono essere sproporzionati per il soggetto viene attuata dal soggetto stesso come dice anche il documento “Iura et bona” sull’eutanasia. La volontà del soggetto è l’elemento fondamentale: è il soggetto che valuta per sé questa condizione e decide se una determinata situazione che sta vivendo è proporzionata o no alla propria capacità di sopportazione, se è efficace o no per affrontare il problema. E questo elemento della volontà attiva del soggetto è il primo che manca nel caso di Eluana. Della volontà di Eluana, oggettivamente, non sappiamo nulla. Quando si deve valutare la proporzionalità di un intervento e quindi l’opportunità di continuarlo, si deve valutare l’obbiettivo per cui viene fatto. Se è terapeutico, per risolvere cioè una situazione patologica, si valuta la sua efficacia. Se non è efficace, lo si interrompe, ma nel caso di Eluana, l’intervento è proporzionato e gli effetti si vedono, tant’è che ha permesso di nutrire una persona per 17 anni, senza procurarle alcuna sofferenza. L’accanimento terapeutico si ha quando i trattamenti non portano alcun beneficio e sono ingiustamente penosi e contrari al bene della persona.
QUANDO VIENE MENO LO SPECIFICO UMANO
«Lasciarla morire, o più esattamente - per chiamare le cose con il loro nome - farla morire di fame e di sete, è oggettivamente, al di là delle intenzioni di chi vuole questo, l'uccisione di un essere umano. Un omicidio. Purtroppo inferto in maniera terribile, senza che nessuno possa essere certo che Eluana non soffrirà».
Di prevaricazioni però in questa vicenda se ne sono già fatte molte. A cominciare dai giudici che hanno applicato una legge che non esiste e che, soprattutto, non hanno tenuto conto della situazione reale di Eluana. Ad ogni modo, lo Stato ha il diritto e il dovere, di proteggere la vita di ogni suo cittadino».
Una legge sul testamento biologico o, meglio, la legge sulla fine della vita ora è necessaria. La parola testamento implica infatti che si disponga di un oggetto, ma la vita non è un oggetto, non è un appartamento o una somma di denaro. La legge dovrebbe evitare sia l'eutanasia sia l'accanimento terapeutico. Ma è ovvio che la nutrizione e l'idratazione non possono essere lasciate alla decisione dei singoli, perché toglierle significa provocare la morte. Se eutanasia significa morte "dolce", "buona", la fine di Eluana sarebbe peggio dell'eutanasia: Eluana morirebbe di fame e di sete. La sua sarebbe una morte pessima».
«In Italia, e ancor più in altri Paesi dell'Occidente, esiste un'emergenza educativa, che rappresenta un'ipoteca sul nostro futuro e ha le sue radici nella mentalità diffusa, secondo la quale non esistono più punti di riferimento che precedano e possano illuminare le nostre scelte. Quando non siamo più d'accordo su cos'è l'uomo, quando l'uomo viene ricondotto totalmente ed esclusivamente alla natura, salta ogni differenza qualitativa, viene meno lo specifico umano, cadono o cambiano radicalmente i parametri educativi. Si aprono così le porte al nichilismo, che nasce, come ha spiegato bene il suo primo sostenitore, Federico Nietzsche, con la "morte di Dio"».
(vedi)
INTERROMPERE UNA VITA E’ ALLUCINANTE E BESTIALE
Così si è espresso Enzo Jannacci nella bella intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera. In essa ci ricorda che: “La vita è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche se si presenta inerme e indifesa. L’esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque.” Ne suggerisco la lettura integrale qui.
Ma la vicenda in corso mi porta a fare alcune considerazioni:
1) La volontà di Eluana. Non esiste alcun documento o testamento che abbia permesso di accertare quanto affermato dal padre o da alcune conoscenti. La sentenza della Corte di Appello è in sostanza una condanna a morte, basata sulle sole dichiarazioni del padre, a seguito delle quali i giudici si sono formati la loro convinzione (?) "vista la straordinaria durata dello stato vegetativo permanente e l'altrettanto straordinaria tensione del suo carattere verso la libertà e la sua visione della vita” (sic!).
2) E’ responsabilità dello Stato garantire e tutelare la vita di tutti. Non ci può essere uno Stato dove ci sono vite che non sono ritenute degne di essere vissute. La vita deve essere tutelata sempre e comunque, in ogni circostanza, dal suo concepimento fino alla sua fine naturale. Non è ammissibile che in Italia dove la Costituzione difende la vita, si possa distruggere la vita.
3) Quello che si profila è l’inizio di una deriva, di un nuovo passaggio , dopo l’aborto, verso la cultura della morte, un passaggio dove la vita perde la sua dignità e il suo valore sacrale. Non è questione di essere insensibili alla sofferenza altrui. Si inizia con il caso pietoso ma l’intento è di estendere la facoltà come atto privato fino all’eutanasia, in nome dell’ideologia del relativismo. Si dice che quella di Eluana non è vita. Che razza di vità è quella di tanti anziani, non più autosufficienti e ammalati, che vivono in uno stato vegetativo in molte strutture pubbliche e private? Perché non si va dal giudice e si chiede di interrompere l’alimentazione, tanto non se ne accorgerebbero minimamente e potrebbero passare a migliore vita con vantaggi per lo Stato e le famiglie?
4) Ancora una volta brilla l’ipocrisia di coloro che non perdono occasione di protestare contro la pena di morte (però solo nel caso di esecuzioni da parte USA) o la caccia alle foche, ma sono poi in prima fila a sostenere il diritto di aborto (uccisione del feto) e il diritto all’eutanasia (uccisione del malato terminale o dell’anziano inutile).
5) Anche su questo caso, davvero lacerante ma rispetto al quale ogni cristiano è in grado di distinguere il grano dalla pula, si fanno sentire i cattolici-contro, quelli cioè che vogliono ad ogni costo far parte della Chiesa cattolica ma ritengono di essere la vera Chiesa, il Movimento per la riforma della Chiesa Cattolica, e pretendono di insegnare al papa ed ai vescovi quello che devono o non devono fare. Leggere per credere. Che tristezza!