Molti missionari non ritengono più di dover predicare il Vangelo, ma dare prova di solidarietà e di aiuto materiale contro la povertà. Costruire case ed ospedali, togliere donne e bambini dalla strada, ma non predicare la parola di Gesù.
“Si dice che basta aiutare gli uomini ad essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà”. Molti altri pensano che tutte le culture e tutte le religioni siano vie verso la salvezza e che i cristiani, anziché fare proselitismo, dovrebbero testimoniare la carità e aprirsi al dialogo, nella valorizzazione di tutte le diversità.
La
Nota dottrinale su “Alcuni aspetti dell'evangelizzazione” ha messo il dito nella piaga, anzi in due piaghe.
La prima è la riduzione del cristianesimo ad etica sociale, a riserva di buoni sentimenti utili alla convivenza, ad ambulanza per i casi difficili. Cristo altro non sarebbe che un uomo buono, il più buono tra gli uomini, ma niente di più. La sua predicazione riguarderebbe solo le virtù umane e quando uno si comportasse in modo eticamente corretto sarebbe già cristiano, senza bisogno di Chiesa, liturgia, preghiere, sacramenti, magistero infallibile eccetera. Questa riduzione della religione ad etica è la morte della religione e contemporaneamente la sua impossibilità di influire veramente sull’etica. Infatti, il cristianesimo rende sì gli uomini più buoni, ma solo in quanto è portatore di un’etica non solo umana. Se perde questa dimensione trascendente non riesce più nemmeno ad orientare il comportamento umano su questa terra.
La seconda piaga è che se non c’è verità, non c’è nemmeno annuncio di verità e, quindi, non c’è missione. Se tutte le culture e tutte le religioni sono indifferentemente buone, perché mai i cristiani dovrebbero essere missionari? Non c’è nessuna legittimità di proporre ad altri ciò che si ritiene vero per se stessi. L’evangelizzazione, infatti, viene spesso accusata di intolleranza e di essere un pericolo per la pace. In questo modo però sia il dialogo ecumenico che quello interreligioso sarebbero privi di senso. Se non c’è verità, da un lato la missione diventa imposizione e violenza, ma dall’altro il dialogo stesso risulta completamente inutile.
Le riflessioni della Nota non hanno solo un significato religioso. Non solo chi promuove una verità religiosa oggi viene accusato di violenza e di imposizione, ma anche chi promuove delle verità semplicemente umane, per esempio sulla vita e sulla famiglia. Nella nostra società non ci sono più missionari perché il relativismo rischia di spegnere ogni ricerca della verità che non sia di indole pragmatica. Non solo nel caso della missione dei cristiani ad gentes, ma anche per l’impegno sociale e politico dei comuni cittadini ci si chiede ormai diffusamente: ma che diritto ho io di imporre ad un altro i miei valori morali? Il relativismo religioso provoca il relativismo etico e questo a sua volta provoca l’impossibilità di educare. E’ possibile ricostruire un’etica sociale condivisa senza l’aiuto del cristianesimo?
La Chiesa ha ormai imboccato in pieno la strada della difesa della verità. Difendendo la verità del cristianesimo, oggi la Chiesa difende la verità in generale, aiuta a ridare un senso non convenzionale al dialogo e sostiene tutti coloro che, non intimoriti dal pluralismo travestito da dittatura del relativismo, argomentano per la verità ad ogni livello: gli insegnanti, i politici, gli scienziati.