di Ernesto Galli della Loggia
(tratto dal Corriere della Sera)
Non
è vero che il contrario della democrazia sia necessariamente la dittatura. C’è
almeno un altro regime: l’oligarchia. E tra i due regimi possono esserci poi
varie forme intermedie. Una di queste è quella esistente da qualche tempo in
Italia. Dove ci sono da un lato un Parlamento e un governo democratici, i quali
formalmente legiferano e dirigono, ma dall’altro un ceto di oligarchi i quali,
dietro le quinte delle istituzioni democratiche e sottratti di fatto a
qualunque controllo reale, compiono scelte decisive, governano più o meno a
loro piacere settori cruciali, gestiscono quote enormi di risorse e di potere:
essendo tentati spesso e volentieri di abusarne a fini personali. I frequenti
casi scoperti negli ultimi anni e nelle ultime settimane hanno aperto squarci
inquietanti su tale realtà.
Non
si tratta solo dell’alta burocrazia dei ministeri, cioè dei direttori generali.
A questi si è andata aggiungendo negli anni una pletora formata da consiglieri
di Stato, alti funzionari della presidenza del Consiglio, giudici delle varie
magistrature (comprese quelle contabili), dirigenti e membri delle sempre più
numerose Authority, e altri consimili, i quali, insieme ai suddetti direttori
generali e annidati perlopiù nei gabinetti dei ministri, costituiscono ormai
una sorta di vero e proprio governo ombra. Sempre pronti peraltro, come
dimostra proprio il caso del governo attuale, a cercare di fare il salto in quello
vero.
È
un’oligarchia che non è passata attraverso nessuna selezione specifica né
alcuna speciale scuola di formazione (giacché noi non abbiamo un’istituzione
analoga all’Ena francese). Designati dalla politica con un g r a d o a l t i s
s i m o d i arbitrarietà, devono in misura decisiva il proprio incarico a
qualche forma di contiguità con il loro designatore, alla disponibilità
dimostrata verso le sue esigenze, e infine, o soprattutto, alla condiscendenza,
all’intrinsichezza — chiamatela come volete — verso gli ambienti e/o gli
interessi implicati nel settore che sono chiamati a gestire. Ma una volta in
carriera, l’oligarchia — come si è visto dalle biografie rese note dai giornali
— si svincola dalla diretta protezione politica, si autonomizza e tende a
costruire rapidamente un potere personale. Grazie al quale ottiene prima di
tutto la propria sostanziale inamovibilità.
Sempre gli stessi nomi passano vorticosamente da un posto all’altro, da un
gabinetto a un ente, da un tribunale a un ministero, da un incarico
extragiudiziale a quello successivo, costruendo così reti di relazioni che
possono diventare autentiche reti di complicità, sommando spessissimo incarichi
che incarnano casi clamorosi di conflitto d’interessi. E che attraverso doppi e
tripli stipendi e prebende varie servono a realizzare redditi più che cospicui,
a fruire di benefit e di occasioni, ad avere case, privilegi, vacanze, stili di
vita da piccoli nababbi.
Se
i politici sono la casta, insomma, l’oligarchia burocratico- funzionariale italiana
è molto spesso la super casta. La quale prospera obbedendo scrupolosamente alla
prima (tranne il caso eccezionale della Banca d’Italia non si ricorda un alto
funzionario che si sia mai opposto ai voleri di un ministro), ma facendo
soprattutto gli affari propri. Il governo Monti ha un’agenda fittissima, si sa.
Ma se tra le tante cose da fare riuscisse anche a scrivere un rigoroso codice
etico per la super casta, sono sicuro che qualche decina di milioni di italiani
gliene sarebbe grata.