MOSCHE COCCHIERE
Accennare a miglioramenti dei rapporti con il Vaticano è un modo per distogliere l’attenzione alla condanna internazionale contro l’operato della Cina nel Darfur, che significa bollarla ancora come uno Stato-paria nel rispetto dei diritti umani. Far girare la voce che il papa sarebbe pronto ad andare a Pechino per le Olimpiadi o che c’è un ammorbidimento, è un tentativo di mettersi sotto un ombrello morale, al riparo dalla pioggia di critiche, che accusa la Cina di immobilismo, di non cambiare nulla soprattutto sui diritti umani.
Gli apprezzamenti di Ye e Liu Bainian sembrano l’estremo tentativo di salvarsi da una imminente purga nelle Associazioni patriottiche e nel ministero degli affari religiosi. Sia Ye che Liu sono da decenni a capo delle organizzazioni di controllo delle religioni e della Chiesa cattolica. E sono ormai presi di mira dagli stessi membri delle loro organizzazioni: anzitutto perché le loro cariche stanno durando più di quella del presidente della Repubblica popolare cinese e poi perché in questi anni essi hanno sempre acuito la tensione in Cina e nei rapporti col Vaticano.
Proprio Liu, nell’estate scorsa, ha fatto una campagna contro la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi, accusandolo di “ignoranza” e di voler far ritornare la Chiesa in Cina a una situazione di “colonialismo”. Ye, invece, continua a difendere “l’indipendenza” della Chiesa cinese, contro “l’ingerenza” della Santa Sede nelle nomine dei vescovi.
È probabile che i rapporti fra Cina e Vaticano miglioreranno. Ma forse solo dopo che questi due andranno in pensione.