26.2.06

Per l'edificazione della nuova Europa


(…) Ecco perché, proprio a partire da una lettura dei «segni dei tempi» alla luce dei valori di umana e cristiana solidarietà, mi sembra quanto mai importante ed urgente proseguire coraggiosamente lo sforzo di edificazione della nuova Europa, in convinta adesione a quegli ideali che, nel recente passato, hanno ispirato e guidato statisti di grande levatura, quali Alcide De Gasperi in Italia, Konrad Adenauer in Germania, Maurice Schuman in Francia, facendone i padri dell' Europa contemporanea. Non è significativo che, tra i principali promotori della unificazione del continente, vi siano uomini animati da profonda fede cristiana? Non fu forse dai valori evangelici della libertà e della solidarietà che essi trassero ispirazione per il loro coraggioso disegno? Un disegno, peraltro, che ad essi appariva giustamente realistico, nonostante le prevedibili difficoltà, per la lucida consapevolezza che essi avevano del ruolo svolto dal cristianesimo nella formazione e nello sviluppo delle culture presenti nei diversi Paesi del continente.
DALLA LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI ITALIANI CIRCA LE RESPONSABILITÀ DEI CATTOLICI DI FRONTE ALLE SFIDE DELL'ATTUALE MOMENTO STORICO - dal Vaticano, 6 gennaio 1994

25.2.06

La religione sostegno della libertà


Nella visione di Alexis de Tocqueville, la religione si concilia con la libertà propria delle società democratiche e ne costituisce uno dei maggiori sostegni. C’è dunque un’armonia naturale tra la religione e la libertà le quali, lungi dal nuocersi, rappresentano due tendenze che procedono di comune accordo e si aiutano reciprocamente.
“La religione vede nella libertà civile un nobile esercizio delle facoltà dell’uomo e nel mondo politico un campo aperto dal Creatore agli sforzi dell’intelligenza. Libera e potente nella sua sfera, soddisfatta del posto che le viene riservato, essa sa che il suo impero è altrettanto meglio stabilito che non regnando con le sue sole forze e dominando senza un appoggio sui cuori. La libertà vede nella religione la campagna delle sue lotte e dei suoi trionfi, la culla della sua infanzia, la fonte divina dei suoi diritti. Essa considera la religione come la salvaguardia dei costumi; i costumi come la garanzia delle leggi e il pegno della loro durata”.
Per Tocqueville la religione è connaturata all’uomo, è la forma della sua speranza, radicata nella natura umana, e questa speranza soccorre gli uomini a misura che essi avvertono la miseria della loro condizione: “La religione non è dunque che una forma particolare della speranza, ed è naturale al cuore umano come la speranza stessa. […] L’incredulità è un accidente; la fede sola è lo stato permanente dell’umanità”.

24.2.06

Dove nasce la cultura dell'odio e dell'intolleranza


Ormai il mondo mediorientale sembra che non sia in grado di prescindere dalla violenza come unica modalità di risposta a qualunque provocazione. Ed ogni volta questa violenza viene giustificata. L'attacco alle Torri Gemelle? Giustificato dall'imperialismo americano che opprime i popoli mediorientali tenendoli in condizioni di povertà estrema. L'attacco alle chiese cristiane in Nigeria? Giustificato dall'offesa delle vignette su Maometto. L'attacco di Bengasi contro l'Italia? Giustificato dall'atto provocatorio dell'ex Ministro Calderoni, reo di aver indossato una maglietta.
In realtà bisognerebbe chiedersi che cosa c'è dietro a tanta violenza. Più volte è stato denunciato il disegno e la regia del Presidente iraniano Ahmadinejad, ma naturalmente non fa tutto capo a lui. In realtà egli rappresenta oggi la punta di un iceberg che spesso rimane coperto, ma che, se compreso, aiuta a capire le motivazioni di tali azioni ed a dimostrare la netta differenza tra il nostro mondo ed il loro.
Un esempio ci viene proprio da quanto avvenuto ieri. Di fronte ad un atto barbaro come l'attentato di Samarra, l'ayatollah Khamenei, massima espressione religiosa sciita in Iran, cioè il leader religioso di quel Paese, ha usato parole colme d'odio, gettando benzina sul fuoco: «Questi atti odiosi sono stati commissionati da un gruppo di sionisti e di occupanti mancati». Questa posizione è figlia di un'offensiva culturale che dura da molto tempo. …..Nei centri e nelle scuole islamiche, così come nelle moschee, sono state soffocate le tradizioni musulmane per essere sostituite da insegnamenti di odio ed inni alla jihad. Troppo spesso abbiamo ascoltato sermoni colmi d'ira, di clamorose bugie e di fantasiose teorie cospirative al solo scopo di accendere gli animi ed aizzare la folla. E' da qui, da queste scuole, da questi centri che nasce la cultura dell'odio, della violenza e dell'intolleranza. In questo senso il confronto con il mondo occidentale e con le religioni ebraica e cristiana diventa particolarmente indicativo.
Mentre gli imam e gli ayatollah nelle moschee mediorientali (spesso anche in quelle occidentali) fomentano la folla e la guidano in una spirale di violenza ingiustificabile ed inammissibile, trasformandosi in amplificatori della cultura d'odio imparata nelle scuole islamiche, il Papa ed i vescovi ci insegnano i valori della libertà e della tolleranza, che significano rispetto reciproco.
Ma per rispettare gli altri dobbiamo innanzitutto rispettare noi stessi, e questo può avvenire soltanto se non abbiamo paura delle nostre radici e della nostra civiltà. Se mettiamo in discussione ogni volta i nostri valori, in nome di un nichilismo che non ci deve appartenere, non riusciremo mai a trovare quella serenità che è fondamentale per relazionarci con il prossimo.

21.2.06

Forme diverse e convergenti di barbarie

Il mese di febbraio 2006 sarà ricordato come il momento in cui i fautori dello “scontro di civiltà” tra l’Occidente e l’Islam hanno tentato di alzare artificiosamente il livello della tensione, incuneandosi subdolamente nelle contraddizioni dell’Occidente stesso, e amplificando a distanza di parecchi mesi l’episodio delle ormai tristemente note “vignette danesi” su Maometto.
Una tempestiva Nota della Sala stampa vaticana ha fatto chiarezza sulla vicenda, precisando tre cose: in primo luogo che “il diritto alla libertà di pensiero e di espressione, sancito dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, non può implicare il diritto di offendere il sentimento religioso dei credenti. Tale principio vale ovviamente in riferimento a qualsiasi religione”.
In secondo luogo che “la convivenza umana esige un clima di mutuo rispetto, per favorire la pace tra gli uomini e le Nazioni... Talune forme di critica esasperata o di derisione degli altri denotano una mancanza di sensibilità umana e possono costituire in alcuni casi una inammissibile provocazione”.
Infine che “azioni violente di protesta sono parimenti deplorabili. Per reagire ad un’offesa, non si può infatti venir meno al vero spirito di ogni religione. L’intolleranza reale o verbale, da qualsiasi parte venga, come azione o come reazione, costituisce poi sempre una seria minaccia alla pace”.
“Scontro di civiltà” quindi? Ma se la civiltà è la custodia e la cura dell’Essere, qui siamo di fronte piuttosto a forme diverse ma omogenee e convergenti di barbarie: da un lato, per dirla con Ferrara, il “nichilismo della tolleranza indifferente”, lo “sciatto secolarismo” dei laicisti europei, portatore di una concezione della libertà come assenza e rifiuto dei legami e delle fedi. Dall’altro un fondamentalismo “che strumentalizza la fede e finisce per difendere un feticcio” (Y. Sergio Pallavicini). La Chiesa si trova in questo frangente storico tra le due barbarie, ideologicamente identificata dal fondamentalismo con l’Occidente secolarizzato, ma egualmente “straniera” ed inassimilabile rispetto al laicismo europeo. (cultura cattolica)

19.2.06

Il Papa a «La Civiltà Cattolica»: «Partecipate al dibattito di oggi proponendo le idee cristiane e difendendole dalle deformazioni»

«Partecipare al dibattito culturale contemporaneo, sia per proporre, in modo serio e nello stesso tempo divulgativo, le verità della fede cristiana in maniera chiara e insieme fedele al Magistero della Chiesa, sia per difendere senza spirito polemico la verità, talvolta deformata anche attraverso accuse prive di fondamento alla comunità ecclesiale». Papa Ratzinger ha disegnato con la consueta lucidità luci e ombre della cultura contemporanea, ma soprattutto ha raccomandato di essere fedeli alla Santa Sede e al «faro» costituito dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II.

«La Civiltà Cattolica per essere fedele alla sua natura e al suo compito» deve «rinnovarsi continuamente, leggendo correttamente i "segni dei tempi"». «In realtà - ha proseguito Benedetto XVI - oggi va sempre più affermandosi una cultura caratterizzata dal relativismo individualista e dallo scientismo positivista; una cultura, quindi, tendenzialmente chiusa a Dio e alla sua legge morale, anche se non sempre pregiudizialmente avversa al cristianesimo. È grande perciò lo sforzo che i cattolici sono chiamati a compiere per sviluppare il dialogo con la cultura odierna e aprirla ai valori perenni della Trascendenza».
Il panorama, però, non è così fosco come potrebbe sembrare a prima vista. «Non va dimenticato, infatti, che oggi nel mondo ci sono anche tanti segni di speranza, frutto dell'azione dello Spirito nella storia». Tali sono, ad esempio, «la nuova sensibilità per i valori religiosi da parte di tanti uomini e donne, la rinnovata attenzione nei confronti della Sacra Scrittura, il rispetto dei diritti umani in misura ben maggiore di quanto avveniva anche in un passato recente, la volontà di dialogo con le altre religioni. In particolare, la fede in Gesù può aiutare molti a cogliere il senso della vita e dell'avventura umana, offrendo loro quei punti di riferimento che spesso mancano in un mondo tanto frenetico e disorientato».

«Come faro sulla strada che La Civiltà Cattolica è chiamata a percorrere - fa notare Benedetto XVI - vorrei indicare il Concilio Vaticano II. Le ricchezze dottrinali e pastorali che esso contiene (e, soprattutto, l'ispirazione di fondo) non sono state ancora assimilate appieno dalla comunità cristiana, anche se sono passati 40 anni dalla sua conclusione. Indubbiamente esso ha dato alla Chiesa un impulso capace di rinnovarla e di disporla a rispondere in modo adeguato ai problemi nuovi che la cultura contemporanea pone agli uomini e alle donne del nostro tempo. Si tratta di divulgare e sostenere l'azione della Chiesa in tutti i campi della sua missione. Un particolare impegno deve essere posto nella diffusione della Dottrina sociale della Chiesa». (Avvenire)

16.2.06

Difendere la vita, la famiglia e il matrimonio

I vescovi alla vigilia delle elezioni rinnovano l’appello agli elettori cattolici e ai candidati che si richiamano ai valori cristiani: difendete la vita, la famiglia e il matrimonio. ’Nella situazione attuale – ha detto monsignor Betori illustrando il comunicato conclusivo del Consiglio Permanente della Cei - speciale attenzione va data nelle scelte degli elettori e poi nell’esercizio delle loro responsabilità da parte dei futuri parlamentari, a non introdurre normative che non rispondono ad effettive esigenze sociali e, invece, compromettono gravemente il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio e il rispetto che si deve alla vita umana dal concepimento al suo termine naturale’.

12.2.06

Due domande sulla carità



Nella seconda parte si parla della carità, il servizio d’amore comunitario della Chiesa per tutti coloro che soffrono nel corpo o nell’anima e hanno bisogno del dono dell’amore.
Qui si presentano anzitutto due domande: la Chiesa non può lasciare questo servizio alle altre organizzazioni filantropiche che si formano in molti modi?
Ecco la risposta: no, la Chiesa non lo può fare. Essa deve praticare l’amore per il prossimo anche come comunità, altrimenti annuncia il Dio dell’amore in modo incompleto e insufficiente.
La seconda domanda: non bisognerebbe piuttosto tendere a un ordine della giustizia in cui non vi sono più i bisognosi e per questo la carità diventa superflua?
Ecco la risposta: indubbiamente il fine della politica è creare un giusto ordinamento della società, in cui a ciascuno viene riconosciuto il suo e nessuno soffre di miseria. In questo senso, la giustizia è il vero scopo della politica, così come lo è la pace che non può esistere senza giustizia. Di sua natura la Chiesa non fa politica in prima persona, bensì rispetta l’autonomia dello Stato e del suo ordinamento. La ricerca di questo ordinamento della giustizia spetta alla ragione comune, così come la politica è interesse di tutti i cittadini. Spesso, però, la ragione è accecata da interessi e dalla volontà di potere. La fede serve a purificare la ragione, perché possa vedere e decidere correttamente. È compito allora della Chiesa di guarire la ragione e di rafforzare la volontà di bene. In questo senso – senza fare essa stessa politica – la Chiesa partecipa appassionatamente alla battaglia per la giustizia. Ai cristiani impegnati nelle professioni pubbliche spetta nell’agire politico di aprire sempre nuove strade alla giustizia.
Questa, però, è solo la prima metà della risposta alla nostra domanda. La seconda metà, che a me sta particolarmente a cuore nell’enciclica, dice: la giustizia non può mai rendere superfluo l’amore. Al di là della giustizia, l’uomo avrà sempre bisogno di amore, che solo dà un’anima alla giustizia. In un mondo talmente ferito come lo sperimentiamo ai nostri giorni, non c’è davvero bisogno di dimostrare quanto detto. Il mondo si aspetta la testimonianza dell’amore cristiano che ci viene ispirato dalla fede. Nel nostro mondo, spesso così buio, con questo amore brilla la luce di Dio.
(dalla presentazione della “Deus Caritas Est” scritta dal papa Benedetto XVI per il numero 6/2006 di Famiglia Cristiana - seconda parte)

Alcune domande molto concrete per la vita cristiana

La prima domanda è la seguente: si può davvero amare Dio? E ancora: l’amore può essere imposto? Non è un sentimento che abbiamo o non abbiamo?
La risposta alla prima domanda è: sì, possiamo amare Dio, dato che Egli non è rimasto in una distanza irraggiungibile, ma è entrato ed entra nella nostra vita. Viene verso di noi, verso ciascuno di noi, nei sacramenti attraverso i quali opera nella nostra esistenza; con la fede della Chiesa, attraverso la quale si rivolge a noi; facendoci incontrare uomini, che sono da lui toccati, e trasmettono la sua luce; con le disposizioni attraverso le quali interviene nella nostra vita; con i segni della creazione, che ci ha donato. Egli non ci ha solo offerto l’amore, bensì lo ha vissuto per primo e bussa in tanti modi al nostro cuore per suscitare il nostro amore di risposta. L’amore non è solo un sentimento, vi appartengono anche la volontà e l’intelligenza. Con la sua parola, Dio si rivolge alla nostra intelligenza, alla nostra volontà e al nostro sentimento di modo che possiamo imparare ad amarlo “con tutto il cuore e tutta l’anima”. L’amore, infatti, non lo troviamo già bello e pronto, ma cresce; per così dire noi possiamo impararlo lentamente in modo che sempre più esso abbracci tutte le nostre forze e ci apra la strada per una vita retta.
La seconda domanda è la seguente: possiamo davvero amare il “prossimo”, che ci è estraneo o addirittura antipatico?
Sì, lo possiamo, se siamo amici di Dio. Se siamo amici di Cristo e in questo modo ci diventa sempre più chiaro che egli ci ha amato e ci ama, benché spesso noi distogliamo da lui il nostro sguardo e viviamo seguendo altri orientamenti. Se però la sua amicizia diventerà, a poco a poco, per noi importante e incisiva, allora cominceremo a voler bene a coloro ai quali lui vuole bene e che hanno bisogno del mio aiuto. Egli vuole che noi diventiamo amici dei suoi amici e noi lo possiamo se gli siamo interiormente vicini.
Da ultimo vi è la domanda: con i suoi comandamenti e i suoi divieti la Chiesa non ci rende amara la gioia dell’eros, dell’essere amati, che ci spinge all’altro e vuole diventare unione?
Nell’enciclica ho cercato di dimostrare che la promessa più profonda dell’eros può maturare solo quando non cerchiamo di afferrare la felicità repentina. Al contrario troviamo insieme la pazienza di scoprire sempre più l’altro nel profondo, nella totalità di corpo e anima, di modo che da ultimo la felicità dell’altro diventi più importante della mia. Allora non si vuole più solo prendere, ma donare e proprio in questa liberazione dall’io l’uomo trova sé stesso e diviene colmo di gioia. Nell’enciclica parlo di un percorso di purificazioni e maturazioni necessario perché la vera promessa dell’eros possa adempiersi. Il linguaggio della tradizione l’ha chiamato “educazione alla castità”, che, da ultimo, non significa altro che l’apprendimento dell’amore intero nella pazienza della crescita e della maturazione.
(dalla presentazione della “Deus Caritas Est” scritta dal papa Benedetto XVI per il numero 6/2006 di Famiglia Cristiana- prima parte)

11.2.06

L'odio del mondo e un aperitivo anticattolico

“….Io personalmente rimango convinto che tutta la vicenda (delle vignette blasfeme) sia stata e sia abilmente manovrata per finalità che sono sotto gli occhi di tutti. Nel mondo sta dilagando un terribile odio anticristiano.
Domenica scorsa, in Turchia, un prete italiano, don Andrea Santoro, ha pagato con la vita la sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Il cardinal Ruini non ha esitato un attimo a definirlo un martire.
Qualche giorno fa in un villaggio di una piccola isola delle Filippine, sono stati massacrati sei cristiani (fra i quali una bimba di nove mesi). Alla domanda urlata brutalmente nel cuore della notte da un commando armato, «Siete cristiani o musulmani?», questi nostri fratelli hanno risposto, come i martiri dei primi secoli, «Siamo cristiani». Sono stati massacrati e hanno pagato con la vita la loro così semplice e fondamentale testimonianza. Noi cristiani ci stringiamo con grande affetto alla Chiesa delle Filippine, ne condividiamo il dolore profondo, amiamo ed ammiriamo questi fratelli cui la Provvidenza ha concesso la palma del martirio. Ci aiutino a vivere il nostro quotidiano "martirio", cioè la testimonianza di Cristo presente «fino agli estremi confini del mondo».

N.B. A tutti quelli che soffrono spasmodicamente per le offese all'islam, vorrei ricordare che al bar autogestito durante una occupazione universitaria, nell'ambito di una grande iniziativa "culturale" (e il Manzoni direbbe: Ma guarda dove va a finire la cultura!), su Pacs, Chiesa e legge 194, il menù prevedeva: "Aperitivo anticattolico, musica blasfema, bestemmia libera". Questa, amici miei, è la realtà. Bisogna stare di fronte alla realtà, cercare di capirla, soprattutto capire quello che vuole da noi. Il nostro presente, ma ancor più il nostro futuro, dipende da questo.”

Negri Luigi - Vescovo di San Marino-Montefeltro

10.2.06

Indifferenza, non credenza e ritorno del sacro

La Chiesa oggi è chiamata a confrontarsi più con l’indifferenza e con la non credenza pratica che non con l’ateismo in regresso nel mondo. L’indifferenza e la non credenza si sviluppano negli ambienti culturali impregnati di secolarismo. Non si tratta più della professione pubblica di ateismo, fatta eccezione per qualche Stato del mondo, ma di una presenza diffusa, quasi onnipresente, nella cultura. Essa è meno visibile, ma più pericolosa, perché la cultura dominante la diffonde in modo subdolo nel subconscio dei credenti, dall’Ovest all’Est dell’Europa, ma anche nelle grandi metropoli dell’Africa, dell’America e dell’Asia: vera malattia dell’anima che induce a vivere «come se Dio non esistesse», è un neopaganesimo che idolatra i beni materiali, i benefici della tecnica e i frutti del potere.
Contemporaneamente, tuttavia, si manifesta ciò che alcuni chiamano «il ritorno del sacro» ma che, in realtà, è una nuova religiosità. Non si tratta di un ritorno alle pratiche religiose tradizionali, ma piuttosto di una ricerca di nuovi modi di vivere e di esprimere la dimensione religiosa inerente al paganesimo. Questo «risveglio spirituale» si accompagna al rifiuto di qualsiasi appartenenza, a vantaggio di un percorso tutto individuale, autonomo e guidato dalla propria soggettività. Questa religiosità istintiva, più emotiva che dottrinale, si esprime senza alcun riferimento a un Dio personale. Dal «Dio sì, Chiesa no» degli anni sessanta, si è passati al «religione sì, Dio no» o persino «religiosità sì, Dio no», di quest’inizio di millennio: essere credenti, senza però aderire al messaggio trasmesso dalla Chiesa. [www.vatican.va].

Homo indifferens

Per molti, la scomparsa delle ideologie dominanti ha lasciato spazio a un deficit di speranza. I sogni di un futuro migliore per l’umanità, caratteristici dello scientismo del movimento dell’illuminismo, del marxismo, e poi della rivoluzione del maggio ΄68 sono spariti, e ne è seguito un mondo disincantato e pragmatico.
La fine della guerra fredda e del rischio della distruzione totale del pianeta, ha lasciato posto ad altri pericoli e a gravi minacce per l’umanità: il terrorismo su scala mondiale, i nuovi focolai di guerra, l’inquinamento del pianeta e la diminuzione delle risorse idriche, i cambiamenti climatici provocati dai comportamenti egoistici degli uomini, l’intervento tecnico sull’embrione, il riconoscimento legale dell’aborto e dell’eutanasia, la clonazione… Le speranze di un futuro migliore sono scomparse per molti uomini e donne, che si sono ripiegati, per disillusione, su un presente che appare loro spesso oscuro, nella paura di un futuro ancora più incerto.
La rapidità e la profondità dei cambiamenti culturali, intervenuti nel corso degli ultimi decenni, sono come lo sfondo di un grande sconvolgimento in molte culture del nostro tempo.
L’atteggiamento aggressivo verso la Chiesa, non del tutto scomparso, ha ceduto il posto, talvolta, alla derisione e al risentimento in certi media e, spesso, a un atteggiamento diffuso improntato a relativismo, ad ateismo pratico e a indifferenza religiosa. E’ la comparsa di quello che si può definire - dopo l’homo faber, l’homo sapiens, l’homo religiosus - homo indifferens, anche tra i credenti, in preda al secolarismo. La ricerca individuale ed egoistica del benessere e la pressione di una cultura senza radicamento spirituale oscurano il senso di ciò che è veramente bene per l’uomo, e riducono la sua aspirazione al trascendente, limitandola ad una vaga ricerca interessata allo spirituale, che si accontenta soltanto di una nuova religiosità senza riferimento ad un Dio personale, senza adesione ad un « corpus » dottrinale, e senza appartenenza ad una comunità di fede rinvigorita dalla celebrazione dei misteri rivelati. [www.vatican.va].

La fede cristiana di fronte alla sfida dell’indifferenza religiosa

Il Pontificio Consiglio della Cultura, il cui presidente è il Cardinale Paul Poupard, ha pubblicato un documento dal titolo “La fede cristiana all'alba del nuovo millennio e la sfida della non credenza e dell'indifferenza religiosa”.
Il testo raccoglie le conclusioni dell’assemblea plenaria che dall’11 al 13 marzo 2004 ha riunito Cardinali, Vescovi, sacerdoti e intellettuali di tutto il mondo per affrontare la sfida di “evangelizzare la cultura della non credenza e dell’indifferenza”.
Basandosi su indicazioni, suggerimenti e proposte provenienti da varie culture dei cinque continenti e da esperienze pastorali molto diverse, il documento sottolinea queste conclusioni:

– "L'importanza di testimoniare la bellezza di essere una persona amata da Dio"
– "Necessità di rinnovare l’apologetica cristiana per rendere ragione con dolcezza e rispetto della speranza che ci anima"
– "Raggiungere l’homo urbanus con una presenza pubblica nei dibattiti di società e mettere il Vangelo in contatto con le forze che modellano la cultura"
– "L'urgenza di imparare a pensare, nelle scuole e nelle università, e avere il coraggio di reagire contro una tacita accettazione di una cultura dominante spesso impregnata di non credenza e di indifferenza religiosa, con una nuova e gioiosa proposta di cultura cristiana"
– "Agli indifferenti alla questione di Dio, ma credenti nei valori umani, mostrare che essere veramente uomini vuol dire essere religiosi, e che l’uomo trova la sua pienezza di umanità in Cristo, vero Dio e Vero Uomo, e che il cristianesimo è una buona notizia per tutti gli uomini, in tutte le culture"


Il documento è stato pubblicato dalla pagina web del Vaticano [www.vatican.va].

5.2.06

Il dovere prioritario di rispettare la vita

La proclamazione del diritto alla vita, che comporta il rispetto per la vita umana in ogni sua fase, è stato affrontato da Benedetto XVI citando due encicliche: l’ Evangelium vitae, di Giovanni Paolo II, definita “un’autentica pietra miliare nel magistero della Chiesa” e la sua Deus caritas est, alla luce della quale ha sottolineato “l’importanza del servizio della carità per il sostegno e la promozione della vita umana. Al riguardo, - ha aggiunto - prima ancora delle iniziative operative, è fondamentale promuovere un giusto atteggiamento verso l’altro: la cultura della vita è in effetti basata sull’attenzione agli altri, senza esclusioni o discriminazioni. Ogni vita umana, in quanto tale merita ed esige di essere sempre difesa e promossa. Sappiamo bene che questa verità rischia di essere spesso contraddetta dall’edonismo diffuso nelle cosiddette società del benessere: la vita viene esaltata finché è piacevole, ma si tende a non rispettarla più quando è malata o menomata. Partendo invece dall’amore profondo per ogni persona, è possibile mettere in atto forme efficaci di servizio alla vita: a quella nascente come a quella segnata dalla marginalità o dalla sofferenza, specialmente nella sua fase terminale”.
Benedetto XVI ha sottolineato che “i vescovi italiani hanno voluto richiamare il dovere prioritario di “rispettare la vita”, trattandosi di un bene “indisponibile”: l’uomo non è il padrone della vita; ne è piuttosto il custode e l’amministratore. Questa verità, che costituisce un punto qualificante della legge naturale, pienamente illuminato dalla rivelazione biblica, si presenta oggi come “segno di contraddizione” rispetto alla mentalità dominante. Constatiamo infatti che, malgrado vi sia in senso generale un’ampia convergenza sul valore della vita, tuttavia quando si arriva a questo punto, cioè alla “disponibilità” della vita, due mentalità si oppongono in maniera inconciliabile. Per esprimerci in termini semplificati, potremmo dire: l’una ritiene che la vita umana sia nelle mani dell’uomo, l’altra riconosce che essa è nelle mani di Dio. La cultura moderna ha legittimamente enfatizzato l’autonomia dell’uomo e delle realtà terrene, sviluppando così una prospettiva cara al Cristianesimo, quella dell’Incarnazione di Dio. Ma, come ha affermato chiaramente il Concilio Vaticano II, se questa autonomia porta a pensare che “le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore”, allora si dà origine a un profondo squilibrio, perché “la creatura senza il Creatore svanisce” (Gaudium et spes, 36)”.(Asianews)

Valutare con sapienza i programmi di chi governa

Con la stessa compassione di Gesù per le folle, la Chiesa sente anche oggi come proprio compito quello di chiedere a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo. Un’importante verifica di questo sforzo sarà l’effettiva libertà religiosa, non intesa semplicemente come possibilità di annunciare e celebrare Cristo, ma anche di contribuire alla edificazione di un mondo animato dalla carità.
In questo sforzo si iscrive pure l’effettiva considerazione del ruolo centrale che gli autentici valori religiosi svolgono nella vita dell’uomo, quale risposta ai suoi più profondi interrogativi e quale motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali.
Sono questi i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa.
Benedetto XVI, messaggio per la quaresima 2006

4.2.06

Il cristianesimo non può essere ridotto a una scienza del buon vivere

Non possiamo nasconderci che errori sono stati compiuti nel corso della storia da molti che si professavano discepoli di Gesù. Non di rado, di fronte all’incombenza di problemi gravi, essi hanno pensato che si dovesse prima migliorare la terra e poi pensare al cielo. La tentazione è stata di ritenere che dinanzi ad urgenze pressanti si dovesse in primo luogo provvedere a cambiare le strutture esterne.
Questo ebbe per alcuni come conseguenza la trasformazione del cristianesimo in un moralismo, la sostituzione del credere con il fare. A ragione, perciò, Giovanni Paolo II, osservava: “La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi a una scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte sì per l’uomo, ma per un uomo dimezzato. Noi invece sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale” (Enc. Redemptoris missio,). Benedetto XVI, messaggio per la quaresima 2006

1.2.06

Chi combatte la chiesa

Chesterton nella sua Ortodossia, una delle più belle pagine apologetiche del cattolicesimo, parlando di libertà di pensiero contro dogmatismo del credente, diceva: "Uomini che cominciano a combattere la Chiesa per amore della libertà e dell'umanità, finiscono per combattere anche la libertà e l'umanità pur di combattere la Chiesa".